Se sentiamo parlare dell’ennesima, tragica sparatoria in una scuola, la testa andrà sicuramente agli Stati Uniti e alle loro statistiche a riguardo. Non penseremo mai ai paesi scandinavi che, seppure purtroppo toccati negli ultimi anni dall’ondata del terrorismo, hanno generalmente un tasso di criminalità tra i più bassi al mondo. Quicksand invece ci porta proprio lì, per l’esattezza in un liceo svedese, per mostrarci cosa succederebbe se il tragico evento dovesse colpire il paese.
La giovane Maja (Hanna Ardéhn) non ha ancora diciotto anni quando incontra Sebastian (Felix Sandman, famosissimo in patria come componente di una boyband), ricco e all’apparenza viziato figlio di papà. Una storia come tante, se non fosse che l’atteggiamento spocchioso di lui, il progressivo isolarsi dal resto del mondo di lei e l’apparente dipendenza che lega l’uno all’altra hanno radici che affondano in terreni aridi. Terreni che sono privi di affetto dall’esterno, di quella consapevolezza di sé che l’adolescenza fa vacillare di continuo. Maja e Sebastian si appartengono l’uno all’altra, se lo ripetono di continuo, sono “loro, soli contro il mondo”.
Quicksand apre lo sguardo su questa relazione nel modo più violento possibile: il pilot inizia con qualcuno che grida che gli si venga sparato contro. Tre colpi, e da lì i primi minuti si concentrano sugli attimi subito successivi. Un piano sequenza che mostra una serie di corpi, uno schema confuso che diverrà familiare e fondamentale nel finale di stagione. A terra ci sono un professore, un pusher, e due degli amici più importanti di Maja e Sebastian. Amanda e Samir giacciono uno a pochi metri dall’altra. Per tutto il tempo un ansimare in sottofondo: è Maja, quella che sembra l’unica sopravvissuta, sotto choc come chiunque sarebbe uscito vivo da una situazione del genere. E regia e autori sono bravi nel non farci chiedere subito il perché di quanto accaduto, visto che la polizia irrompe poco dopo e porta in ospedale una Maja che nel tragitto riesce solo a chiedere se siano tutti morti. In pochi istanti, dopo i tamponi sulle mani e sui vestiti, viene ricoverata, e di lì a poco accusata di essere l’unica autrice della strage.
È l’inizio di un travaglio che porta Maja e lo spettatore tra la cella dove è rinchiusa e l’ultimo anno della sua vita, ripercorso grazie agli interrogatori e le ore in carcere dove l’unica cosa che può fare è ricordare. E lo fa spesso con nostalgia perché autori e protagonista sono bravi, nel corso di tutta la stagione, a non mostrare Maja come una vittima e allo stesso tempo nemmeno come una di quegli assassini feroci alle quali le serie sul genere ci hanno abituato. La storia di Maja e Sebastian potrebbe essere la storia di tantissimi adolescenti sia di ora che del passato, certamente senza un finale così tragico. Ma questo epilogo arriva proprio dopo una certa normalità nello svolgersi degli eventi che la TV e il cinema ci hanno già mostrato in vari modi: genitori nel migliore dei casi assenti e nel peggiore violenti, un colpire il fianco scoperto dell’altro per scatenare un qualche tipo di reazione, gli amici di una vita con cui ci si respinge violentemente a vicenda per qualcosa di cui si sarebbe potuto semplicemente parlare.
La storia è quella di due adolescenti come l’abbiamo vista molte volte ma non per questo banale e, sicuramente, con qualche differenza sostanziale da tutto il resto.
Perché Quicksand si svolge comunque in Svezia, in un contesto ancora più ricco di quello generale, dove il padre di Sebastian ha uno yacht personale e viaggia di continuo, lasciando il figlio solo e con l’intera villa a disposizione per feste epocali con dj, piscine e il potersi (fin troppo) lasciar andare. Dal canto suo, Maja ha una vita sicuramente non lussuosa ma di certo agiata, con due genitori che le lasciano completa libertà di manovra all’interno della dimensione privata, fino a risultare praticamente assenti dalla sua vita in generale.
E il contesto è anche diverso, ovviamente, per quanto riguarda la cultura: il paragone immediato è quello con Safe, la serie che vedeva protagonista Michael C. Hall in cerca della figlia scomparsa. Una famiglia più che benestante viene colpita dalla tragedia nonostante si trovi in un quartiere sorvegliato, delimitato da alti cancelli e con accessi costantemente controllati. Da questa parte invece Maja e tutti i protagonisti vivono la loro vita in completa libertà, di certo aiutati da discrete disponibilità economiche ma in uno scenario sociale totalmente diverso dal nostro e da quello americano dove ai professori si dà del tu, tutti si conoscono da anni e non c’è bisogno di avere telecamere ovunque per fidarsi del prossimo.
Quicksand, comunque, non è una serie su una storia d’amore che finisce male. Questa prende forma con i ricordi di una Maja che riesce a ricostruire tutto il suo rapporto con Sebastian che, iniziato come una romantica avventura adolescenziale, si trasforma per lei in un vero e proprio incubo.
Hanna Ardéhn è bravissima nel mantenere il suo personaggio sempre distante dalle accuse di essere addirittura la mente della strage e i suoi flashback aiutano lo spettatore a vedere spesso la realtà dei fatti, che però non viene mai confermata fino all’ultimissima scena. Ma fino a quel momento non c’è mai davvero un attimo in cui si possa credere Maja capace di quello che è successo. Gli autori non hanno saputo (o forse non hanno voluto) mettere un pizzico di malizia nel personaggio di Maja, né la protagonista dà mai l’impressione di volerlo essere. È una ragazza buona, innamorata, che fino all’ultimo prova ad aiutare un ragazzo solo e disperato, sicuramente tanto bisognoso di affetto come di qualcuno con cui parlare. Una ragazza, una donna che prova a staccarsi da quel rapporto perverso provando a lasciarsi andare con Samir, il bravo ragazzo che ammette di aver mentito per sentirsi accettato da tutti. Samir che non va d’accordo con Sebastian che per la scuola e per le amicizie comuni è costretto a frequentare spesso. Samir che da sempre è innamorato di Maja e che per distruggere la figura di Sebastian farebbe di tutto.
Ma quando la tresca tra i due viene scoperta da Amanda tutto comincia a crollare intorno a Maja, che torna sui suoi passi fino a cedere totalmente all’instabilità emotiva e mentale di Sebastian. E si arriva al punto di rottura definitivo: in una scena molto cruda, il suo ragazzo la violenta, segnando il completo abbandono di lei nel vortice di quelli che saranno gli eventi finali. È una scena forte, diretta, un momento terribile che ricorda quello di 13 Reasons Why in cui chi guarda difficilmente riesce a farlo senza lo stomaco attorcigliato. È il punto di non ritorno psicologico di Maja, che da quel momento sembra non essere più in grado di sostenere la pressione di mesi in cui, senza rendersene conto, si era completamente sottomessa a Sebastian. Realizza e si arrende all’evidenza di non riuscire più ad avere il controllo delle sue azioni.
Il rush finale verso la strage viene raccontato allo spettatore attraverso le udienze del processo. La serie ci arriva senza aver mai dato spazio a quello che i media, fuori dal carcere e dai ricordi di Maja, stanno raccontando dell’accaduto. Se non con qualche piccola incursione (un giornale, un notiziario in lontananza, qualche prima pagina scandalistica mostrata in aula), l’esterno non interessa perché già sappiamo, nel 2019, cosa potrebbero scrivere le persone sui quotidiani, o peggio sui social.
Maja entra in aula dopo lunghi confronti, spesso durissimi, con il procuratore, una donna di ghiaccio che ora siede di fronte a lei, certa del verdetto di colpevolezza. E qui si nota un’altra, grande differenza con le serie di produzione “americana”, e cioè che l’intero processo è qualcosa di completamente diverso da quelli che siamo abituati a vedere in altri prodotti di genere crime. Prima di tutto il pubblico del processo, seduto dietro un vetro che impedisce di intervenire in alcun modo. Poi come si svolge il tutto, con chi è chiamato a testimoniare messo al centro dell’aula e in grado di interagire con le prove che gli vengono mostrate attraverso il proiettore. E, nel caso specifico di Quicksand, si nota anche l’altissima componente femminile rappresentata, oltre che dalla protagonista e dall’avvocato dell’accusa, anche dal giudice.
Infine, non scontato, il verdetto: diversamente da ogni altra serie che tratta la tematica della violenza psicologica, oltre che fisica, a Maja viene riconosciuta la condizione di vittima di Sebastian, e della sregolata vita in cui lui l’aveva coinvolta. Decidono di crederle sotto ogni aspetto, facendo cadere ogni possibile accusa e liberandola verso le braccia della famiglia. E anche qui si nota una differenza con una logica americana in cui Maja sarebbe stata probabilmente condannata, almeno per come ci hanno abituato gli statunitensi in merito. Qui viene invece riconosciuta la violenza subìta non solo fisicamente, ma anche e soprattutto psicologicamente. Quelle sabbie mobili del titolo sono un lento instillare nella sua testa da parte di Sebastian l’idea di un mondo avverso, nemico, in cui solo lui ha completamente ragione di lamentarsene e, infine, di esserne inghiottito portandosi lei con sé.
E quel dubbio che lo spettatore potrebbe avere, quel malizioso pensiero che vedrebbe la protagonista alla fine colpevole, viene spazzato con il flashback finale in cui, tutti sotto shock, abbiamo la certezza definitiva che Maja sia innocente.
Quicksand non grida al capolavoro e forse non vuole nemmeno farlo. Gli autori sono stati bravi ad adattare il libro omonimo scritto da Malin Persson Giolito, famosa autrice e avvocatessa svedese, e nel prendere alcuni capisaldi dei crime americani (il reato sconvolgente, la gioventù bruciata che arde tra feste e vizi, i durissimi faccia a faccia durante gli interrogatori) integrandoli nel tessuto sociale di un Nord Europa benestante, che si sente al sicuro grazie ad anni passati in un isolamento uterino, confortevole. La strage apre uno scenario non impossibile ma comunque lontano anni luce da una cultura diversa da quella della vendita incontrollata delle armi e del loro uso spropositato in luoghi considerati sicuri come le scuole. Quicksand inizia quindi un discorso importante senza però approfondirlo del tutto, perché non è quello lo scopo del suo messaggio. Si concentra invece su un personaggio, quello di Maja, pieno di quelle debolezze comuni a tutti gli adolescenti, e di come quelle brecce possano far crollare il mondo a cui si era abituati. Lo fa bene, con una regia pulita e un buon lavoro di continuità tra un presente raccontato e un passato ricordato che devono coincidere, e per questo ancora più difficile da rappresentare: andando avanti con la serie, ci si rende infatti conto che le parole di Maja corrispondono alla realtà dei fatti accaduti, e il lavoro di montaggio fatto incastra perfettamente i salti “temporali” mostrati.
Al netto di grandi sorprese, Quicksand non avrà una seconda stagione e la sua natura autoconclusiva è sicuramente un valore aggiunto. Pur scorrendo molto bene, infatti, la storia si esaurisce velocemente e non lascia quasi mai con il fiato sospeso lo spettatore, con alcuni passaggi a volte prevedibili ma una struttura che comunque tiene fino alla fine.
Un prodotto sicuramente interessante, che potrebbe dare nuova linfa ad altre produzioni di nicchia come quelle scandinave.
Voto: 7
Continuano gli ignoranti che mettono 1 come voto. Ignoranti mica perchè non siamo d’accordo sulla bellezza di una certa serie eh, ci mancherebbe. Ignoranti perchè non si rendono conto del significato di una scala da uno a dieci. Questa serie non è il massimo, io le ho dato un sei. Ma se dài UNO a questa serie, ai vari “Occhi Del Cuore” quanto si dà?!
Sinceramente non credo ci siano dei troll che abbiano preso di mira seriangolo, penso ci sia semplicemente gente che non riesce a visualizzare mentalmente una scala da 1 a 10.
Non è cattiveria, è ignoranza.
Ho molto goduto la visione del film che mai….dico mai, diversamente dagli altri, quelli americani intendo, trattanti le stesse tematiche, mi hanno fatto volgere lo sguardo altrove. Pulita, ma efficace, l’arringa finale della difesa, mai tendente all’oratoria come sigma della bravura di sé, e non per impressionare giuria e pubblico come siamo abituati
a vedere, ma solo aderente ai fatti, alle situazioni e al contesto in cui tutta la vicenda si svolge, e alle persone che quel contesto aveva finito coll’influenzare venendo in diverso modo sopraffatte: