
La doppietta di episodi “Once Removed” e “To Have and To Hold” è il perfetto esempio dell’andamento di questo show e delle caratteristiche che lo rendono un vero e proprio gioiello della corona televisiva britannica. Pur essendo entrambi afferenti allo stesso genere crime, ognuno dei due spicca per un utilizzo estremamente peculiare del tema: dove “Once Removed” indulge alla commedia e utilizza un espediente narrativo originale per raccontare una dark comedy dalla struttura semplice in origine, “To Have and To Hold” preferisce la narrazione tradizionale e un tono realista, intimo, che ci porta con andamento malinconico verso un’inaspettata conclusione.
Inside No. 9 è sempre magistrale nel suo utilizzo dell’unità di spazio (e spesso anche di tempo) come unico vincolo allo sviluppo di una trama che nella sua brevità riesce sempre a racchiudere un citazionismo mai banale, l’esercizio di stile registico e attoriale sempre di altissimo livello e la volontà di lasciare sempre senza parole lo spettatore, spesso attraverso twist imprevisti – come nel caso di “To Have and To Hold” –, ma a volte anche solo grazie alla perizia della costruzione dell’episodio, come accade in “Once Removed”. Entrambi gli episodi risultano così, pur se diversissimi tra loro, rappresentativi della serie e dell’utilizzo che questa fa del formato antologico.
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Al di là della maestria comica, di derivazione chiaramente teatrale, che traspare da queste scelte narrative, in “Once Removed” e i suoi banali oggetti domestici troviamo anche la manifestazione fisica di uno dei temi portanti della serie, quella banalità del male e del crimine che sempre caratterizza i protagonisti degli episodi più dark di Inside No. 9: killer che sbagliano indirizzo, casalinghe che tramano piani di vendetta contro i mariti, figlie amorevoli che nascondono piani criminali, il tutto inscenato nel più comune cottage della più tranquilla campagna inglese.
The picture on the box bears no resemblance to the actual jigsaw.

Anche qui ci sono coniugi che tramano l’uno alle spalle dell’altra, ma, dove nell’episodio precedente dominava la struttura e il tono comedy, qui ci si approccia alla storia con apparente intento realistico per poi procedere lentamente e inesorabilmente verso una sorta di versione british del film “Room“, dimostrando ancora una volte, se necessario, l’enorme capacità della serie di maneggiare con abilità drammatici cambiamenti di tono.
La regia di David Kerr e l’abilissima scrittura sorreggono un episodio in cui l’uso della luce e delle inquadrature, insieme all’abile costruzione del sistema di indizi attraverso il dialogo, sono altrettanto importanti rispetto alle prove attoriali di Steve Pemberton e Nicola Walker nei ruoli rispettivamente di Adrian e Harriet, coniugi di mezza età dalla mediocrità solo apparente.
In una brevissima mezz’ora Pemberton e Shearsmith, come sempre, riescono a dipingere piccoli affreschi terrificanti della vita quotidiana, che indipendentemente dal genere di riferimento hanno sempre un aggancio con la realtà, che sia cronaca, omaggio nostalgico o semplicemente la riproduzione a tinte fosche della nostra stessa quotidianità. Sotto l’ombrello generico del canovaccio da black comedy (o ancora più generico della comedy), Inside No. 9 improvvisa ad ogni episodio cercando l’inaspettato, l’inconsueto, concentrandosi sulla reazione dello spettatore tanto quanto sulla qualità della messa in scena; e ogni volta, immancabilmente, coglie nel segno.
Voto 4×03: 7 ½
Voto 4×04: 8+
