
A conti fatti, quindi, conclusa definitivamente la serie, se c’è una cosa che possiamo sostenere senza dubbio alcuno è che di certo a Sam Esmail non è mancato il coraggio.
Nelle quattro stagioni andate in onda, infatti, Mr. Robot è stata una serie capace di rischiare sia sul piano formale che su quello narrativo, spingendo la serialità televisiva verso i suoi limiti, non esitando mai a sperimentare. Se la prima stagione è stata quella della novità, del racconto della rivoluzione dal basso, quella degli hacker e dell’attacco anticapitalista contro i poteri forti, nelle tre annate successive Esmail ha potuto ampliare notevolmente il discorso, facendo della serie un universo narrativo molto più complesso.
Il Golden Globe come miglior serie drammatica vinto dalla prima stagione ha infatti conferito all’autore un credito che ovviamente non aveva inizialmente, tale da permettergli di imprimere una svolta profondamente autoriale a allo show, osando molto di più sulla messa in scena fino a realizzare episodi formalmente estremi e che saranno ricordati per sempre sui manuali di televisione.

Se la televisione è anche qualcosa che deve tenerti incollato allo schermo episodio dopo episodio, che deve farti tornare ad accendere il televisore ogni settimana, allora i twist narrativi risultano molto spesso un espediente fondamentale, quella cosa che dà brio al racconto a rinvigorisce una struttura fatta di pause e accelerazioni, di variazioni sul tema, approfondimenti e avanzamenti narrativi inaspettati. Mr. Robot è stata una serie capace di offrire svolte narrative imprevedibili sin dall’inizio, amplificandone sempre di più il ruolo: si scopre che Elliot e Mr. Robot sono la stessa persona, che gran parte di una stagione era solo la proiezione del protagonista immobilizzato in carcere, che non esistono solo due personalità del protagonista, che Angela è la figlia di Price, che Elliot è stato più volte abusato dal padre e così via. Quando parleremo nei prossimi anni di Mr. Robot non potremo fare a meno di raccontare la capacità di Sam Esmail di tenere insieme un racconto organico, complesso e coerente pur mantenendo un numero e un’imprevedibilità di twist narrativi decisamente fuori dalla media.
Se sul piano narrativo Esmail è andato sempre ad altissima velocità, su quello formale non è stato certo da meno, dando vita a cose così bizzarre da stagliarsi in maniera indelebile nella nostra memoria, come l’episodio quasi interamente girato e narrato come se fosse una sit-com degli anni Ottanta. In generale, ciascuna stagione ha avuto i suoi picchi di sperimentazione, dimostrazioni plastiche di un regista che non solo sa come usare la macchina da presa, ma che ha anche un controllo incredibile del racconto e riesce a fare cose estremamente ambiziose senza perdere il timone della narrazione.

Al termine di una stagione di eccezionale qualità è possibile fare il punto sulla serie, su ciò che davvero voleva dire e sulle capacità del suo autore di intavolare una riflessione non solo politica ma anche teorica, sia per quanto riguarda alcune questioni affrontate nel corso delle stagioni, sia per quanto riguarda la natura stessa della serialità televisiva.
Nonostante inizialmente la serie potesse sembrare un racconto contro il potere, una storia interessata soprattutto a descrivere l’oppressione e la costrizione causate da un certo sistema economico-tecnologico, Mr. Robot con il passare degli anni si è rivelata qualcosa di diverso, affondando sempre di più le radici nella testa del protagonista e facendo in questo modo del lato insurrezionale solo una parte di una riflessione più ampia. La serie, a posteriori, si rivela essere una profondissima analisi di una persona piena di contraddizioni e traumi, un’indagine accurata sulla salute mentale, sui disturbi di personalità, sulle loro cause e sulle modalità migliori per affrontarli.
Il punto di svolta principale da questo punto di vista arriva in un episodio anch’esso particolarmente sperimentale, tutto ambientato in una camera e diviso in vari atti, che nell’ambito di una seduta di terapia fa emergere il principale trauma del protagonista, ovvero gli abusi subiti dal padre che hanno segnato in maniera indelebile il suo equilibrio psicofisico, causa principale della generazione dei suoi alter ego e dei mondi nei quali questi si muovono.

Se c’è una cosa che Mr. Robot non è, è un 10-hour movie, perché non cerca in alcun modo di assomigliare al cinema, pur essendo tra le serie più ambiziose sia dal punto di vista narrativo e formale. Esmail sceglie invece di esaltare i singoli aspetti della serialità televisiva, dando autonomia a tanti episodi e facendo di questi ultimi lo spazio in cui sperimentare, pur rimanendo all’interno di un racconto organico nel quale i momenti di innovazione formale sono spesso essenziali agli obiettivi generali della stagione.
Tutto questo si è tradotto nella quarta e ultima stagione della serie in un vertice creativo abbastanza unico, persino per le abitudini già eccezionali di Mr. Robot: perché la conclusione della stagione riesce a dare senso all’intero percorso dello show; perché l’ultimo e destabilizzante twist finale ricorda come la generazione di mondi narrativi a incastro abitati dalle personalità di Elliot sia stato un espediente perfetto per esplorare le qualità principali della serialità televisiva e in particolare la capacità di moltiplicare e intrecciare storie differenti che ha una testualità così estesa e persistente nel tempo e nello spazio.
Di questo non possiamo che essere grati a Sam Esmail, un autore che si è preso tantissimi rischi anche a costo di perdere milioni di spettatori per strada e di non incontrare (almeno temporaneamente) il favore della critica, ma che così facendo è riuscito a muoversi all’interno delle regole del racconto seriale spostando l’asticella dell’innovazione sempre più in alto, congedandosi con una stagione conclusiva che dà senso a tutto il resto e che invita a riguardare la serie dall’inizio. C’è davvero un modo per concludere una serie migliore di quello di lasciare gli spettatori con la voglia di ricominciare da capo?

Complimenti bellissima analisi, impossibile non essere d’accordo con la grandezza di questa serie. Tolta Twin Peaks la reputo la migliore degli ultimi 10 anni; sì, sopra Breaking Bad.
Peccato l’assenza di recensioni su queste pagine durante la trasmissione dell’ultima stagione, sarebbe stato un bel viaggio da percorrere insieme. Ho dovuto navigare in quella giungla di Reddit, pentitevene! 🙂
Finale emozionantissimo e di una bellezza struggente. dopo la grande delusione della seconda stagione, 3a e 4a ripartono con rinnovato entusiasmo ed ambizione fino al compimento del viaggio. tutti guardavamo in due/tre direzioni cercando l’ending classico e dicotomico. ci sbagliavamo. Mr. Robot è stato qualcosa di più di una serie tv. un viaggio interiore alla scoperta e riscoperta di se stessi. Complimenti ad Esmail, speriamo possa presto regalarci un altro grande prodotto quanto prima.
PS: mi associo al commento di Tiziano, avrei preferito percorrere il viaggio insieme a voi puntata dopo puntata… peccato!