Tra le produzioni di AppleTV+ volte ad arricchire il già piuttosto ampio e variegato catalogo, quest’anno spicca The Mosquito Coast, un progetto interessante per diverse ragioni: in primis è il remake di un film omonimo del 1986 con Harrison Ford e diretto da Peter Weir, ma è anche a sua volta tratto da un romanzo del 1981 scritto da Paul Theroux, zio dell’attore Justin Theroux (The Leftovers) che troviamo qui nelle vesti del protagonista.
L’attenzione su questo prodotto è decisamente importante e porta a farsi una domanda tipica in questo genere di operazioni: si tratta del tentativo ormai classico e abusato di tradurre un film cult in un prodotto seriale che non aggiunge nulla alla storia, o c’è dietro l’intenzione di riprendere, aggiornare e aggiungere qualcosa di interessante alla trama originale? Un buon punto di partenza è vedere chi c’è dietro il progetto: come creatori e showrunner della serie troviamo Neil Cross e Tom Bissel; il primo è un romanziere inglese con una già lunga e virtuosa carriera in tv, da Luther a Crossbones fino ad alcuni episodi di Doctor Who durante il ciclo di Moffat, il secondo è noto al cinema per aver sceneggiato il film sulla realizzazione di The Room di Tommy Wiseau, The Disaster Artist, ma soprattutto per la sua carriera nel mondo della sceneggiatura di videogiochi, vantando sul curriculum titoli di successo del calibro di Uncharted e Batman: Arkham Origins. Alla regia di questi primi due episodi vediamo all’opera, invece, Rupert Wyatt, noto soprattutto per uno dei capitoli della nuova trilogia dedicata a Planet of the Apes, nello specifico Rise of the Planet of the Apes, e in tv solo per qualche pilot di poco conto negli anni passati.
The Mosquito Coast è un dramma familiare in tutto e per tutto: all’inizio della serie la famiglia Fox, formata dal padre Allie (il già citato Justin Theroux), la madre Margot (Melissa George) e i due figli adolescenti Charlie (Gabriel Bateman) e Dina (Logan Polish), vive in California, apparentemente lontana da tutti i vezzi e le interconnessioni sociali della società occidentale. Allie, infatti, è un idealista che rigetta le norme e le leggi della società in diverse materie quali per esempio l’educazione dei figli – sceglie in accordo con la moglie di non mandarli a scuola e di farli studiare a casa – ai quali non lascia nemmeno la possibilità di utilizzare il telefono; inoltre il suo ingegno lo porta a sviluppare sistemi alternativi per procurarsi le materie prime di cui necessitano, come per esempio recuperare carburante dagli scarti organici dei fast food o l’idea di creare il ghiaccio tramite la combustione. Nonostante tutto questo sembri derivare da un genuino quanto estremo ideale di vita, ben presto gli spettatori si accorgono che il motivo per cui i Fox cercano di interagire il meno possibile con altre persone e scelgano volontariamente di escludersi dalla società civile deriva da esigenze ben diverse: forse qualcuno li sta cercando, forse il loro obiettivo è non essere trovati.
Da questo input parte la trama di The Mosquito Coast che, a giudicare dai primi episodi, dovrebbe avere tutte le caratteristiche dei classici road movie: un gruppo di personaggi che si sposta continuamente con cambio frequente di ambientazioni, degli inseguitori determinati a braccarli in ogni modo possibile, una buona dose di azione e tensione ad ogni ostacolo che incontrano sul loro cammino. Effettivamente se “Lights Out” si prende una buona fetta di tempo a introdurre i personaggi e il contesto in cui si muovono, “Foxes and Coyotes” – che fa un gioco di parole sul cognome dei protagonisti – si muove proprio su questi binari e si concentra sul lato action della serie. La cosiddetta “Mosquito Coast” del titolo, ovvero “Costa delle zanzare”, fa riferimento ad un lembo di terra situato sulla costa orientale tra l’Honduras e il Nicaragua e si presume che si tratti del luogo di destinazione della fuga dei personaggi, sebbene nei primi due episodi non se ne faccia ancora alcun cenno.
Essendo un family drama che ricorda moltissimo alcuni prodotti del passato – se si pensa all’ambientazione un piccolo rimando a Breaking Bad scappa sicuramente – uno spazio importante lo occupano i legami familiari e tutte le difficoltà nel crescere dei figli in un contesto così complicato. I primi episodi puntano molto la lente sulle differenze tra Charlie e Dina e sul rapporto che hanno con la figura paterna: il primo idolatra il padre ed è talmente consapevole delle sue tribolazioni da essere disposto a mentire ad una poliziotta per lui; la seconda d’altra parte è perennemente in una fase di scontro con il suo stile di vita, auspicando per se stessa un futuro nel quale non deve vivere isolata dalla società. In questa dinamica si inserisce anche Margot, vera scheggia impazzita della situazione e complice non del tutto convinta di Allie del quale, sebbene abbracci la sua ideologia e il suo ribrezzo verso il consumismo, è sempre più insofferente e preoccupata per la sicurezza della famiglia.
Quest’ultimo aspetto è forse uno dei più interessanti dei quali vuole parlare lo show ma, allo stesso tempo, è probabilmente quello meno efficace in questi primi due episodi. La critica al capitalismo e il ribrezzo che Allie prova per gli esponenti delle istituzioni è rappresentato per ora solo attraverso alcune linee di dialogo poco ispirate che suonano come dei comizi troppo ben preparati per risultare spontanei. È certamente uno dei temi più interessanti che la miniserie è chiamata a sviluppare meglio e in modo più approfondito per evitare di trasformarlo in un pretesto per giustificare le motivazioni di alcuni personaggi e nient’altro. Il principio alla base di questo discorso è di estrema attualità: l’uomo che vale solo in quanto consumatore, una società che lascia indietro i deboli e premia i forti, un sottobosco di individui che diventano invisibili perché “non utili”, il tema dello spreco di risorse, l’economia circolare. Insomma, di spunti di riflessione ce ne sono tantissimi, agli autori il compito di non perderseli per strada e integrarli in modo intelligente alla trama che vogliono raccontare.
In definitiva The Mosquito Coast non sembra essere solo il tentativo di prendere un film degli anni ’80 e allungarlo per farlo diventare una serie; gli argomenti che la pellicola andava a toccare e che potrebbero essere esplorati anche dallo show sono fortemente ancorati alla nostra contemporaneità e in potenza potrebbero dare vita ad un prodotto capace di equilibrare la sua componente dinamica ed action a quella più riflessiva e critica verso il capitalismo occidentale. Al netto di due episodi il giudizio è tutto sommato positivo ma sospeso in attesa di vedere che strade prenderà la narrazione.
Voto 1×01: 7 ½
Voto 1×02: 7