Sì è conclusa la prima stagione di Star Wars Resistance, la nuova serie animata ambientata in una galassia lontana lontana, creata dal veterano della Lucasfilm Dave Filoni – la mente dietro ai successi di Clone Wars e Rebels –, coinvolto in questo caso soltanto nella realizzazione del pilota. È un’assenza che si fa sentire molto e che è uno dei motivi principali per cui questo prodotto è lontano dagli standard qualitativi a cui ci ha abituato l’animazione di Star Wars.
Dopo due opere riuscitissime come le sopracitate Clone Wars e Rebels, i fan avevano grandi speranze per questa nuova avventura animata. La premessa di dare per una volta spazio ai piloti senza coinvolgere Jedi, Sith e la Forza aveva le carte in regola per dare un twist interessante alla saga. Dopotutto, non è la prima volta che succede: oltre ai molti libri e fumetti dell’universo espanso e della nuova gestione Disney, non dimentichiamo gli spin-off cinematografici dove sì, appaiono brevemente Darth Vader e Darth Maul e in Rogue One c’è tutta una sottotrama legata alla Forza, ma oltre a questo sono racconti che hanno al centro chi non ha nulla a che fare con la sfera mistica di Star Wars. Aggiungiamo l’ambientazione in uno degli universi narrativi più interessanti e complessi e, soprattutto, l’essere collocata nel periodo precedente a The Force Awakens tra i ranghi della Resistenza, e Resistance appare immediatamente come un prodotto con un potenziale altissimo. Sono tutti elementi che, in teoria, potevano togliere dalle spalle della serie il peso di essere l’unica opera audiovisiva di Star Wars tra Solo: A Star Wars Story e le uscite che vedremo a fine anno sulla piattaforma Disney+ , oltre ovviamente all’attesissima conclusione della saga degli Skywalker con Episodio IX. Purtroppo Resistance non è stata in grado di sfruttare questo enorme potenziale.
Quando pensiamo a Star Wars la prima cosa che ci viene in mente sono i personaggi, da Leia a Yoda, fino alle più recenti Rey e, per restare nel mondo dell’animazione, Ahsoka; in oltre quarant’anni di vita questa saga ha popolato i suoi prodotti con figure affascinanti e complesse con cui è sempre stato semplice creare un legame, un aspetto essenziale in cui Resistance fallisce nettamente, e in cui nessuno dei personaggi ha lo spessore di quelli di Rebels.
Questo problema si può vedere analizzando il percorso di Kaz, che dovrebbe essere il centro del racconto e la figura trainante della storia. Il culmine emotivo del suo arco arriva con il tanto atteso sovrapponimento narrativo tra Resistance e The Force Awakens, in concomitanza con la trasmissione olografica del discorso di Hux che precede l’attivazione della base Starkiller e la distruzione del sistema di Hosnian Prime. Kaz è cresciuto sul quel pianeta, dove abita ancora il padre senatore della Repubblica, elementi che dovrebbero essere più che sufficienti per dare un nuovo spessore a una delle sequenze più discusse di Episodio VII proprio perché avvenuta senza che ci fosse un reale senso di perdita per quello che stava accadendo sullo schermo; eppure, nelle puntate che precedono questo momento, il legame di Kaz con il pianeta natale e il padre non viene quasi mai menzionato e tanto meno approfondito.Al contrario, per Ezra in Rebels il pianeta Lothal era sinonimo di casa, con tutto quello che questa parola comporta; di episodio in episodio questo legame si rafforzava e ogni vittoria dei Ribelli per liberarsi dall’oppressione dell’Impero era percepita come nostra. Resistance passa tutta la stagione lontano da Hosnian Prime, Kaz non ci viene mai mostrato desideroso di tornarci o almeno un po’ nostalgico, per cui il risultato finale è che la scena dell’attacco terroristico del Primo Ordine ai danni della Nuova Repubblica risulta nuovamente distante dall’impatto emotivo che un evento del genere dovrebbe avere. È un’occasione persa, anche perché se avessero giocato su questo aspetto durante tutta la stagione avrebbero potuto trarre vantaggio dalla conoscenza del pubblico di quello che stava per accadere alla Repubblica e dal senso di inevitabilità degli eventi, dando un vero valore a ogni piccolo ricordo o momento legato a Hosnian Prime.
Oltre che per il protagonista, lo stesso discorso vale anche per gli altri personaggi. Nel caso di Yeager, per esempio, abbiamo visto il mistero legato al suo passato risolversi dopo poche puntate, e quel peso emotivo non ha più avuto conseguenze su di lui, rendendolo di fatto una figura senza più molto da dire. Su Tam, invece, c’è forse il tentativo più interessante di costruzione, perché vedere qualcuno che si riconosce negli ideali del Primo Ordine – per il momento non quelli più tendenti al genocidio – apre le porte a conflitti interessanti, e la sua decisione finale di unirsi a loro poteva essere un momento fortissimo, se solo il suo rapporto con Kaz e gli altri fosse stato sviluppato meglio. Un paio di parole vanno spese anche per Neeku, che da molti può essere visto come il Jar Jar Binks della situazione, la classica comic relief pensata per i più piccoli ma che fa storcere il naso al pubblico più grande. Avere questa funzione però non può essere una scusa, perché anche in Rebels c’erano momenti pensati in questo modo e affidati principalmente a Chopper, ma il droide non è mai risultato eccessivamente infantile o snervante, ed è anzi riuscito a diventare uno dei personaggi più amati dai fan. Le piccole scariche di adrenalina che arrivano sono dovute all’apparizione di figure che già conosciamo, come Leia, Poe, o Phasma, o attraverso la loro menzione nel caso di Kylo Ren. BB-8 è presente per buona parte della stagione, ma non basta nemmeno lui a salvare la baracca.
La serie paga anche molto la decisione di ambientare quasi tutta la stagione sulla stazione Colossus, bloccata in mezzo al pianeta acquatico di Caliston: viene così a mancare l’intera magia della galassia e dei milioni di pianeti evocativi che per anni e anni sono apparsi nelle varie iterazioni della saga. È quasi inspiegabile questa scelta al ribasso che porta il racconto tra gli inespressivi corridoi della stazione, e il fatto che alla fine si scopra che la Colossus è in verità una nave spaziale non cancella la totale assenza di appeal percepita in venti puntate. Non a caso gli unici episodi davvero degni di nota – che alla fine sono quelli in cui si da un po’ di spazio alla mitologia e alla backstory della base Starkiller – avvengono lontano dalla Colossus. Anche in questo caso si pensa subito a Rebels, che sicuramente ha passato molto tempo su Lothal, ma stiamo comunque parlando di un pianeta con aspetti culturali ed estetici ben definiti e riconoscibili che permettono di evitare la ripetitività vista in Resistance.
Mettendosi nei panni di chi poi la serie la scrive, dover far incastrare tutto con l’arco principale della trilogia conclusiva della saga degli Skywalker risulta essere un elemento molto limitante. Che il finale della prima stagione sarebbe stato il punto d’incontro con The Force Awakens era quasi scontato, ma senza sapere il punto di arrivo della storia principale non si hanno le possibilità di sperimentare con la narrazione come era stato fatto ottimamente nel caso di Rebels e Clone Wars. La speranza è che, una volta arrivato in sala Episodio IX, ci sarà finalmente la libertà di sfruttare al meglio il potenziale della serie. L’ideale sarebbe un ritorno di Dave Filoni al comando, ma considerando il suo coinvolgimento con la nuova stagione di Clone Wars e chissà con quali altri progetti legati a Star Wars, è un sogno che difficilmente si realizzerà.
In definitiva, Resistance è un’occasione persa che non sfrutta la possibilità di raccontare il periodo precedente aThe Force Awakens, invece ottimamente utilizzata da Claudia Gray sulle pagine di Bloodline, bellissimo romanzo con protagonista Leia. L’unico aspetto della serie a salvarsi completamente è l’animazione, che rende imperdibili tutte le sequenze aeree: un valore aggiunto a una serie il cui unico merito sembra essere quello di appartenere all’universo di Star Wars e che, se non fosse per questo, per il momento non avrebbe altri motivi di essere vista.
Voto: 5-