Nel corso degli anni la serie anime tratta dal manga di successo L’Attacco dei Giganti (Shingeki no kiojin il titolo originale) ha aumentato esponenzialmente il numero di appassionati, portando la saga ad una fama rilevantissima anche oltreoceano. La quarta stagione della serie, poi, era particolarmente attesa perché anche l’ultima, tanto che gli autori gli affibbiano fin da subito il sottotitolo “The Last Season”; purtroppo per gli spettatori però la stagione è necessariamente divisa in due parti, con la seconda che sarà sviluppata dopo la fine del manga, il cui ultimo capitolo uscirà nel mese di maggio in Giappone.
Nonostante tante piattaforme streaming da noi europei accessibili abbiano nella loro libreria di contenuti le prime tre stagioni di L’Attacco dei Giganti, dobbiamo ringraziare Amazon Prime Video e VVVID per una trasmissione in simulcast, in ritardo di solo pochi giorni rispetto alla messa in onda in patria. Questa scelta distributiva è stata vincente e ha catalizzato l’attenzione del pubblico sull’uscita dei nuovi chiacchieratissimi episodi, altra prova del successo di questo tipo di distribuzione rispetto al rilascio di intere stagioni tutte insieme. Un altro dei fattori che hanno alimentato la curiosità per questa quarta stagione è stato il cambio di studio d’animazione: da Wit Studio, che ha curato le prime tre, la palla passa allo studio MAPPA (Kakegurui, Jujutsu Kaisen), chiamato all’arduo compito di non far rimpiangere l’ottimo lavoro delle stagioni precedenti e allo stesso tempo di dare il proprio contributo originale e riconoscibile alla serie.
Questo passaggio non poteva avvenire in un momento migliore: con il finale della terza stagione, infatti, la trama della serie svolta in modo radicale. Con l’apertura della fantomatica cantina di Grisha Jaeger lo sguardo dei protagonisti si sovrappone a quello degli spettatori che non possono far altro che leggere/guardare la vera storia dell’isola di Paradise, del popolo di Eldia e delle vicende che hanno portato questi esseri umani a vivere confinati all’interno di cinte di mura, ignari del motivo e costretti a difendersi dalle versioni mostruose dei loro compatrioti. Il finale-spiegone che chiude la terza annata ha più di una funzione: in primis riavvolge tutta la narrazione, presentando i fatti così come sono avvenuti realmente – il che porta lo spettatore a riguardare tutta la storia sotto una luce diversa – e in secondo luogo è utile a rendere ancora più stratificato e complesso il worldbuilding, già eccezionale, dell’opera.
In tutto il conflitto tra Eldia e Marley risuonano fortissimi gli echi della storia del ‘900: in modo non troppo velato gli Eldiani, che vivono in un ghetto, assoggettati da una potenza straniera ipermilitarizzata, sistematicamente emarginati e sterminati, utili solo per il loro “potere”, rappresentano tutte le oppressioni e le discriminazioni razziali della nostra storia recente, dall’antisemitismo al razzismo verso gli afroamericani. Da questo punto di vista è spiazzante come Isayama, autore del manga e sceneggiatore della serie, scelga di ribaltare completamente il punto di vista ambientando una buona metà di questa prima parte di stagione all’interno del regno di Marley, mostrando le condizioni di vita degli Eldiani oppressi e approfondendo i rapporti di forza che intercorrono nella geopolitica fittizia del mondo de L’Attacco dei Giganti. Il simbolo di oppressione più grande è certamente la convinzione per i giovani di Eldia che l’unico modo che hanno per espiare quella sorta di “peccato originale” del loro popolo – di cui loro ovviamente non hanno alcuna colpa ma che ereditano involontariamente – sia quello di diventare dei “Guerrieri”, ovvero combattere e morire per la nazione di Marley e diventare così cittadini onorari.
È fortissima e anche qui, per nulla nascosta, la forte critica alla guerra operata dalla serie: con questo ribaltamento di fronte e con l’attacco di Eren alla capitale di Marley la situazione si inverte e quelli che sono stati vittime nelle scorse stagioni si trasformano in carnefici, generando una spirale di violenza vendicativa incontrollata che continuerà a mietere vittime, senza dei veri vincitori. Nulla di nuovo, è la storia dell’umanità semplificata ai minimi termini, una lotta continua tra pari rivestita da motivazioni ideologiche, religiose, economiche e politiche. In questo cuore tematico della stagione si inserisce un’ambientazione completamente rinnovata che passa dalle atmosfere medievali-rinascimentali delle prime stagioni all’ingresso nell’età contemporanea, con gli armamenti e la tecnologia del ventesimo secolo e una fotografia molto più spenta e “grigia”.
La struttura narrativa, dunque, fa un uso molto intelligente di flashback, flashforward e racconti che si svolgono in parallelo, lasciando come sempre molti non detti e dando le risposte tanto attese alle domande che sorgono nei momenti giusti. È il caso per esempio del piano organizzato da Zeke ed Eren, che diventerà poi il centro dei dibattiti che chiudono questa prima parte di stagione: in sostanza la soluzione che propongono è un’utopia eugenetica che si fonda sul far estinguere in modo “naturale” il popolo di Eldia. In questo modo eliminando la forza distruttrice ed ereditaria dei giganti si eviteranno tutte le guerre per appropriarsene e, nella loro idea, questo porterebbe all’eliminazione totale dei conflitti. Una soluzione quantomeno discutibile che porta a galla questioni morali ed etiche molto complesse.
In tal senso è interessante il modo in cui vengono gestiti i rapporti e le evoluzioni dei personaggi. La trasformazione più evidente è certamente quella di Eren: il ragazzo, disilluso e spiazzato dalla verità, si adopera per cambiare il futuro del popolo tra le mura, spinto da una sorta di delirio di onnipotenza, portato dalle tragiche esperienze che ha vissuto che lo hanno anche trasformato in cinico e crudele, al punto da sopprimere ogni sentimento e operare violenza persino contro Armin e Mikasa. Questo sviluppo di Eren in villain era piuttosto imprevedibile e, in linea di massima, non è stato gestito al meglio, deputando al time skip la maggior parte dei chiarimenti sul suo indurimento d’animo. Un lavoro migliore è quello svolto sui nuovi personaggi: Gabi e Falco sono vittime di un sistema che, attraverso l’educazione fin da piccoli e il revisionismo storico, genera dei contenitori d’odio pronti a esplodere. Lo dimostra il loro viaggio sull’isola di Paradise e i continui stimoli contraddittori che giungono a Gabi, incapace di comprendere cosa accade – anche per via della giovane età – e continuamente condizionata dall’indottrinamento che ha ricevuto fin da piccola.
La quarta stagione de L’Attacco dei Giganti dimostra ancora una volta la grande forza narrativa del proprio concept, allargando lo sguardo e portando chi guarda a riflettere su tematiche importanti, oltre che seguire gli avvincenti sviluppi della trama. Questi temi, però, non sono mai proposti in modo sottile e vengono regolarmente sbattuti in faccia allo spettatore – ma questa è una delle caratteristiche tipiche della narrazione del Sol Levante. Lo sviluppo caratteriale di alcuni personaggi e le eccessive lungaggini di alcuni episodi possono risultare fastidiose, ma nel complesso ogni episodio è altamente godibile e interessante, con cliffhanger ben piazzati che tengono altissima l’attenzione. Un’altra menzione d’onore obbligatoriamente va alla sigla, che alterna grigie immagini belliche ai colori sgargianti delle esplosioni, creando un contrasto disturbante accompagnato dalla splendida “My War” del gruppo Shinsei Kamattechan.
Dopo una prima parte di stagione così convincente l’attesa per il finale di serie è ancora più alta; una seconda parte che si preannuncia ricca di azione a giudicare dal finale di “Cielo e terra”. Purtroppo per sapere cosa accadrà dobbiamo attendere almeno fino al prossimo inverno.
Voto: 8