Mayans M.C. – Stagione 1


Mayans M.C. – Stagione 1Accolta con reazioni molto diverse e attesa con livelli di aspettative altrettanto differenti, Mayans M.C. arriva alla fine della prima stagione riuscendo a costruire il primo atto della propria identità senza strafare o forzare la mano, senza abusare troppo (o troppo poco) dell’ecosistema di SAMCRO: dopo dieci episodi la sensazione è che Sutter si sia volontariamente controllato, se non in alcuni momenti addirittura “castrato”, per riuscire a far arrivare lo spettatore con le idee ben chiare alla fine della stagione.

Le reazioni diverse in giro per il web (e che il più delle volte si sono giusto fermate alla visione dei primissimi episodi, se non addirittura solo al pilot), hanno come ovvio punto in comune Sons of Anarchy , il cui immaginario ha – volente o no – invaso e monopolizzato un certo tipo di televisione, che mette in scena un universo fatto di elementi fisici e ben riconoscibili, mosso da dinamiche che si svolgono secondo un pattern già conosciuto e di sicuro non originalissime. E fin qui i critici di tutto il mondo hanno ragione: Mayans si muove partendo dalle ceneri quasi letterali di Sons of Anarchy e di buona parte dei suoi componenti, spostando il luogo d’azione dal nord della California al confine con il Messico e traslando il machismo etero bianco caucasico in machismo latino. Dove però non hanno ragione è decidere che ripartire dalla formula vincente di SAMCRO (quindi di almeno cinque stagioni su sette) sia una sorta di onta di vergogna per Sutter – dimenticando probabilmente che ha già dato tanto da questo punto di vista con The Bastard Executioner. Sutter è tornato a fare quello che sa fare meglio, ciò che lo ha reso famoso e allo stesso tempo fatto snobbare dalla critica poiché ritenuto un creatore e showrunner minore, grossolano, troppo invischiato con i suoi stessi fantasmi e feticci per essere davvero uno sceneggiatore di primo livello.

Mayans M.C. – Stagione 1Tutto questo è una sacrosanta verità: Mayans M.C. non è solo lo spin-off di Sons of Anarchy, ma è il ritorno del suo autore in un mondo che ha le stesse sembianze del “luogo” da cui proviene. Ed è nuovamente in questo frangente che la critica è stata poco attenta, perché la nuova serie di FX ha tratti molto simili al suo predecessore, ma ne ribalta la formula, provando a disegnare un ecosistema che parte non più dall’assunto shakespeariano tanto amato in SOA, bensì dal punto di vista dell’outsider, con un protagonista che non è nato all’interno del charter e in cui non è visceralmente immerso. EZ, Ezekiel Reyes, interpretato dal viso di cera di JD Pardo, è il prospect dei Mayans M.C. di Santo Padre che, così come lo era Charming all’epoca, è un luogo inventato, dove si muove questo nutrito gruppo di uomini invischiati nelle dinamiche del Cartello di Galindo, di cui trasportano la droga da un lato all’altro del confine, e nella distribuzione di armi, per cui hanno ancora i loro rapporti con i Sons of Anarchy. Il tentativo in questo senso di Sutter è quindi di disegnare un’architettura più alta, più ampia, che non dia l’idea di estromissione o di oblio del passato, e che riesca a far convivere quello che è stato e quello che speriamo sia un’altra lunga saga sutteriana.
Internamente, appunto, abbiamo un protagonista che ha una storia personale opposta a quella di Jax Teller, l’anti-eroe di Charming che ha combattuto tutta la sua vita per tirarsi fuori da quel club che era allo stesso tempo sua linfa vitale costitutiva e prigione, fatta di regole e diktat impossibili da ignorare, perché tutto ciò che accadeva a lui non era mai semplicemente personale, ma aveva incidenza diretta o indiretta sugli altri Sons e sulla vita del club in generale. EZ invece arriva a far parte dei Mayans tramite il fratello Angel (Clayton Cardenas), ed è per noi immediato capire che c’è un segreto dietro a questa volontà, perché l’ex golden boy di casa Reyes era destinato a tutt’altro futuro, grazie alle sue capacità intellettuali che lo avevano portato fino a Stanford. Nel corso degli episodi scopriamo che il primo plot twist accaduto otto anni prima, e di cui stiamo vedendo le conseguenze, è l’omicidio della madre di Angel ed EZ da parte di un ignoto: sul luogo del delitto arriva per primo Ezekiel che, grazie (o a causa) della sua potente memoria fotografica, nota un particolare sull’auto dell’assassino e cerca a tutti costi un modo per scovarlo e avere la sua vendetta. Chi gli mette la pistola in mano è letteralmente il fratello Angel.

Mayans M.C. – Stagione 1Tutta la stagione gioca su due piani temporali costruiti con i ricordi di EZ, alternando passato e presente senza essere deliberatamente ambigua o misteriosa, bensì con la volontà di disegnare il dramma in maniera ordinata ma non banale; è inutile ricordare che il disordine e la confusione erano stati uno dei problemi principali dell’ultima stagione di SOA. Qui, soprattutto fino a metà stagione, la paura principale è stata proprio quella vedere l’introduzione continua di tante storyline e ritrovarci magari ad un certo punto a non capirci più nulla, avere un polpettone di cose che non si amalgamassero bene tra loro, per cui avremmo perso di sicuro il filo. Sarà stata la lunga gestazione prima di tornare sulle scene, sarà stato anche l’aiuto di Elgine James totalmente avulso dalle dinamiche da filo rosso e tanta concentrazione di Sutter, ma la prima grande vittoria alla fine dei dieci episodi è la chiarezza degli intrighi, dello sviluppo di nuove alleanze e la distruzione di altre. Sicuramente il passaggio più difficile era legato alle due grandi organizzazioni extra charter: Michael Galindo (Danny Pino) e il suo Cartello da un lato e i Los Olvidados di Adelita (Carla Baratta) dall’altro, con in mezzo uno dei più grandi ritorni di SOA prima del gran finale di questa annata, ovvero quel Lincoln Potter (Ray McKinnon) della CIA arrivato forse nella stagione più bella di Charming. E qui non è assolutamente da meno: sempre caratterizzato da queste sembianze tra un Edgar Allan Poe e una versione inquietante di Shakespeare (che gli anni in più hanno accentuato fortemente), si riconferma il poliziotto pronto a tutto pur di arrivare al suo obiettivo, ora votato alla caduta di Galindo dopo aver fallito l’operazione RICO con i Sons – e qui aver volontariamente menzionato la cosa e dato un altro aggancio con la serie dà la misura dello studio certosino fatto dall’autore. L’operazione di Potter, inoltre, fa esattamente da ponte tra le varie organizzazioni criminali grazie al ricatto ai fratelli Reyes da un lato e la minaccia a Galindo dall’altro, minaccia che porta il signore della droga ad avvicinarsi in maniera irrimediabile ai Los Olvidados e ad Adelita, nonostante il rapimento del piccolo Cristobal, portando alla trasformazione totale e totalizzante delle premesse con cui era partita l’intera storia. E tutto questo, sì, in sole dieci ore e poco più.

Mayans M.C. – Stagione 1Il pregio quindi della serie è quello di aver fatto perdere di centralità al club e alle sue leggi, per cui Bishop (Micheal Irby) – assimilabile alla versione latina di Clay Morrow – non ne eredita la stessa importanza, così come tutti i personaggi del charter rimangono per il momento sullo sfondo dell’azione, dando invece maggiore risalto alla ristretta cerchia che Angel ha coinvolto nell’aiutare i ribelli di Adelita. Il maggiore dei fratelli Reyes, molto più scanzonato del fratello minore, è forse il personaggio che cresce maggiormente nel corso del tempo, che subisce le scelte prese alle sue spalle dai suoi familiari e per il quale hanno sottovalutato le ritorsioni che avrebbe potuto subire – e che alla fine dei conti, subisce. Accanto a lui il personaggio più degno di nota è Coco (Richard Cabral), che si impone per il rapporto con la ritrovata figlia e con la madre, della cui morte è anche autore. Impossibile poi non menzionare il bravissimo Edward James Olmos che interpreta Felipe Reyes, un macellaio dal passato oscuro, silenzioso ed incisivo nei modi, pieno di amore verso i suoi figli e devotissimo alla memoria della moglie morta. Anche qui assistiamo a tanta violenza, a torture, ma in maniera per il momento meno frequente: degni di nota sono la scena del settimo episodio con la piccola Mini e Adelita che ha finalmente la sua vendetta sul vescovo Rodrigo e Devante (Tony Plana) – momenti oltretutto fondamentali per la storia, e non fini a loro stessi, perché sanciscono il patto tra Galindo e Adelita, e la morte di Devante è allo stesso tempo vendetta per Galindo riguardo i loro pregressi familiari. Uno spazio sicuramente minore hanno l’amore e il sesso, dove il personaggio della bambola di porcellana Emily (Sarah Bolger), contesa tra il suo passato con EZ e il suo presente con Michael Galindo, ha certo molto potenziale ma rimasto ancora parzialmente inespresso.

Come in ogni pezzo di televisione sutteriana che si rispetti, la quantità di cose che accadono è davvero difficile da concentrare in poche parole, così come è difficile dare la misura di come il fatto che sia uno spin-off abbia un significato davvero relativo. Come era accaduto anni fa per Better Call Saul e la diffidenza con cui era stato accolto almeno per la prima stagione, anche in questo caso va ricordato che quando si sceglie di fare uno show del genere la vera vittoria non è l’indipendenza assoluta dal suo predecessore, ma la costruzione di qualcosa che sia sì diverso e a sé stante, ma in un certo senso che vada a completare, ad arricchire il racconto, ad aggiungere nuove ed interessanti sfumature ad un quadro già conosciuto. E questo risponde anche alle “accuse” di chi sminuisce o addirittura ignora Mayans M.C. bollandolo già a busta chiusa come la brutta copia di SOA fatto solo per chi vive di nostalgia di quel mondo: è vero, questo può essere il primo aggancio, e sì, è vero anche che Sutter è tornato nella sua comfort zone a fare quello che sa fare meglio. Ma non è meglio fare un bello show che rinnova da dentro la sua stessa formula, che insistere nella sperimentazione presa inutilmente come sfida? E se poi quello stesso show ha un finale come nell’ultimo episodio “Cuervo/Tz’ikb’uul“, dove si scopre che Happy è l’assassino della madre dei fratelli Reyes, meglio del sano intrattenimento che una bella confezione innovativa ma totalmente vuota.

Voto stagione: 7 ½ 

Condividi l'articolo
 

Informazioni su Sara De Santis

abruzzese per nascita, siciliana/napoletana per apparenza, milanese per puro caso e bolognese per aspirazione, ha capito che la sua unica stabilità sono netflix, prime video, il suo fedele computer ed una buona connessione internet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.