Caso letterario prima, evento mediatico ora: “L’Amica Geniale”, tetralogia di Elena Ferrante, supera le curiosità sull’identità della sua autrice e si staglia nel panorama televisivo contemporaneo come un caso eccezionale a partire dall’inedita collaborazione alla base del prodotto – RAI-HBO-TIMVISION – e dai nomi coinvolti (tra i produttori anche Paolo Sorrentino), passando per la trasmissione televisiva anticipata dalla proiezione dei due episodi introduttivi prima a Venezia e poi in più di duecento sale cinematografiche nei primi tre giorni di ottobre.
Si tratta di un’inaugurazione di dimensioni importanti, che però stupisce solo chi non ha mai familiarizzato con la storia di Lila e Lenù, le due bambine al centro dell’epopea di Ferrante: per qualunque lettore che abbia amato queste vicende e ne conosca il magnetismo, sarebbe impossibile pensare ad un esordio diverso da questo.
I romanzi hanno avuto un grandissimo successo in tutto il mondo, vendendo milioni di copie e aprendo le porte a quella che in molti non esitano a definire una “Ferrante-mania”: è evidente come una saga che attraversa mezzo secolo, soprattutto un periodo come quello del dopoguerra, possa intercettare il favore comune in un paese come il nostro, in cui chiunque sia nato in quel periodo (o sia figlio di tali persone) riesce ad identificarsi con quel tipo di comunità, unita e divisa al tempo stesso, segnata da fortissimi legami ma anche (o forse proprio per questo) innervata da tensioni pronte ad esplodere ad ogni istante. Meno scontato era il successo internazionale per una storia che è autenticamente “nostra”, che affonda le radici nella povertà italiana di certe periferie (e non solo) a seguito della Seconda Guerra Mondiale e che ora trasporta questa sua autenticità dal libro allo schermo, mantenendo l’uso del dialetto e un’attenzione quasi maniacale e orgogliosa al dettaglio dell’indigenza, che fa parte della nostra storia, la descrive e al contempo non la delimita.
Le otto puntate dirette da Saverio Costanzo, che coincideranno con il primo dei quattro libri della saga e che andranno in onda su RAI 1 a partire dal 27 novembre, raccontano una storia che è corale e al contempo personalissima: Lila e Lenù, diminutivi di Raffaella Cerullo ed Elena Greco, sono due bambine e due donne, due vite che si intrecciano nella Napoli degli anni ’50 e che continuano ad essere legate anche a distanza di molti anni, come ci preannuncia subito l’inizio del primo libro.
È una storia corale, si diceva, quella del mondo in cui le due giovani sono inserite, ricostruito da Elena Ferrante fin nei minimi dettagli: una realtà rionale post-bellica popolosissima, in cui, in mezzo a violenze e soprusi, un’intera comunità è rappresentata da famiglie quasi tentacolari (i romanzi hanno un elenco-personaggi di diverse pagine all’inizio di ogni libro), che si intrecciano in continuazione generando storie potenzialmente infinite.
Ma è anche e soprattutto una storia individuale perché le protagoniste sono loro, Lila e Lenù: due bambine che diventano amiche e che in quell’amicizia trasferiscono tutto il loro affetto e le loro differenze, il loro amore e la loro diffidenza reciproca. Le prime due puntate, che seguono quasi pedissequamente le vicende del libro finanche a trasporne i medesimi dialoghi, non potevano quindi che aprirsi nello stesso modo del romanzo, ossia con quella breve ma importantissima prolessi in cui, ai tempi nostri, una ormai ultra-sessantenne Lenù riceve una telefonata dal figlio adulto di Lila che le annuncia una terribile notizia: la madre è scomparsa, cancellando ogni traccia di sé e dissolvendosi senza dare alcuna spiegazione. È questo che spinge Lenù ad aprire il computer e a scrivere la sua vita e quella di Lila: “Vediamo chi la spunta”, dice nel libro, e inizia a scrivere quella storia anche se Lila non ha mai voluto che si scrivesse di lei, come invece dice la serie, anticipando così come la loro vita sia stata in tutti questi anni un’autentica sfida.
Da questo momento in poi la presenza della Lenù adulta diminuisce di molto rispetto alla pagina scritta, affiorando ogni tanto grazie al voice over di Alba Rohrwacher che si limita ad intervenire solo di tanto in tanto, puntualizzando e spiegando con parole adulte sentimenti che la piccola Lenù provava ma non sapeva spiegare, emozioni tanto forti da trascinarla, come in direzione di una calamita, verso una bambina molto diversa da lei: la prima, bionda, con gli occhi azzurri, proveniente da una famiglia di certo povera, ma sempre caratterizzata dal tentativo sotteso di essere in ordine, pulita e soprattutto bravissima; l’altra, invece, mora e scura di carnagione, costantemente sporca, arrabbiata e monella, ma intelligente e brillante, al punto da attirare Lenù nella sua orbita anche solo con la sua presenza.
Quello dell’attrazione inspiegabile è un dettaglio importantissimo, che emerge nel libro non solo all’inizio ma lungo tutta la loro storia; è un sentimento quasi impossibile da rendere in immagini, e che tuttavia Costanzo riesce a trasmettere grazie ad uno stratagemma visivo semplice eppure per nulla scontato. Lenù inizia la scuola elementare osservando questa compagna di cui intuisce sin da subito la peculiarità, eppure noi spettatori non la vediamo se non di spalle, di sfuggita, quasi come se fosse la sua stessa presenza – e non solo il suo temperamento, la sua persona – a scatenare qualcosa nella mente della protagonista (che invece la ricorda distintamente, al punto da riuscire ancora a visualizzarsela così, bambina, anche da quasi settantenne).
Lungo le prime puntate, “Le Bambole” e “I Soldi”, osserviamo le due bambine fare amicizia e trovare insieme un legame destinato a durare nel tempo, tra ciò che le unisce (la realtà rionale, un microcosmo in cui entrambe sono destinate a patire, seppur in modo diverso, la loro condizione di figlie femmine di famiglia povera), e ciò che inevitabilmente le separa – di cui il loro diverso destino scolastico è la prima, fondamentale pietra.
“Decisi che dovevo regolarmi su quella bambina, non perderla mai di vista, anche se si fosse infastidita e mi avesse scacciata”: queste sono le parole del testo, riprese nella serie, di una adulta Lenù che prova ad analizzare e comprendere quella sua esigenza di vivere con Lila e attraverso Lila le esperienze del mondo, per un sentimento ineffabile che, di nuovo, la regia di Costanzo riesce a rendere in modo implicito eppure immediato. Grazie alle inquadrature in primissimo piano sui volti delle giovani attrici e ad un’attenzione particolare ai loro silenzi, lo spettatore riesce a captare come in quei momenti le bambine si osservino nel tentativo di intuire l’una il mistero dell’altra con la speranza che si tratti di qualcosa di salvifico, in grado di trascinarle al di là di quella vita e di renderle felici, istruite, lontane dalla povertà, ma soprattutto libere.
Anche le realtà del quartiere sono viste attraverso i loro occhi: momenti di violenza, morti e assassinii, eventi legati alla criminalità locale, tutto sembra coinvolgere la loro attenzione, spaventarle e al contempo attrarle: non si poteva quindi che trovare delle interpreti all’altezza di una recitazione spesso silente, che si affida agli sguardi e al linguaggio del corpo più che alle parole – pur importanti – del testo. Elisa Del Genio (Lenù) e Ludovica Nasti (Lila) sono perfette nella loro interpretazione e spiccano su un cast la cui recitazione, costretta dai difficili e talvolta terribili eventi narrati, spesso indulge in momenti melodrammatici, anche se senza mai scadere nell’esagerazione. La loro interpretazione risulta perfetta in ogni sezione del racconto, che le vede passare da momenti di rara felicità a situazioni angoscianti, in cui, complice una regia attenta a rendere la tensione attraverso inquadrature oblique, le due attrici riescono a trasmettere ogni grammo di quella preoccupazione che attraversa costantemente le loro vite. A tal proposito non si può non menzionare la musica, a capo della quale troviamo un nome eccellente come quello di Max Richter (The Leftovers), capace di intervenire in modo preciso nel racconto senza tuttavia essere mai invadente.
Forse è un po’ presto per fare valutazioni generali sulla trasposizione dal libro allo schermo, ma basandosi sulle prime puntate l’impressione è che la scelta di stare così vicini al testo (pur con qualche lieve differenza, come vedremo) si sia rivelata esatta, non solo perché i romanzi si presentano già come materiale perfetto per lo schermo, ma anche perché questo toglie ogni preoccupazione rispetto all’adattamento delle vicende e lascia spazio al resto, ossia ai tratti più distintivi del linguaggio audiovisivo: la regia, le musiche, l’incredibile reparto costumi (in grado con pochissimi accorgimenti di rivelare anche la minima differenza nei diversi livelli di povertà rionale), le ambientazioni credibili – tra i vicoli, i negozi e l’interno delle case. Il centro del racconto, come detto, è rappresentato dalle bambine, ma tutto ciò che le circonda è ricostruito in modo onesto e con il chiaro sforzo di dare sin dalle prime scene un’idea nitida del quartiere, sia al lettore che sa benissimo cosa andare a cercare, sia a chi si avvicina ora alla storia e che rischierebbe di perdersi nel marasma di vicende e nell’intreccio dei legami tra le varie famiglie.
L’unico punto su cui ci si può interrogare da lettori è un’apparente tendenza a voler diminuire il conflitto tra le due bambine, che emerge ma che non pare avere la stessa pregnanza presente nella pagina scritta; ma ci saranno sicuramente occasioni per valutare più avanti la gestione di questo rapporto così difficile e stratificato. Per il resto, si può dire che la prova più difficile – ricreare il mondo proposto da Elena Ferrante e gettare le basi di un’amicizia che è la vera protagonista della storia – sia stata ampiamente superata.
Voto 1×01: 8½
Voto 1×02: 8/9
Non mi hanno impressionato! Ammetto che la curiosità e le aspettative erano ai massimi livelli soprattutto per la presenza della Hbo accanto alla Rai e per le notizie trapelate via via sulle imponenti ricostruzioni di una Napoli sparita, elementi quasi impercettibili in questi primi due episodi. Ma la parziale delusione include una regia spesso naïf e una recitazione teatrale o come dici tu melodrammatica (la maestra è la peggiore!), giovani protagoniste escluse.
Più in generale ho avuto la sensazione che quanto raccontato in due ore poteva esser fatto in molto meno perché la noia si affaccia continuamente, complice una certa cupezza, anche cromatica.
Una piccola scena mi aveva fatto sperare in deliziose, distorte visioni alla Stephen King (la galoppante fantasia dei bambini), ma è lì tutta sola…
Ciao! Guarda, per quello che riguarda le vicende narrate non riesco ad essere d’accordo perché, da lettrice, ho trovato anzi che abbiano fatto un lavoro impeccabile nel restituire le vicende del rione – quanto basta per iniziare ad intuirne i movimenti, le divisioni interne tra Carracci e Solara e simili – senza al contempo togliere il focus dall’elemento centrale, ossia l’amicizia delle bambine, che è difficilissima da comprendere (proprio perché caratterizzata da un grande affetto ma anche da grandissime differenze) e che necessitava di una introduzione così centrata su di loro. Quindi ecco, diciamo che non solo non mi sono annoiata un secondo, ma anzi queste puntate mi sono volate! Per la recitazione, ci sono dei momenti che si avvicinano ad una certa melodrammaticità, però, come ho detto nella recensione, dal mio punto di vista la cosa non è mai esagerata.
Posso chiederti se sei un lettore o se è la prima volta che ti avvicini alla storia di Lila e Lenù?
Ma certo: non ho letto i romanzi della Ferrante. Non l’avevo specificato perché trovo che ai fini del gradimento di un’opera non sia importante e probabilmente quanto visto rispecchia perfettamente quanto scritto, atmosfere cupe comprese e se non ricordo male l’autrice co-firma la sceneggiatura… comunque mi sono ripromesso una visione bis e soprattutto di scoprire il resto al prossimo passaggio su Rai 1.
Sono assolutamente d’accordo, se un romanzo viene adattato per cinema, tv, teatro, quello che sia, deve essere godibile sia per lettori che per non lettori (anzi, forse sono più importanti i secondi proprio perché non hanno una base cui appoggiarsi!); la mia era una curiosità perché certamente l’opera deve reggersi da sola, ma al contempo se sei o non sei lettore la differenza nella ricezione c’è per forza di cose, è inevitabile. Ad esempio, per me tra le interpretazioni più melodrammatiche non c’è proprio la Maestra Oliviero, anzi, trovo che l’attrice abbia fatto un ottimo lavoro; ma questo perché la Oliviero è anche nel romanzo a tutti gli effetti un personaggio che reagisce in modo melodrammatico davanti alla scelta della famiglia Cerullo, con questo suo tagliar fuori da lì in poi la bambina (come se fosse colpa sua!) solo perché non può proseguire gli studi. Quindi, ecco, l’ho trovata coerente nel passaggio tra scrittura e interpretazione.
Posso aggiungere poi che quando lessi il primo dei romanzi, circa 4 anni fa, ci misi un po’ ad ingranare, quindi posso capirti se in questo tuo primo approccio non c’è molto entusiasmo! Al contempo ti dico che più si va avanti e più la storia diventa davvero avvincente, quindi consiglio di non demordere! 🙂
D’accordo sulla recensione(notevole come sempre)…le prime due puntate(da “non lettore”)mi hanno letteralmente conquistato…
Grazie Davide! 🙂