Oh, mondo, soltanto adesso
Io ti guardo
Nel tuo silenzio io mi perdo
E sono niente accanto a te.
Un colpo profondo, incisivo, una scudisciata nella carne della serialità televisiva italiana, specie quella che si occupa di Stato e Chiesa: Niccolò Ammaniti ha deciso, in 8 episodi, di ribaltare un’abitudine troppo schematica di parlare di argomenti molto vicini alla nostra quotidianiatà, compiendo un vero e proprio miracolo d’autore.
La sigla
Partiamo subito da una particolarità importante: la sigla de Il Miracolo ha attirato subito l’attenzione di tutti, sia per il formato con cui è costruita sia per i messaggi che veicola ancora prima del vero e proprio racconto.
Non c’è una spiegazione ufficiale sul perché solo questi pochi minuti siano in una marcata aspect ratio, ma sicuramente la scelta è stata fatta per sottolineare i particolari, che in una visione più ampia forse si sarebbero persi: l’elemento che più salta all’occhio è il sorriso della statua della Vergine Maria che, visto da così vicino, sembra quasi beffardo, come a volerci dire che quello che ci aspetta non è tutto rosa e fiori, come ci potremmo aspettare da un salvifico miracolo; ma è anche una lente d’ingrandimento su sangue e cellule che scorrono sullo schermo, la parte scientifica e razionale del tutto, quella che si può toccare e vedere, anche se non riusciamo a darne una spiegazione razionale.
E poi le folle religiose, quelle che si riverserebbero in strada con gli occhi lucidi e rivolti al cielo nel caso succedesse davvero una cosa del genere, una Madonna che piange nove litri di sangue umano all’ora. Anche la scelta de Il mondo di Jimmy Fontana come canzone è abbastanza particolare: il brano è del 1965, e anche le immagini delle folle descritte poco fa sembrano abbastanza datate. Il tutto dà una sensazione di antico, di vecchio, come se la speranza che possa accadere qualcosa di divino, di miracoloso, appartenesse ormai solo al passato.
Le persone
Come spesso accade quando succedono fatti inspiegabili, i riflessi di questi accadimenti non possono fare nient’altro se non esplodere in mezzo alla quotidianità delle persone. La gente, la vita di tutti i giorni, il semplice srotolarsi in avanti degli eventi di ognuno di noi vengono sradicati dai binari usuali per essere fatti deragliare: se verso un mondo migliore o peggiore, spesso, sta solo a noi decifrarlo e capirlo.
Il protagonista della stagione è sicuramente individuato in Fabrizio Pietromarchi, premier di un’Italia sull’orlo dell’uscita dall’Europa (clamorosa la coincidenza che vede andare in onda questa serie proprio nel periodo più caldo per le nostre istituzioni su questo tema), di un Paese che non ha più nessuna fiducia nel progresso e nel futuro, ad un passo dal ritorno a un passato idealizzato che porterebbe l’Italia ancora più a fondo di quanto già non sia. Fabrizio non è credente (“ovviamente”, come sottolinea Padre Marcello quando lo viene a sapere) e la vista di una Madonna che piange sangue non può che portarlo prima a chiedersi dove sia il trucco, poi a domandarsi come poter sfruttare a suo favore questo avvenimento straordinario, per poi arrivare addirittura a inginocchiarsi davanti ad essa, pregando – forse per la prima volta nella sua vita – che Dio risparmi la vita del figlio.
La storyline di Pietromarchi mette in evidenza alcune cose che possono essere prese da esempio anche per le sottotrame di molti degli altri personaggi: dopo aver pregato Dio di prendersi lui al posto del figlio, quest’ultimo muore, salvando forse indirettamente il Paese dal baratro – in questo caso è emblematica la frase del Premier: “Il Paese non vota sì o no, vota per me o contro di me”; quindi come possiamo leggere la morte del piccolo Pietromarchi? Proprio con queste domande si apre una lettura molto più ampia del concetto di “miracolo”, che va al di là della semplice statua che piange sangue.
Quest’ultima infatti è l’immagine concreta di un miracolo, classica, storica, quella che accerta con precisione (se così si può dire) che siamo di fronte ad un messaggio divino: la serie però, con le scelte prese nel dipanarsi degli eventi, porta appunto il messaggio a un livello superiore, lasciando com’è giusto che sia la risposta solo al sentire privato dello spettatore, alle sue credenze e alla sua fede. La morte del piccolo Pietromarchi e il conseguente ribaltamento dell’opinione pubblica nel referendum sono collegati? Se sì, è stato il volere divino ad aiutare Fabrizio nella sua carriera, pur sacrificando la famiglia? O è invece tutto un caso, solo una concatenazione causa-effetto, capitata al momento appropriato? Una semplice coincidenza?
Questo schema si può, come dicevamo, applicare a tutte le altre persone che vengono in contatto con la statua: Padre Marcello ritrova finalmente la Fede, ma deve morire per espiare finalmente i suoi peccati. Anche in questo caso, è un disegno divino o il puro caso dell’amore di Clelia che lo fa evadere dal convento? O che il malessere che lo colpisce sotto la pioggia non lo uccida, così da portarlo armato alla piscina e venire ucciso da un colpo di pistola del più credente tra i militari?
Anche in questo caso sembra esserci un disegno, ma perché? Non può essere tutto frutto di una semplice concatenazione di eventi? Deve avere per forza un senso?
In sostanza, che cosa intendiamo per “Miracolo”: una statua di plastica che piange sangue o un’intera nazione che si salva grazie a un referendum che sembrava portare alla distruzione? Oppure una madre che ritrova la forza di stare vicina all’unica figlia rimasta, affidandosi alla Fede? Oppure un padre disperato che è costretto a uccidere il figlio, salvo poi incontrare sulla sua strada una statua di plastica che salverà le loro vite?
Come vedete, sia i personaggi che addirittura noi spettatori siamo assillati solo da domande che non possono avere una risposta.
La statua
Poi, ovviamente, c’è la statua. Simbolo concreto dell’inspiegabile, materializzazione della Fede.
Nell’immaginario comune, un segno divino è sempre associato a qualcosa di benevolo, di positivo, qualcosa che può portare un cambiamento decisivo nella vita del mondo, pace e serenità. Il racconto che però disegna Ammaniti ci dice tutt’altro: e se non fosse solo così? Se le decisioni di Dio fossero anche – e soprattutto – dolorose e punitive? Se a vincere, in Dio, fosse la sua ira e non la sua bontà?
Se leggiamo bene le situazioni che si vengono a creare dopo che la statua comincia a piangere – e pensiamoci bene: sta piangendo, azione quasi sempre associata alla tristezza – molte di esse sono punitive per chi agisce per tornaconto personale, alcune misericordiose per chi ha bisogno di pietà, altre benevole per chi cerca la verità.
Il politico Pietromarchi deve veder morire il figlio e perdere l’amore della famiglia per raggiungere il suo obiettivo primario; Padre Marcello deve morire per ricongiungersi alla Fede perduta; il Generale Votta si libera del fardello della pressione che lo stava schiacciando, cercando la verità e un senso da solo (con l’incredibile colpo di scena finale).
Il simbolismo è un altro tassello fondamentale della serie, e non poteva essere altrimenti. Soprattutto i sogni indicano che qualcosa di assolutamente inspiegabile sta succedendo, specie in quelli di Pietromarchi, quasi visioni di un futuro tetro che lo aspetta – ne sono esempio i mondi al rovescio che sogna ad inizio stagione, con quel cubo nero al centro che è terribilmente simile alla funivia precipitata, praticamente identico invece al gioco che uccide suo figlio in piscina; piscina dove proprio Pietromarchi tiene in “ostaggio” la statua. E quest’ultima che smette di piangere solo quando viene a contatto con un’idea scientifica, ovvero quando è il freddo a una certa temperatura a bloccarla, come se la scienza, la razionalità, il non vedere o solo immaginare che ci sia qualcosa di “altro” potesse immediatamente spegnerla.
Proprio la commistione tra scienza e fede è una delle parti più interessanti dello show, impersonificata dalla figura di Sandra Roversi, tecnica di laboratorio, lesbica, ossessionata dalla verità, da una spiegazione che possa essere logica, tangibile. Il suo viaggio verso quello che sembrava il proprietario del sangue – fisicamente simile alla figura di Gesù, completamente all’opposto per l’anima nera che si ritrova – non fa altro che sottolineare la fallacia dei sistemi moderni, di come un mistero così fitto e simbolico non si possa spiegare neanche con l’ultimo dei progressi tecnologici.
Ed è allora che scienza e fede si fondono, andando a fare della Roversi una Madonna del 2000: attraverso la clonazione e l’inseminazione artificiale (sistemi moderni) cerca di rimanere incinta del proprietario di quel sangue, senza rapporti sessuali (simbologia cattolica). Un’immagine veramente potente, quasi un manifesto per l’intera serie.
Con così poco minutaggio a disposizione, era praticamente certo fin dall’inizio che molti avvenimenti sarebbero rimasti senza risposta o sospesi (ma lo richiede anche la natura del racconto, non è certo imprevedibile): proprio in questi giorni si sta discutendo sulla seconda stagione, che, visto il finale e il successo che la serie ha avuto, sembra abbastanza scontata.
Ammaniti ha detto che in realtà, se guardiamo bene, le risposte ci sono tutte, ma non ne siamo molto convinti: al netto del mistero della statua che molto probabilmente non verrà spiegato, ci sono alcune domande più terrene di cui non abbiamo indizi per decifrarle. Due su tutte: cosa è successo alla piccola Beatrice quando è entrata nel bosco? L’ha uccisa Nicolino? E poi, domanda forse fondamentale per decifrare il mistero: quando ha iniziato a piangere la statua? Poco prima che la trovasse Nicolino, o era già piangente da un po’?
La stagione ha anche un finale degno di nota, soprattutto per quanto riguarda la scelta del Generale Votta di sostituire la statua piangente con un’altra, semplice riproduzione: molto forte, come conseguenza, la scena in cui Fabrizio e Marcello si ritrovano davanti alla statua, uno iracondo e l’altro morente, di fronte a un miracolo che sembra essersi esaurito. La statua sembra infatti aver smesso di piangere proprio quando ha portato a compimento la sua missione: punire Pietromarchi e avere misericordia di Marcello, tirandolo fuori da questo inferno troppo grande per lui, riportandolo a casa. Votta decide quindi di vestire i panni del divino e di mettere pace in Terra: è un mistero troppo grande per gli uomini tormentati, serve qualcuno che veda tutto con più calma e trasparenza, andando alla ricerca di una verità impossibile da raggiungere.
Il Miracolo è quindi una serie che va vista assolutamente: girata in modo moderno, con degli attori perfettamente calati nella parte (menzione particolare per Guido Caprino e Tommaso Ragno), una scrittura perfetta che rende gli episodi fluidi e altamente scorrevoli nella visione.
Un punto di vista nuovo e finalmente edulcorato dal perbenismo della Rai o dalla faciloneria di Mediaset, che hanno trattato sì argomenti simili (parliamo di Chiesa, affari di Stato, mafia) ma sempre puntando a un pubblico che guarda la tv con un occhio aperto e l’altro già sintonizzato sul mondo dei sogni: Il Miracolo è una serie impegnata che non annoia ma che intrattiene alla perfezione, scavando in ognuno di noi, parlando sia ai credenti che agli atei, rimanendo sempre in bilico tra due dei più grandi argomenti dell’esistenza umana: il Dubbio e il Caso.
Voto: 8½
Inizio con un Mea Culpa, restando in ambito, perché ho faticato e non poco a vedere questa serie in modo coerente: spesso l’ho vista di notte, sonnecchiando e recuperando, assemblando episodi personali che lasciavano, vuoi o non vuoi, significanze sparse.
L’aspetto che più mi ha colpito, al di là dei personaggi, anche di Pietromarchi, che non ho apprezzato per complessità e sfaccettature, è l’arroganza degli stessi, nel senso proprio dell’arrogare a se stessi il senso ultimo di quel miracolo, giustificandosi e giustificandolo attraverso la propria disperazione personale.
Perché sono esistenze disperate quelle che ci mette di fronte Ammanniti:
un leader con un matrimonio di facciata, allo sbando politicamente, compatito e tradito dalla sua stessa consigliera;
una donna che ha perso l’amore di una vita e si trova ad accudire una madre già morta, in un presente assente;
un prete che ha perso la fede e deve scegliere tra morte carnale (smettere con le pillole) o spirituale (accettarne gli effetti collaterali);
e non ultimo, anzi primo, un mafioso costretto alla macchia che perde una figlia, amata solo da lontano e di nascosto.
Ci ho visto tanto di The Leftovers in questo approccio, partendo dalla mancato svelamento del mistero, passando alla sublimazione del proprio dolore, al decifrare il senso del mondo attraverso la sola propria esperienza, senza ricordare che “io sono niente accanto a te”.
L’unico personaggio che non ha una disperazione che reclami il proprio pezzettino di miracolo è il generale, ed è questo ad imporgli di preservarlo dall’egocentrismo che l’avrebbe divorato, risparmiandoci dall’affrontare qualcosa che non siamo in grado di gestire: è un miracolo finto quello che ci serve, una Madonna di Civitavecchia, per avallare la natura terrena dei nostri fallimenti, come conforto alle nostre meschinità.
Ciao nenoneno, intanto grazie per avere commentato.
Sai che mi piace molto la tua disamina? Mi sembra molto azzeccata sui personaggi e sul loro status deprecabile, soprattutto condivido quello che dici sul Generale, che è l’unico a vedere questa statua per quello che è che cerca di preservarla dal mondo.