Un uomo e una donna entrano in un bar. Riusciranno a salvare il loro matrimonio? È all’incirca questo il concept alla base di State of The Union, prodotta da Sundance, scritta da Nick Hornby e diretta da Stephen Frears. Se aggiungiamo anche i nomi degli attori che danno corpo e voce ai protagonisti, Rosamunde Pike e Chris O’Dowd, diventa davvero difficile trovare un equivalente televisivo in grado di concentrare tanto talento in così poco spazio.
Tom e Louise sono una coppia nel mezzo dei quarant’anni alle prese con la crisi del loro matrimonio. Le telecamere di State of The Union si soffermano a inquadrare un momento molto particolare di questa crisi, i dieci minuti immediatamente precedenti la seduta con una consulente matrimoniale. Ognuno degli episodi, infatti, dura appena dieci minuti, con il tempo della storia che coincide perfettamente con il tempo del racconto, e si svolge interamente all’interno o negli immediati pressi del pub dove i due protagonisti si concedono un drink prima di avviarsi alla terapia.
La particolarità del formato si configura immediatamente come l’aspetto più interessante. In un periodo storico in cui gli autori televisivi amano riempirsi la bocca di pretese cinematografiche consegnando agli spettatori show che sono “un film della durata di otto ore”, State of the Union si sottrae a questa tendenza esasperando la propria identità episodica. Ogni segmento è temporalmente distaccato dal precedente e dal successivo e i rimandi tra l’uno e l’altro sono semplicemente verbali, così come lo è il racconto di ciò che succede off-screen tra una settimana e l’altra.
Bastano pochi minuti di visione a rendere evidente come la vera terapia di coppia sia quella che si svolge sotto gli occhi degli spettatori. I due protagonisti, d’altra parte, sono incontrovertibilmente fluiti dalla punta della penna di Hornby. Louise è una gerontologa sopraffatta dalle incombenze e ferita dalla solitudine e ha tradito il marito dopo che questi, un critico musicale fallito che non riesce più a lavorare da mesi, ha smesso di desiderarla. La terapia è il metodo che i due scelgono per affrontare le difficoltà e gli ostacoli con cui il tempo ha bersagliato il loro matrimonio, che si sono concretizzati nell’incapacità di affrontare la disoccupazione per lui e nell’infedeltà per lei.
Sommando le sue caratteristiche State of The Union sembra più avvicinarsi ad una web series che a un prodotto televisivo con tutti i crismi. Al tempo stesso attinge a piene mani dal teatro, come testimoniano l’importanza dell’impianto dialogico, l’uniformità dello spazio e la coincidenza tra tempo della storia e tempo del racconto cui si accennava poco sopra.
A voler tracciare dei parallelismi con prodotti recenti, salta subito all’occhio come il formato coincida con quello portato sulle scene da due prodotti recentissimi come I Think You Should Leave e Love Death & Robots entrambi prodotti da Netflix, a conferma di come il mercato sia perfettamente consapevole del calo delle capacità di attenzione dei propri spettatori. A livello contenutistico, nonostante non si possa negare una certa singolarità del progetto, si può azzardare un accostamento con Horace and Pete di Louis C.K., web series con cui condivide l’impostazione teatrale e la limitazione dello spazio scenico.
State of The Union si rivela quindi un esperimento interessante, riuscito per tre quarti, dove a non scavallare il muro è proprio la scrittura di Hornby, sulla quale i due bravissimi interpreti non sempre riescono a mettere una pezza. La durata così limitata degli episodi rende pressoché impossibile annoiarsi e l’impressione è che l’autore di High Fidelity si sia un po’ seduto su questa consapevolezza, dando la vita a due protagonisti scialbi e non particolarmente interessanti. Una coppia normale che si produce in dialoghi brillanti. Sono infatti le parole e le loro combinazioni a costituire il quid più piacevole dello show di Sundance. Nei dieci minuti che precedono la loro seduta Tom e Louise affrontano le difficoltà del loro matrimonio con uno stile effervescente, un lessico ricercato ed una spiccata propensione per l’analogia. Il voto sulla Brexit può diventare una metafora delle differenze che si sono inserite tra di loro e la loro vita sessuale viene paragonata a “Usain Bolt with a groin injury”.
La possibilità di mettere in scena i due protagonisti senza interferenze esterne, senza mai vedere la terapista, a distanza di una settimana dall’episodio precedente – settimana di cui non sappiamo nulla se non quello che raccontano i personaggi stessi – permette allo spettatore di immergersi in un gioco di indovinelli e supposizioni, cercando di intuire dal linguaggio del corpo, dalle espressioni e dagli atteggiamenti gli eventi intercorsi nei giorni off-screen. “Si saranno riavvicinati? Avranno discusso nuovamente?” dando vita ad una sorta di “Trova le Differenze” televisivo.
Volendo dare una valutazione complessiva a State of The Union possiamo dire che lo show di Sundance si offre ad una duplice chiave di lettura. A leggerlo come un prodotto televisivo senza radici ed autoconclusivo è un esperimento fecondo, aperto ad una possibile prosecuzione antologica, in cui spiccano le personalità della scrittura, degli eccellenti interpreti e del linguaggio visivo, con Frears che riesce a dare vivacità alla regia nonostante le limitazioni spaziali. Si può invece inserirlo in una prospettiva più ampia, all’interno della produzione complessiva di Hornby, da sempre bravissimo a raccontare uomini con la Sindrome di Peter Pan ma che con State of The Union aggiunge un altro tassello al proprio skillset. Per una volta il personaggio di Louise non è funzionale a quello del marito ma ha un’identità propria e ben definita, sancendo la maturazione dello scrittore e della sua capacità di raccontare la vita adulta. La sua prospettiva sul matrimonio, inoltre, è abbastanza originale da intrattenere lo spettatore senza annoiarlo ma sufficientemente realistica e condivisibile da coinvolgerlo direttamente. Poco importa che la conclusione – il matrimonio è un lavoro complesso, la cui riuscita va rinnovata giorno dopo giorno – sia un cliché, i dieci episodi di State of The Union sono piacevoli e, se non propriamente divertenti, sorridenti e valevoli le scarse due ore necessarie alla visione.
Voto: 7