
Tony Montana (Al Pacino) in Scarface (1982)
Dopo una terza stagione capace di mantenere alto il livello qualitativo anche senza il feroce magnetismo del Pablo Escobar di Wagner Moura, Narcos continua a tenere saldo il suo posto di rilievo nel palinsesto di Netflix restando fedele ai propri canoni e, al contempo, scommettendo su nuovi personaggi e ambientazioni per portare avanti la sua indagine antropologica sul mondo del narcotraffico.
Messico, primi anni Ottanta. Nella cittadina di Sinaloa il poliziotto corrotto Miguel Angel Felix Gallardo e il campesino Rafael Caro Quintero condividono un sogno: unificare tutti i narcotrafficanti della nazione per creare la più grande rete di spaccio di marijuana che si sia mai vista. È così che vede la luce il Cartello di Guadalajara, la prima associazione criminale nella storia del Sud America, capace di attirare nella sua tela poliziotti, membri del governo messicano e i famigerati signori della coca colombiani. A fare da contraltare alla vertiginosa ascesa di Felix Gallardo vi è Kiki Camarena, agente della DEA inviato in Messico e disposto a tutto pur di smantellare la sua organizzazione, nonostante lo spaventoso livello di corruzione delle autorità messicane. Le ambizioni di conquista e rivalsa dei due contendenti cambiano drasticamente quando la marijuana viene soppiantata dalla cocaina: sarà l’inizio di un’ondata di violenza incontrollabile che porterà alla nascita della massiccia war on drugs propagandata dalla presidenza Reagan.
È difficile dare una catalogazione concreta a questa nuova stagione di Narcos all’interno del corpus narrativo della serie: a metà tra uno spin-off delle stagioni precedenti e un capitolo autonomo di una serie antologica, Narcos: Mexico presenta i suoi protagonisti e il nuovo scenario dell’azione come totalmente autonomi dai loro predecessori, ma lo scontro tra Felix e Kiki si evolve fino a diventare un evento cruciale all’interno dell’epopea criminale che la serie vuole raccontare, quasi come fosse il tassello mancante per comprendere la parabola di Pablo Escobar e del Cartello di Cali. Il legame più forte con le stagioni passate è sicuramente la voce narrante di Boyd Holbrook, perfetto contrappunto alla narrazione che ci aiuta a comprendere il Messico e le sue logiche criminali. Se in Colombia infatti sono i criminali a imporre con forza la loro volontà verso i rappresentanti dell’ordine costituito, in Messico le forze dell’ordine sono l’associazione a delinquere più spietata. Nessun criminale può agire se non è la polizia a volerlo e Felix lo sa meglio di chiunque altro: la sua ascesa criminale si realizza grazie a favori e strette di mano con persone capaci di distruggerlo in un battito di ciglia.

La vera sorpresa della serie, però, è il Kiki Camarena di Michael Peña, controparte positiva di Felix Gallardo e primo agente della DEA presentato nella serie come elemento attivo della vicenda. Se nelle stagioni passate gli uomini dell’antidroga assistevano passivamente al dominio dei colombiani aspettando l’occasione giusta per colpire il bersaglio, Kiki parte sempre per primo all’attacco e la sua fede cieca nella giustizia emerge tra le mura di casa, dove la frustrazione verso un sistema corrotto cozza con i suoi obblighi di marito e padre. Michael Peña non è nuovo a ruoli di questo genere – basti pensare alla sua performance in End of Watch – e con la sua innata spontaneità riesce a rendere un ritratto credibile dell’uomo che ha cambiato il corso della guerra al narcotraffico. Due personaggi che riescono quindi a calamitare l’attenzione del pubblico senza alcuna magniloquenza o spettacolarità, il cui dualismo si sposa appieno con l’ambivalenza di toni e atmosfere che gli sceneggiatori riescono a costruire partendo proprio dai loro lavori precedenti.

In buona sostanza, Narcos: Mexico fa sua l’espressione “squadra che vince non si cambia” e si affida alla sua stessa mitologia per creare un nuovo racconto capace di soddisfare gli appassionati della serie. Un approccio conservativo che potrebbe far storcere il naso a chi si aspettava un totale cambio di rotta, ma che rivela invece la volontà degli autori di espandere in molteplici direzioni la propria epopea criminale mantenendo intatta la fiducia nei canoni del racconto di genere.
Voto stagione: 7

Ottima analisi… Dal mio punto di vista sono stato ben contento di ritrovare gli elementi caratteristici delle stagioni del precedente Narcos… E’ stato come bere la Coca Cola Zero, sperando fosse uguale alla Coca Cola normale o almeno di trovarla quanto più simile possibile, senza rimanerne deluso. Complimenti per la recensione che riesce senza spoilerare alcunchè a dare un quadro puntuale ed esauriente di tutta la prima stagione.