Germania Ovest, fine anni ’70: una bomba esplode nella casa di un attaché israeliano e la pista porta a una cellula di terroristi palestinesi. Questa è la miccia che accende The Little Drummer Girl, catapultandoci in atmosfere di piombo, ma già dal pilot di questa miniserie si intuisce che c’è molto di più da raccontare di quanto sembri.
John Le Carré ha scritto questo libro nel 1983, quando in Italia si stava giusto affievolendo quel periodo che verrà chiamato “anni di piombo”, che ha visto negli anni ’70 il culmine di una violenza terroristico-politica senza precedenti. Il romanzo fu catalogato come spy-story, anche se è indubbio che racconti molte più sfaccettature socio-politiche del tempo di quanto tale categorizzazione non sottolinei (per intenderci, non parliamo di spy-story classiche à la James Bond).
La storia era già stata adattata a metà anni ’80 dal film di George Hill, con un cast d’eccezione – Diane Keaton e Klaus Kinski su tutti –, anche se la critica e poi il passare degli anni non hanno consegnato la pellicola alla storia del cinema. Trent’anni dopo ci riprova Park Chan-wook, autore sudcoreano che forse vi ricorderete per Oldboy, il suo lavoro più famoso: grazie al connubio BBC-AMC e alla produzione dello stesso Le Carré, Park Chan-wook dirige anche in questo caso un cast di primo livello, cercando di riportare in auge una storia che parla di terrorismo in modo più moderno e con un occhio critico diverso.
Il pilot – primo episodio di sei in totale – si presenta già molto bene, specialmente dal punto di vista della scenografia-fotografia, che è il primo aspetto che salta all’occhio nei primi minuti di una nuova serie: i colori marroni, verdi, rame (ci sono anche un paio di battute dei personaggi che scherzano sulla scelta dei colori di macchine e vestiti) ci riportano subito a quegli anni, che forse non tutti abbiamo vissuto ma che ci portiamo dietro dalle case e dagli oggetti di nonni e genitori.
Abbinato a questo primo colpo d’occhio, l’opening si distingue per il ritmo serrato, che senza parole o dialoghi rivelatori ci fa già capire che cosa sta per succedere: il ticchettio di sottofondo abbinato a montaggio e inquadrature mirate ci immerge completamente nella corsa contro il tempo che sta avvenendo sullo schermo – e i primi piani degli orologi non fanno che aumentare questo senso di ineluttabilità.
Successivamente il pilot prende forma e comincia a immergerci piano nella storia, ma soprattutto ci porta alla scoperta dei suoi protagonisti, centellinando le informazioni e coinvolgendoci nelle loro vite anche con piccoli particolari che ce li fanno già sentire vicini. Come dicevamo, il cast è sicuramente di prim’ordine e sembra azzeccato rispetto ai personaggi assegnati agli attori: Florence Pough è Charlie, un’attrice londinese che verrà notata per le sue doti interpretative; Alexander Skarsgård è un losco personaggio che segue in maniera ossessiva Charlie (di cui non anticipiamo il nome, per motivi che capirete guardando la serie); Michael Shannon è Kurtz, membro del Mossad. Tre personaggi principali che sembrano legati a mondi e modi di vivere completamente diversi, ma che già in questo pilot dimostrano una chimica particolare tra di loro e che elevano una già interessante trama a un livello superiore, coinvolgendo fin da subito lo spettatore nei loro destini.
Il tema toccato dalla serie – e quindi dal romanzo di Le Carré –, benché “vecchio” di quasi quarant’anni, è tremendamente attuale: come dicevamo, lasciato da parte per un attimo il tema della spy-story che pare quasi accessorio, il topic del terrorismo (che riguardi Israele o il mondo intero) è purtroppo uno degli argomenti principali degli ultimi anni, ed è interessante notare come lo si affronti, o quantomeno come lo si affrontava, a piani più alti e nascosti.
Questa prima puntata ha comunque il pregio di mixare molto bene le anime della storia. Capiamo fin da subito che l’elemento umano – inteso come la storia pregressa dei personaggi, il loro modo di rapportarsi con gli altri – sarà assolutamente fondamentale e centrale nella narrazione, facendo dei protagonisti il vero fulcro della storia. Soprattutto Charlie e il personaggio interpretato da Alexander Skarsgård sembrano essere una coppia molto ben assortita sullo schermo, con due personalità talmente diverse da diventare quasi ipnotiche mentre li si guarda interagire.
La miniserie comincia quindi nel migliore dei modi: il pilot è un episodio che fa molto bene il suo lavoro, sia dal punto di vista della presentazione della storia – si entra praticamente subito nel vivo, e non poteva essere altrimenti – che di quello dei personaggi, che come detto sembrano attirare su di loro la maggior parte del lavoro della sceneggiatura. La sensazione è che le restanti cinque puntate possano essere sullo stesso buon livello se non addirittura su uno superiore, contando appunto sulle ottime premesse che questo primo episodio ci ha regalato.
Alla fine la voglia di continuare a guardare la serie c’è eccome, ed è il più grande obiettivo che un pilot possa centrare.
Voto: 7
Il primo episodio lascia ben sperare; non è immediatamente figo e platinato come The night manager, altra miniserie recente tratta da LeCarrè a cui viene inevitabilmente equiparato, ma questo non è per forza un demerito. Io sono soprattutto felice di vedere finalmente Michael Shannon che per una volta non fa il solito cattivone di turno (non che il suo personaggio sembri essere un simpaticone, ma insomma…).