Un ambiente chiuso, isolato, segreto, un manipolo di uomini e donne, un cattivo misterioso e una presenza inquietante e razionalmente inspiegabile: sono tutti gli ingredienti che, con diverse gradazioni e ordine, formano un classico horror. Ghoul non è da meno, aggiungendo però una spolverata di altri argomenti che rendono la mini-serie indiana un horror che parla di cose molto più importanti.
L’horror duro e puro
Partiamo con la nostra analisi dal genere che Ghoul rappresenta e soprattutto come lo rappresenta. Conosciamo Bollywood e la sua produzione principalmente per generi molto diversi da quello della mini-serie ora in onda su Netflix, quindi il prodotto – almeno per un pubblico occidentale abituato a ben altri parametri – rappresenta sicuramente una novità.
La prima cosa che salta al nostro occhio allenato da centinaia tra serie tv e film occidentali, specie ovviamente anglosassoni, però, è il tentativo di replicare alcuni modi di mettere in scena sequenze dall’alto tasso drammatico: una su tutte quella che vede il padre di Nida portato via dalla polizia dopo l’interrogatorio. La scena di per sé non è sbagliata, ma con l’utilizzo della colonna sonora e di un ralenti che ha il sapore di posticcio si è cercato di ricalcare i canoni di una produzione che è altro rispetto alla tradizione indiana e si vede perfettamente a occhio nudo. La sequenza risulta più ridicola che drammatica, spegnendo il pathos della scena nello spettatore che avrebbe dato un significato molto più importante e profondo alle immagini, considerato anche quello che accade per tutto il resto dello show.
La parte più prettamente horror, invece, risulta meglio confezionata, soprattutto quelle sezioni dello show dove si lascia intendere quello che succede piuttosto che farlo vedere chiaramente.
Fino alla esplicita manifestazione del demone – la prima trasformazione di Ali Saeed – il gioco della tensione aveva funzionato bene: il non detto, le frasi apparentemente sconnesse, l’onniscenza del “terrorista” non sono ovviamente delle novità nel panorama horror, anzi, ma qui rendono l’idea di qualcosa di soprannaturale ancora non spiegato, sottolineato anche dal clima di terrore “vero” che si può respirare in una prigione del genere.
I personaggi soffrono di un po’ di appiattimento: anche Nida che è il cuore pulsante di tutto il racconto non riesce fino in fondo a imprimersi nella nostra memoria, ma dobbiamo dare agli autori sicuramente l’attenuante dell’estrema brevità dello show (praticamente un film diviso in tre tempi più che una mini-serie vera e propria) che non permette fino in fondo uno sviluppo degno dei personaggi. Al di là del loro passato, solo accennato per alcuni, anche gli attori non riescono appieno a imprimere una direzione marcata ai ruoli che stanno recitando: forse solo un gradino più su possiamo trovare Radhika Apte, che è anche facilitata dal ruolo da protagonista e dal maggior minutaggio a disposizione.
Il significato “altro”
Al di là della patina horror di cui è rivestito Ghoul e che lo classifica come prodotto di quel genere, appena sotto la stratificazione paurosa e orrorifica se ne nasconde un’altra ben più massiccia e importante, che è il vero motore e miccia dell’intero racconto, il cuore del significato dello show, ovvero la società e il momento storico distopico che ha investito l’India nel presente narrativo della serie.
Un’aria che ricorda molto da vicino quella di Fahrenheit 451 – la cultura e la tradizione diventano improvvisamente fuorilegge e addirittura “attività terroristiche” – e che fa di questa parte dello show quella più riuscita e più interessante, anche se gli autori sono molto bravi nel non dare mai dei contorni definiti alla vicenda, del perché e del come ci si sia arrivati, di quanto siano restrittivi i provvedimenti e soprattutto le sanzioni a chi infrange la nuova legge.
Qui si entra anche nel terreno minato della religione, mai affrontato di petto dal racconto ma solo suggerito da scampoli di dialogo e da situazioni vagamente sfiorate, come quando viene accennato il tema dell’Islam all’arrivo di Nida nella prigione di massima sicurezza. È una scelta secondo noi molto azzeccata, parlarne senza parlarne: è come l’odio strisciante di oggigiorno verso il diverso, verso chi viene da fuori, sempre e comunque guardato con sospetto, come metaforicamente è ben rappresentato dall’arrivo di Nida e dalla reazione subito scomposta dell’agente Laxmi Das.
Oltre a questi temi c’è anche sicuramente quello della famiglia e della Patria, la Grande Famiglia per eccellenza. La difesa di questi due confini anche a costo di calpestare i diritti e le vite degli altri è tremendamente attuale, ed è ben rappresentato da tutto il corpo militare che si vede nello show. Anche Nida è dipinta inizialmente così, salvo poi capire dove stava sbagliando solo dopo un’esperienza tremenda come quella che ha vissuto.
La distopia fascistoide messa in scena dagli autori prende spunto dalla realtà e da quello che pian piano sta davvero succedendo nel mondo reale: l’egoismo, l’egocentrismo, il “prima me”, “prima Noi”, stanno facendo chiudere a riccio milioni di persone, come se ci stessimo tutti infilando in una prigione nel mezzo del nulla, con le finestre oscurate che non ci permettono di vedere più la luce del sole, con una sola entrata protetta dal filo spinato. Ma come succede nel racconto dove il demone viene evocato proprio da dentro quelle mura, il Male nasce proprio dagli ambienti chiusi, cresce nella claustrofobia e può prendere le sembianze di chiunque viva in quell’ambiente avvelenato, dove il cervello non può prendere tutta l’aria che gli serve per funzionare.
Ghoul è quindi una mini-serie molto particolare, e non poteva essere altrimenti visto anche il Paese dove è stata prodotta e girata. L’India negli ultimi vent’anni si è imposta come un mercato in netta espansione e crescita, a cominciare da quei film di Bollywood che, in alcuni casi, hanno avuto riscontri positivi anche sul mercato occidentale.
Questa mini-serie ha sicuramente il pregio di mettere in scena tematiche molto profonde e pesanti che ci assillano in questo momento storico, facendolo con il linguaggio dell’intrattenimento: non poteva che essere quello del classico horror. Ghoul va bevuta tutta d’un fiato – sono poco più di due ore in totale – in uno di quei pomeriggi uggiosi che preannunciano la brutta stagione, un po’ per il brivido dell’horror e un po’ per accendere il cervello su tematiche importanti. Senza ombra di dubbio, comunque, per spaventarsi.
Voto: 6½