When They See Us – Stagione 1 3


When They See Us - Stagione 1Pochi negli ultimi anni sono riusciti, come Netflix, a centrare e migliorare ogni volta la produzione di serie di genere docu-crime (o true-crime). L’antesignana Making a Murderer, la meravigliosa The Staircase o la folle Evil Genius hanno tracciato una linea importante nel riuscire ad unire qualità televisiva e denuncia sociale. Nel caso di When They See Us, Netflix fa un passo in più e confeziona un prodotto in perfetto equilibrio tra documentario e serie TV.

“They all raped her.”

L’unica differenza che contraddistingue When They See Us dalle serie appena citate è la realizzazione: se quest’ultime sono frutto di un maniacale lavoro di storyboarding e montaggio di tutta la documentazione scritta, parlata e registrata, la serie creata da Ava DuVernay è recitata da attori (superlativi) e forse per questo ancora più complicata da realizzare.
Tutto il cast, infatti, sembra aver studiato a fondo il caso, le fonti e i documenti dell’epoca per immedesimarsi appieno nei ruoli dei Cinque di Central Park. Ed è qui che la serie incontra l’altro filone, come quello di American Crime Story con le due bellissime antologie sul processo O.J. Simpson e l’omicidio di Gianni Versace. Produzioni attente, curate in ogni dettaglio sia storico che di messa in scena. When They see Us quindi fa un lavoro enorme in termini di produzione, ripagando lo spettatore e la memoria di quanto successo il 19 aprile 1989.

When They See Us - Stagione 1Ava DuVernay è un mostro sacro della recente cultura televisiva afroamericana. Autrice, regista e produttrice di alcune delle pellicole più impegnate degli ultimi anni, come Selma (sulla marcia per i diritti dei neri che terminò con lo storico discorso di Martin Luther King dalle scale di Capitol Hill) e 13th, disponibile su Netflix, che affronta il tema della schiavitù in America oggi, dove sono i prigionieri (neri, ovviamente) ad essere messi a dei veri a propri lavori forzati avvallati dalle leggi statunitensi. Nominata agli Oscar per queste due pellicole (con Selma è stata anche la prima regista afroamericana ad avere una pellicola nella rosa finale: vinse Birdman), la DuVernay è così rispettata nell’ambiente da aver dato il suo nome al corrispettivo razziale della Scala di Bechdel, attraverso la quale si “misura” la presenza delle donne al cinema e in TV. La Scala di DuVernay calcola invece la componente di attori neri nelle produzioni, utile nel capire quanta strada ancora ci sia da fare per dare una vera e propria parità nel mondo dello spettacolo.
Nel cast, tra molti volti poco conosciuti, spiccano la sempre splendida Vera Farmiga (Bates Motel e P
hilip K. Dick’s Electric Dreams), nello scomodo e tormentato ruolo del capo dell’accusa, Elizabeth Lederer, e Joshua Jackson (The Affair e ovviamente Dawson’s Creek), nell’altrettanto difficile posizione del difensore di Antron McCray. Mentre Jackson appare quasi come una guest star, Vera Farmiga regala un’interpretazione intensa, una donna che scommette tutto sul caso e, pur vincendolo, si rende conto troppo tardi di aver perso su ogni fronte.

When They See Us - Stagione 1La cronaca di quei giorni sconvolse un’intera comunità e la vita delle famiglie colpite. When They See Us infatti riesce a scindere perfettamente la parte giuridica da quella sociale. Come detto, la denuncia mossa dalla serie si avvicina a quelle lanciate da prodotti simili, e sta nell’accostare quanto accaduto con quanto continua a ripetersi ancora e ancora. Come nel caso di The Case Against Adnan Syed, uno dei più recenti docu-crime targato HBO, la scrittura e la direzione autoriale di DuVernay mostra un 1989 che si distingue dai nostri tempi per scenografie, costumi e colonna sonora (magnifica), ma per il resto nulla sembra essere cambiato nel tessuto sociale statunitense. La componente razziale, l’estrazione sociale, la possibilità di trovare dei vuoti nella legislazione in cui i detective si muovono piano, esperti, diventano l’alibi della polizia per mettere a verbale confessioni estorte e, soprattutto, false. Tutto questo non è cambiato in 30 anni, come dimostra anche il sopracitato 13th: anche se il documentario di Ava DuVernay si concentra su come lo schiavismo abbia solo cambiato forma, trasformandosi in una macchina da soldi privata nutrita da una statistica che vede un afroamericano su due con una storia passata o attuale di incarcerazione, è evidente un sistema consolidato che pone un’attenzione particolare sulla popolazione nera in America. Per reati minori o inesistenti, gli arresti contribuiscono a fare degli Stati Uniti il paese con il 25% di popolazione carceraria. Una percentuale enorme che da qualche anno vive di aziende private che investono poco e guadagnano molto grazie anche al contributo di un sistema legale che nulla c’entra con la giustizia uguale per tutti. Anzi. Basta rivedere le prime stagioni di Orange is the New Black, dove la sovrappopolazione carceraria, cibi scadenti e secondini non addestrati contribuivano a rendere il carcere un caos totale.

“When you incarcerate a person, you incarcerate their whole family.” (Ava DuVernay)

When They See Us - Stagione 1La messa in scena della serie, che concentra quasi 15 anni in quattro puntate divise in due archi temporali diversi, è mastodontica. Il cast dei protagonisti da ragazzi all’epoca dell’arresto sfiora la perfezione.
Tutti semi-sconosciuti, con poche o nessuna esperienza grande alle spalle, i Cinque dimostrano una totale immersione nei panni degli originali. Solo il pilot ne è la dimostrazione: si gode per poco della spensieratezza di adolescenti “wilding around” per Central Park, seguendo i ragazzi più grandi in una scia di grida e risate, e un attimo dopo un pugno nello stomaco lascia senza respiro. Gli interrogatori sono struggenti, amari, e una perfetta combinazione di scrittura, montaggio e recitazione porta lo spettatore lì, accanto a loro, con la stessa sensazione di paura e disarmo che devono aver provato quei ragazzi 30 anni fa. Sembra di sentire gli sputi in faccia dei detective mentre urlano contro Kevin (Asante Blackk), gli schiaffi in faccia a Korey (un superlativo Jharrel Jerome), i dettagli sullo stupro che sconvolgono Jusef (Ethan Herisse). E poi il poliziotto buono, ancor più viscido di quelli cattivi che ci dà il colpo di grazia e cadiamo, insieme a loro, esausti.

When They See Us - Stagione 1In una serie di interviste rilasciate sulla pagina ufficiale delle serie, Ava DuVernay stessa spiega che quando il sistema incarcera una persona, incarcera anche la sua famiglia. E When they See Us infatti non solo riesce ad approfondire la parte giuridica, razziale, processuale del caso (e contemporaneamente di altre migliaia casi simili), ma completa l’opera dando una panoramica sulle famiglie dei Cinque, ognuna che reagisce nel proprio modo. La famiglia di Kevin, che dalla sorella divorata dai sensi di colpa a tutte le donne che lo circondano riesce a infondergli amore e coraggio; quella di Raymond (Marquis Rodriguez), con un padre succube degli eventi della vita e con un amore genuino, ma mai prioritario, per il figlio; o la storia, straziante, del padre di Antron (Caleel Harris), impossibilitato prima dalla codardia, e poi dalla malattia, ad avvicinarsi al figlio in nessuna delle fasi dall’arresto, al rilascio. È l’immagine in perfetto contrasto con la famiglia di Kevin: mentre quest’ultima dimostra quanto la forza delle donne possa almeno dare la speranza della libertà, un qualcosa su cui cadere nel modo meno doloroso possibile, il padre di Antron racchiude tutti i difetti di incomunicabilità tra padre e figlio: un muro che si alza in molte famiglie, soprattutto quando le cose non vanno bene come si vorrebbe. Una difficoltà tutta maschile, un orgoglio cieco che porta a un distacco che nel caso di When They See Us si ripara in ritardo, e male.
L’età adulta, quel lasso di tempo in cui tutti (tranne Korey) sono stati pian piano rilasciati, è il sigillo finale che la DuVernay mette sulla serie. La totale estraneità al nuovo mondo, senza più Torri Gemelle e a un passo da quella rivoluzione tecnologica che ci ha portato a oggi, passa attraverso gli occhi e le vite dei quattro. Ma soprattutto pesa un marchio pesantissimo lasciato in primis dalla stampa dell’epoca, come sempre pronta a giustiziare l’arrestato del giorno sull’altare della prima pagina. E le macchie di quell’inchiostro, pressate e ripetute mese dopo mese, sono impossibili da togliere di dosso. Insieme alla condanna dopo un processo grottesco, le probabilità di un vero e proprio reinserimento nella società sono praticamente azzerate. Anche l’assoluzione finale, arrivata dopo tre lustri di sofferenze, non potrà mai ricucire lo strappo alla fiducia che un cittadino, già storicamente vessato per questioni razziali, ha nei confronti dello Stato.

“You better believe that I hate the people who took this girl and raped her brutally.”” (Donald Trump)

When They See Us - Stagione 1La DuVernay non si risparmia nemmeno la critica politica, mostrando una vera intervista dell’epoca in cui il futuro, improbabile presidente degli Stati Uniti Donald Trump invoca la pena di morte per i Cinque di Central Park, dopo averlo dichiarato acquistando un’intera pagina dei quattro principali quotidiani newyorkesi. Impressionante come, in pochi istanti, When They See Us riesca ad inquadrare un parabola discendente di una società che da lì a 30 anni avrebbe continuato a uccidere legalmente i detenuti nel braccio della morte, senza mai cambiare davvero radicalmente per evitare arresti a sfondo razzista e anzi continuando a incarcerare con false accuse e confessioni persone innocenti, principalmente povere e quindi impossibilitate a permettersi un processo equo. La questione Trump viene liquidata con un ironico quanto profetico “i suoi 15 minuti  [di celebrità] sono quasi finiti”.

When They See Us si pone con forza e, allo stesso tempo, con estrema delicatezza, tra le migliore serie di denuncia sociale. Grazie a un incredibile lavoro di costruzione e riproduzione dei fatti,  supera in qualità la maggior parte dei docu-crime non recitati. Il ripercorrere dei fatti seguendo tutto il loro arco temporale non serve ai creatori, né allo spettatore, per farsi un’idea dell’accaduto. Quanto successo è chiaro e a verbale. Il percorso serve a tutti per capire quanto sia stato facile all’epoca, e lo sia tutt’ora, arrestare e condannare persone innocenti; quanto con cattiva fede, malizia, discriminazione e scorciatoie legali si possa agevolmente cancellare le vite di cinque persone e delle loro famiglie.
Affinché questo non si ripeta.
Forse.

Voto: 9

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3 commenti su “When They See Us – Stagione 1

  • nenoneno

    Bellissima analisi, letta con molto piacere, per una docu-serie che ho divorato letteralmente.
    Che poi a forza di divorarle ste cose, continuando a dare libero sfogo a questa compulsione bulimica, le riflessioni, la sedimentazione e la successiva elaborazione di quanto visto, si perdono.
    Ecco, menomale che ci sono certi articoli che smuovono un po’ il fondo.
    Unico punto su cui mi son trovato meno d’accordo è forse l’analisi del comportamento del padre di Antron: non ho visto solo la contrapposizione con le figure femminili (la famiglia di Kevin) ma anche altro;
    il padre di Anton è un ex “galeotto”, conosce il sistema solo dalla parte della gabbia, ed è convinto che reagire non sia solo inutile, ma dannoso: la paura, anzi meglio, il panico che lo assale – dopo le minacce del poliziotto circa la possibilità di rivelare chi fosse al datore di lavoro – ha forma simile all’inadeguatezza che dovranno affrontare i protagonisti una volta fuori dal carcere.
    Quell’uomo che convince il figlio a confessare un crimine mai commesso, quel padre carnefice suo malgrado della propria progenie, è inevitabile sintesi/prodotto/conseguenza di un sistema che definire disfunzionale è sacrosanto ma ingenuo.
    E’ in realtà un sistema perfetto, se visto dalla prospettiva dei soliti pochi.

     
    • Jacopo Spaziani L'autore dell'articolo

      Ciao nenoneno, e grazie mille per il tuo riscontro!
      Concordo con l’aggiunta che fai sul padre di Antron: il cortocirciuto che crea la sua condizione passata con quella presente del figlio, nasce proprio dal suo percorso personale all’interno del carcere. La paura accumulata e poi forse repressa negli anni, si sfoga tutta nel suo far cedere il figlio pensando di evitargli conseguenze peggiori.
      Ed è un sistema maledettamente perfetto, purtroppo.

      Grazie ancora!

      J