
Si tratta di un posizionamento narrativo e produttivo non indifferente, che carica di aspettative un racconto che invece sceglie di sottrarsi alla mitologia iperbolica del franchise per concentrarsi su qualcosa di molto più personale: il trauma, il lutto, e l’identità di una ragazza che, a differenza di molti suoi predecessori, non sembra in alcun modo interessata a diventare un’eroina. Riri Williams, interpretata da una convincente Dominique Thorne, fa ritorno a Chicago dopo essere stata espulsa dall’MIT. Un ritorno che non ha nulla di trionfale: senza risorse e con una reputazione compromessa, la giovane si ritrova a collaborare con un gruppo di criminali per cercare di portare avanti le sue ricerche e, soprattutto, migliorare l’armatura che l’ha già messa sotto i riflettori in Black Panther: Wakanda Forever. Ma qui non siamo davanti a un’esaltazione del genio tecnologico alla Tony Stark: le ambizioni di Riri sono immerse in una realtà ben più concreta, che ha a che fare con il dolore per la perdita del patrigno e della sua migliore amica Natalie, figure costanti nella narrazione pur non essendo più presenti fisicamente. Sono infatti proprio queste assenze a costituire il vero motore emotivo della serie, il nucleo attorno al quale si costruisce non solo il personaggio, ma l’intera narrazione dello show.

Dal punto di vista narrativo, la serie mostra un lodevole tentativo di uscire dai binari classici della “origin story”. Riri non è interessata ad abbracciare un destino eroico, né a inserirsi nelle logiche salvifiche del MCU. La sua storia è più raccolta, più intima, e per questo più affine alle produzioni post-Endgame che hanno provato a esplorare il trauma con maggiore profondità, come WandaVision, con cui la serie condivide anche la tematica del confronto tra scienza e magia. Particolarmente riuscito è il modo in cui la serie affronta la perdita di Natalie, l’amica d’infanzia di Riri la cui morte aleggia su ogni scena. Senza scendere nei dettagli, la relazione tra le due ragazze si trasforma in un legame che supera i limiti del tempo e della morte, grazie ad un efficace espediente narrativo che rappresenta probabilmente la scelta più coraggiosa della serie. Le sequenze più intime, come le visite di Riri ai murales commemorativi o i momenti di solitudine in laboratorio, trovano così un giusto bilanciamento con le scene d’azione, affidate a due ben orchestrate sequenze heist poste al centro del secondo e terzo episodio. Questi colpi permettono alla protagonista di confrontarsi con i propri limiti e di prendere consapevolezza delle conseguenze delle sue scelte, mantenendo alto il ritmo della narrazione.

Pur con queste riserve, si può comunque riconoscere alla serie una certa coerenza di tono e di visione, oltre ad una protagonista diversa, al tempo stesso fragile e determinata, meno incline alla battuta pronta e vicina alle inquietudini della propria generazione. Per i fan più accaniti dell’MCU, Ironheart rappresenterà una dignitosa aggiunta all’ormai sconfinato catalogo del franchise: non era giusto chiederle di essere la chiave di volta di un intero universo narrativo, e ora sappiamo con certezza che non lo sarà. Non resta quindi che lasciarsi accompagnare da Riri nella seconda metà della miniserie, in attesa del 25 luglio, quando i Fantastici Quattro apriranno ufficialmente la tanto attesa Fase 6.
Voto 1×01: 6 ½
Voto 1×02: 7
Voto 1×03: 6 ½
