
New York, 1998. Lo stimato dottore Martin Whitly viene arrestato di fronte al giovane figlio Malcolm per l’efferato omicidio di 23 persone, crimine che indurrà la stampa a soprannominarlo “Il Chirurgo”. Vent’anni dopo Malcolm ha cambiato il suo cognome in Bright – nomen omen – ed è diventato uno dei più brillanti profiler dell’FBI, ma l’oscurità ereditata dal padre continua ad annidarsi nella sua mente, come un demone che infesta gli incubi di Malcolm e lo rende spaventosamente simile ai mostri a cui dà la caccia. Dopo essere stato licenziato dal Bureau per i suoi metodi non ortodossi, Malcolm torna a New York per scendere a patti con il suo lato oscuro, ma l’apparizione di un killer che imita i delitti del Chirurgo lo obbliga a riallacciare i rapporti con lo psicopatico padre da cui era fuggito dieci anni prima.
Come se la sinossi del pilot non fosse già abbastanza derivativa, fin dalle prime sequenze è evidente quale sia la volontà degli showrunner Chris Fedak e Sam Sklaver: prendere i tòpoi del genere e amplificarli al limite dello stereotipo per confezionare un prodotto dallo stile perfetto per i canoni di un network generalista come la Fox. Alla base dell’intero progetto vi è ovviamente la saga criminale creata da Thomas Harris, ma Prodigal Son strizza l’occhio anche all’Hannibal di Bryan Fuller, proponendone una versione edulcorata e facilmente digeribile dal pubblico generalista. C’è un protagonista che, al pari di Will Graham, usa le sue abilità deduttive come fossero un superpotere ed entra in totale sintonia con gli assassini a cui dà la caccia, ma questa empatia deviata muta l’immedesimazione in identificazione, e si fa viva nella mente di Malcolm la paura di essere in qualche modo predestinato al Male.

La narrazione dell’episodio segue alla lettera lo schema classico del crime procedural, con l’assassino della settimana da catturare tramite la cooperazione tra i due protagonisti, ma la storyline dell’emulatore del Chirurgo viene mostrata con altrettanta prevedibilità e scarsa originalità; l’atmosfera cupa che dovrebbe accompagnare la storia, inoltre, viene costantemente smorzata da tocchi di umorismo inopportuni che confermano un approccio al thriller fin troppo morbido per risultare accattivante. Per tutta la sua durata il pilot di Prodigal Son lascia nello spettatore la sensazione di assistere a qualcosa di fin troppo familiare, un prodotto agli antipodi delle sperimentazioni sul genere della moderna serialità al punto da risultare anacronistico. Tra tante delusioni, tuttavia, vi è una nota di merito che riesce a dare allo show un minimo di appeal, ed è senza dubbio la performance dei due attori principali.

Prodigal Son colleziona quindi una falsa partenza con un pilot che ammicca ma non avvince e che, nonostante l’eccellente reparto attoriale, si presenta come l’esempio perfetto di un modo di fare televisione ormai anacronistico. In quanto prodotto di un network generalista la delusione non dovrebbe essere inattesa, ma resta comunque l’amaro in bocca per la mancata occasione di esplorare un genere come il thriller, che negli ultimi anni ha dato vita a prodotti televisivi a dir poco sorprendenti.
Voto: 5½
