È finalmente arrivata su Disney+ con una premiere di due episodi The Acolyte, la nuova serie di Star Wars creata da Leslye Headland, una delle menti dietro al successo della serie Netflix Russian Doll. Annunciata alla fine del 2020 in quel famoso Investor Day della Disney in cui Lucasfilm presentò buona parte dei progetti arrivati negli anni successivi, The Acolyte si presenta come il primo prodotto live-action ambientato lontano dal periodo di quasi settant’anni che intercorre tra La Minaccia Fantasma e L’Ascesa degli Skywalker.
Nello specifico, The Acolyte si colloca alla fine dell’Alta Repubblica, l’epoca di maggiore splendore dell’Ordine Jedi durata circa quattro secoli e iniziata più o meno 500 anni prima della battaglia di Yavin, quella in cui vi fu la distruzione della Morte Nera e che viene solitamente usata come anno zero da cui calcolare i vari eventi della saga (nello specifico, con la dicitura BBY, letteralmente before the battle of Yavin). Per i fan più accaniti e amanti dell’universo letterario della saga, l’Alta Repubblica è un periodo ben conosciuto: sono infatti ormai tre anni che i romanzi e fumetti di The High Republic hanno portato un’ondata di aria fresca in Star Wars con un gruppo molto ampio di personaggi memorabili e racconti di alto livello, elementi che hanno influenzato anche il recente videogioco Jedi: Survivor.
L’aspetto curioso è che la creazione di The Acolyte è avvenuta in parallelo allo sviluppo del grande progetto letterario di The High Republic, due idee nate indipendentemente ma che hanno portato i vari autori a una stretta collaborazione e che permettono una certa continuità estetica e tematica – uno dei personaggi più importanti dei romanzi appare negli episodi “Lost/Found” e “Revenge/Justice”, cosa che però non influisce minimamente sulla visione. Tra i vari aspetti positivi della serie, infatti, c’è sicuramente il fatto che non abbia legami eccessivi con altri racconti da impedire l’accesso ai neofiti o a chi non guarda/legge tutto quello che è legato a Star Wars, in forte contrasto con Ahsoka che, in questo senso, si trovava agli antipodi.
Senza scendere troppo nel dettaglio, la storia, ambientata circa un secolo prima de La Minaccia Fantasma, ruota attorno a Mae (Amandla Stenberg), una misteriosa assassina che ha l’obiettivo di eliminare dei Jedi, e al gruppo di cavalieri dell’Ordine che cercano di fermarla e scoprire che cosa ci sia dietro alle sue azioni, rendendo The Acolyte un thriller con un grande mistero da svelare, in un periodo di pace nella galassia e in cui, come detto prima, i Jedi sono all’apice del loro potere. Si tratta di una premessa molto interessante con il potenziale di incuriosire di chi non è rimasto pienamente soddisfatto dalle ultime uscite nella galassia lontana, lontana.
Purtroppo, come ormai accade troppo spesso con le serie di Star Wars, The Acolyte è stata accolta dall’immancabile ondata di recensioni estremamente negative da parte degli utenti online – il cosiddetto “review bombing” -, che colgono ogni occasione per screditare l’operato di Kathleen Kennedy, definendo ogni nuova uscita come propaganda woke, che porterà alla rovina della saga e alla fine della Lucasfilm, guardando con nostalgia alla gestione di George Lucas, come se non avesse mai preso decisioni discutibili. È un’epoca di grandi polarizzazioni, che riflettono in maniera fin troppo simile quella del resto del mondo, e che rendono spesso estremamente spiacevole il provare a confrontarsi su qualcosa come Star Wars che porta tanta gioia nella vita di molte persone.
La critica, invece, si trova dalla parte opposta e, senza aver gridato al capolavoro, ha espresso nel complesso giudizi positivi. E infatti questa doppia premiere di The Acolyte ha tantissimi elementi da amare e che la rendono un’aggiunta estremamente interessante alla saga di Star Wars, un prodotto decisamente valido in cui sì, non tutto funziona alla perfezione, ma che è a anni luce di distanza dal disastro che sembra aver visto una fetta molto rumorosa di internet. Pensiamo per esempio ai combattimenti, rinominati come Force-fu per l’aver unito Kung Fu e la Forza: la loro messa in scena è davvero ottima e portano un elemento di novità essenziale affinché qualcosa come Star Wars possa sostenersi nel corso degli anni, e che danno ancora di più il senso di essere in un’epoca inesplorata.
Funzionano molto bene anche tutti i personaggi, come l’antagonista Mae, il cavaliere Jedi York (Charlie Barnett) – per certi versi, una sorta di Dwight Schrute dell’Ordine -, o la padawan Jecki Lon (Dafne Keen), il cui look si ispira a David Bowie. Spicca però su tutti, almeno per il momento, il maestro Sol, interpretato dalla star coreana Lee Jung-sae che tutti conosciamo per il suo ruolo di protagonista in Squid Game, che appare più simile a un Qui-Gon Jin che altri, e forse anche per questo riesce a fare quasi subito breccia nel cuore degli spettatori. Questi, però, sono Jedi tutt’altro che perfetti e molto più simili a quelli della seconda trilogia, una delle generazioni di cavalieri che con molta probabilità si allontaneranno sempre di più dalle basi dell’Ordine, avvicinandosi alla rappresentazione vista nei film prequel.
Leslye Headland ha più volte affermato come sia cresciuta con i prequel, e questo amore si vede tutto in The Acolyte, dove emerge soprattutto il desiderio di mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Ordine dei Jedi e affrontare discorsi filosofici legati alle loro idee e al loro ruolo che avvicinano il progetto, a livello concettuale, anche a Gli Ultimi Jedi (che fu ovviamente odiato da tantissimi fan). Dei prequel, va però detto, vengono ereditati anche alcuni degli aspetti meno riusciti, come alcuni dialoghi non proprio all’altezza e una messa in scena non sempre impeccabile.
Si tratta però di elementi che non minano in un nessun modo la riuscita della serie e, benché non si possa gridare al capolavoro, The Acolyte si presenta al pubblico con un ottimo inizio, forte di un gruppo di personaggi molto interessanti e un mistero affascinante che sembra promettere grandi colpi di scena, in quello che più che essere un classico whodunit, sembra un whydunit, si cercherà insomma non di capire chi commette il crimine, anche perchè viene svelato quasi subito, ma quali sono le sue motivazioni. C’è chi parlerà della tanto agognata Star Wars fatigue, l’affaticamento dovuto dall’uscita di troppi prodotti legati a questo franchise, ma va detto che sono ragionamenti che si fanno principalmente nel momento in cui la qualità dei prodotti è al di sotto della aspettative – infatti dopo l’uscita di Andor nessuno ne parlava. Se The Acolyte riuscirà a sfruttare al meglio le ottime basi che ha gettato, quando la stagione giungerà al termine a metà a luglio, forse se ne parlerà in maniera più obiettiva e serena.
Voto 1×01: 7 ½
Voto 1×02: 7 ½
In effetti c’è uno zoccolo duro di accoliti integralisti che sembrerebbero più impegnati a far le pulci ai Filoni o alle Kennedy di turno piuttosto che ad apprezzare le tante, ottime cose che ci vengono proposte. Che cambino saga e diventassero tutti dei “trekkers”, almeno lì da oltre 60 anni si cucina la stessa minestra!