Che siate appassionati di sport, di calcio, di drammi, di cose inglesi o di documentari con al centro le persone, c’è una sola cosa che dovete assolutamente recuperare: Sunderland ‘Til I Die.
Un piccolo riassunto per chi non è avvezzo al calcio: il Sunderland, una delle più famose e seguite squadre inglesi, retrocede in Championship, la Serie B inglese. La casa di produzione Fulwell73 ha un’idea: raccontare un anno di questa società nell’inferno della seconda serie inglese, analizzando da vicino una possibile cavalcata verso il ritorno alla gloria. Ma come spesso succede, la vita – e in questo caso lo sport – segue una traiettoria tutta sua: il Sunderland non solo non centra la promozione, ma dà al docu-reality quella svolta tragica che lo rende unico. Infatti i biancorossi retrocedono in Football League One, la Serie C d’Albione.
Come dicevamo all’inizio, però, questo docu-reality di casa Netflix non è di esclusiva visione solo degli appassionati di calcio: la scrittura e soprattutto il dipanarsi degli eventi, del tutto imprevedibili e drammatici, mettono al centro della narrazione le persone. Dal Presidente agli allenatori, dal Direttore Sportivo al più comune dei tifosi, Sunderland ‘Til I Die racconta a trecentosessanta gradi la realtà della società calcistica ma soprattutto della società in senso stretto, andando a pescare a piene mani nella vita di tutti i giorni di gente normale che vive – è proprio il caso di dirlo, dovreste vederlo per capire il concetto appieno – per il calcio ma soprattutto per il Sunderland.
Non è un caso infatti che il titolo sia ripreso da uno dei cori più famosi della squadra, con i tifosi che giurano amore eterno a un club che è radicato in maniera viscerale al territorio, uno dei più poveri d’Inghilterra, dove la gente ha lavori umili e quasi tutti sono nelle industrie pesanti che costellano il territorio.
Soprattutto la prima stagione scava a fondo nelle varie figure professionali, andando spesso a toccare anche lembi di vita privata, se non addirittura entrando nelle case di chi racconta un’annata partita con l’auspicio di un ritorno ai fasti di un tempo e che invece ha visto sprofondare la squadra ancora più a fondo. Il livello emotivo del racconto si fa sempre più coinvolgente: benché si sappia già, dal punto di vista di chi guarda, come andrà il risultato sportivo della stagione, nessuno può immaginare come si possa vivere un fallimento così totale dal punto di vista di un DS, di un Presidente o di un allenatore che non sa più da che parte girarsi. La Championship poi è uno dei campionati che dura di più al mondo: ventiquattro squadre per quarantesei giornate. Quasi cinquanta partite sono un’infinità di tempo, dove davvero due o tre partite di fila giuste o storte possono cambiare l’esito di una stagione, e questo documentario, un dramma in piena regola, lo sottolinea in maniera magistrale.
Sì, perché Sunderland ‘Til I Die è un drama fatto e finito, con un finale tragico che ha pochi precedenti. È il classico caso del giallo che ha per colpevole il maggiordomo: sapete già come finisce, ma morite dalla voglia di vedere perché andrà così. E questo show è proprio questo: vi accompagna piano piano nel baratro, facendovi vivere in prima persona le emozioni dello spogliatoio, della dirigenza e degli spalti. Il tutto è ancora più esplosivo per l’attaccamento che tutti hanno per questa maglia e per questa squadra, forse l’unico motivo di svago e di distrazione dalla povera vita di tutti i giorni per le migliaia di persone che la seguono allo stadio e in televisione.
La seconda stagione è la naturale prosecuzione della prima, con la squadra che, nella terza divisione inglese, tenta una difficile risalita con dirigenti, allenatore e giocatori nuovi di zecca. Qui l’esito è meno conosciuto rispetto a quello della prima stagione, quindi non ve lo diciamo: possiamo solo dire che, al netto di due puntate in meno rispetto alla prima annata, anche qui i colpi di scena – e i drammi – non mancheranno di certo.
In definitiva, Sunderland ‘Til I Die è sicuramente uno show imperdibile per gli amanti del pallone, specialmente quello inglese che ha una concezione di questo sport ancora più viscerale di quella nostrana. Ma questo non deve spaventare chi con il calcio non ha niente a che fare: provate a dargli una chance, perché il drama e il thrilling che si respirano di puntata in puntata potrebbe coinvolgere anche i non appassionati di pallone.
È un docu-reality che si recupera in fretta e che può benissimo colmare le poche sere che ci separano dall’inizio della nuova stagione calcistica, facendo gli scongiuri che non capiti una cosa simile alla nostra squadra del cuore.
Questo articolo fa parte della rubrica estiva “Recuperi Seriali 2020“: durante il mese di agosto parleremo, con articoli senza spoiler, di alcune delle serie 2020 di cui non abbiamo avuto l’occasione di parlare e che secondo noi andrebbero assolutamente recuperate!
È straziante. Quando si dice che la realtà supera l’immaginazione, chiaramente parla di questa docu-serie