Dopo le rivelazioni del precedente episodio, American Horror Story si concede una parziale pausa dalle vicende principali, per concentrarsi sugli aspetti più introspettivi del suo mondo e dei suoi personaggi. Ciò non nuoce per nulla al ritmo e offre ulteriori spunti di riflessione sulle degenerazioni dell’universo sociale che Murphy ha portato sul piccolo schermo.
Forse per la prima volta, il flashback iniziale di un episodio non ci concede alcuna informazione utile ai fini della trama orizzontale. In questo Spooky Little Girl, la sequenza ha infatti solo la funzione di portare la nostra realtà all’interno della “fiction”: scopriamo che uno dei fantasmi dell’attuale casa Harmon altri non è che Elizabeth Short, la ragazza passata alla storia come la Black Dahlia, e la cui morte, ancora oggi avvolta nel mistero, ha persino ispirato uno dei più famosi libri noir di James Ellroy (poi trasportato al cinema da Brian de Palma).
Proprio la sensualità e la sottile atmosfera di perversione tipiche del noir sono le assolute protagoniste (in un modo, a dir la verità, nemmeno troppo sottile) di questo episodio. Ben Harmon è infatti solo il corrispettivo negli anni duemila dei protagonisti maschili di quelle storie, ossessionati da una sessualità femminile dirompente che non riuscivano a gestire e che rischiava di portarli all’auto-distruzione. Ecco che allora la rilettura della vicenda della Black Dahlia (qui interpretata da una sexy Mena Suvari), ci aiuta a configurare le donne di American Horror Story come tante dark lady dalla sessualità eccessivamente disturbante, punite per i loro peccati o con la morte (Moira e Hayden), o con la reclusione in un istituto psichiatrico (Vivien), definito non a caso da Ben “the Hell”.
L’unica dark lady ancora in vita è un’agguerritissima Constance Langdon, personaggio sempre più a fuoco nella sua sensualità manipolatrice e distruttiva, nella sua frustrazione per una famiglia perfetta che non è mai riuscita a costruire e nella rabbia per un sogno americano che per lei non si è mai realizzato (il diventare una grande star). Una sempre più strepitosa Jessica Lange risolve alla grande, grazie alle sue scene con Tate e il “toy boy” Travis, la problematica di dover concentrare praticamente un intero episodio sul personaggio di un monocorde Dylan McDermott, vero tallone d’Achille in un cast dimostratosi finora eccezionale.
Del resto, a questo punto della storia, era quasi d’obbligo concentrarsi su di lui e mettere meglio a fuoco il suo percorso di superamento delle proprie frustrazioni/ossessioni e di espiazione delle proprie colpe. L’episodio del resto altro non è che un continuo tentativo di raggiro e manipolazione di Ben per mano delle protagoniste femminili (lo “spooky” del titolo non indica solo la loro natura “spettrale”, ma vuol dire anche “spaventoso”, “imprevedibile”, “misterioso”). Ci si addentra fin dentro le sue fantasie sessuali, si precipita nel baratro con lui (è purtroppo necessaria la quasi caricaturale sigaretta in bocca per dare un minimo di cupezza da bad boy all’attore), e alla fine si fa un piccolo passo verso la redenzione: Ben ammette sia la solitudine che l’ha portato a “usare” Hayden, sia la possibilità che Vivien sia stata davvero stuprata. “You’re finally beginning to see things as they are” gli dice Moira, apparendogli finalmente per quello che è.
Per un Ben che inizia a redimersi, c’è un altro personaggio maschile, Travis, il toy boy di Constance, che invece rimane vittima dei suoi sogni e della sua debolezza. Come la Black Dahlia, sarà prima oggetto e poi vittima delle ossessioni altrui, sballottolato da una donna all’altra, reo di volersi costruire un’identità al di fuori di quella che gli altri vogliono per lui (padre e marito per Constance, amante sessuale per Hayden). Finirà per essere quello che è sempre stato: un corpo e nulla più, un giocattolo gettato tra le erbacce una volta rotto, un fantasma come tutti gli altri che non sono riusciti a soddisfare il loro bisogno fondamentale: “One person who believes in you”, come ricorda proprio Elizabeth.
Ciò che però farà maggiormente discutere i fan della serie saranno i due cruciali risvolti finali della trama principale: la superfecondazione eteropaternale (ebbene sì) e la scatola del Papa che annuncia la fine del mondo, due trovate in bilico tra il trash e l’improbabile, ma che invece si inseriscono perfettamente nella rilettura del genere horror, spesso volontariamente ironica, che la serie continua a portare avanti (in questo caso, sul tema dell’Apocalisse). Tutto starà nel vedere come gli autori sapranno gestire la storia dell’Anticristo e dei due gemelli dai differenti padri che Vivien porta in grembo. Questo proiettarci dal microcosmo di casa Harmon alla Fine del Mondo potrebbe comunque rappresentare un sentiero pericoloso da intraprendere per una serie focalizzata su piccoli spazi che finora hanno quasi sempre escluso il mondo esterno.
Sebbene Spooky Little Girl non regali particolari sorprese e ritmi vertiginosi, dimostra meglio che in passato la capacità degli autori di svelarci l’“american horror” nascosto in ognuno dei loro personaggi e di renderlo talmente complesso, instabile e debordante, da farci temere che casa Harmon (ormai sempre più abitata) non sia più sufficiente a contenerlo. Tanto basta a creare un’enorme aspettativa per il sempre più imminente finale di stagione.
Voto: 8