
La storia di questo episodio è un po’ atipica rispetto al solito: non solo si tratta di un detenuto nero che cerca di continuare la sua vita precedente – nella fattispecie la sua attività di cuoco – in una prigione in cui le differenze razziali sono straordinariamente sentite (siamo all’inizio degli anni 60), ma soprattutto perché Clarence Montgomery è, o meglio era, innocente. Non era lui l’artefice dell’assassinio della fidanzata, ragione per cui è finito ad Alcatraz. Partendo da questo punto di vista – che risulta in parte difficile da accettare dato che per lo spettatore la puntata si apre proprio con Clarence che commette nel presente un omicidio – man mano si dipana la matassa e si arriva a capire cosa è davvero accaduto al ragazzo.

Clarence Montgomery arriva da innocente ad Alcatraz e, su invito del Direttore, decide di diventare, dopo essere stato il primo cuoco afro-americano in un country club, il nuovo cuoco responsabile delle cucine della prigione. Con la palese contrarietà del Vice Direttore Tiller – con cui sembra avere più di uno screzio – il Direttore decide di provare tale esperimento etnico, terminante in un colossale fallimento. Nel frattempo, però, nel bel mezzo della notte Clarence viene prelevato dalla sua cella e sottoposto alle cure del Dottore Beauregard che usa l’elettroshock, appreso da Singupta, stavolta per instillare il senso di colpa nella mente del detenuto. Le conseguenze sono disastrose: il suo cervello ha dei veri e propri blackout, in cui non solo uccide le sue vittime, ma pone anche il loro corpo così com’era stata ritrovata la sua fidanzata.
È per questo che, inizialmente, anche Soto e Rebecca cadono nella trappola di vedere Clarence come assassino. Ovviamente i dubbi non possono non sorgere quando si scopre che il primo assassino negli anni sessanta e poi del duplice omicidio al presente sono l’uno mancino, l’altro destrorso. La sua ricerca, ovviamente, si fa serrata, ma quel che emerge in maniera chiara è che Clarence è solamente una vittima, vittima di una serie di esperimenti – come dirà poi Soto – che negli anni sessanta vengono perpetrati ai danni dei tanti detenuti nel mondo. Un sistema che ricorda da vicino lo straordinario “Arancia Meccanica” e che anche qui viene posto come normalità.
Il punto più debole dell’intera struttura risulta essere nuovamente il presente in cui si lavora come se questa serie trattasse di un semplice omicidio-indagini-rincorsa-cattura/morte; ridurre Alcatraz ad un procedurale, che è poi l’errore principale degli autori stessi, significa volerne ammazzare la forza che attualmente sembra in realtà spingere tutta la baracca, ossia la creazione non solo di segreti e sotterfugi, ma anche di personaggi che possano funzionare e legarsi vicendevolmente. Quel che ne esce, invece, è semplicemente una struttura debole, in cui lo spettatore risulta poco interessato alle vicende del presente, ma solo di ciò che accade nel passato. Con la sola esclusione di Hauser – che pure al passato è strettamente legato – non si riesce a provare alcuna connessione non solo con la protagonista Rebecca, ma nemmeno con Soto che risulta essere un elemento piacevole ma la cui presenza è sempre troppo debole (e che, bontà sua, riesce anche a rimorchiare un medico legale piuttosto discreto). Non c’è dubbio che la maggior parte delle attenzioni le rubano i personaggi del Dottore e del Direttore.

Giunti all’ottavo episodio – sicuramente migliore di tanti altri – Alcatraz ancora non riesce a liberarsi e volare indipendentemente. Che sia per l’assenza di trame come in precedenza, o per l’eccessivo numero di esse, come in questo caso, si sente ancora una forte indecisione circa la strada da intraprendere. Tutto questo, purtroppo, non permette ad Alcatraz di attrarre quanto vorrebbe (e gli ascolti ne sono uno specchio ottimale, in questo caso, con perdite continue di spettatori).
Voto: 6


Quoto in pieno…la costruzione psicologica dei personaggi del 60′ è sicuramente più approfondita e meglio costruita, però è anche vero che nel presente ci si dedica soprattutto a risolvere il caso,e benchè anche a me piacerebbe sapere di + sul passato di Soto (il famoso rapimento a 11 anni) e le relazioni tra Rebecca,il nonno e ciò che è successo nel 1963 è inevitabile che l’attenzione si sposti sul risolvere il caso e cmq già il fatto che i personaggi che indagano sono in qualche modo legati personalmente al carcere mi fa quantomeno ben sperare per il futuro.
Sull’episodio poco altro da dire,sinceramente mi sarebbe piaciuto uno sviluppo maggiore della questione razzismo,ovvero le differenze di uno che viveva in una società razzista rispetto al più vivibile e rispettoso presente,ma capisco che sarebbe stato fuorviante rispetto alla trama principale.
Come sempre il Direttore è semplicemente magistrale,se non vogliono farci capire se è buono o cattivo ci stanno riuscendo alla perfezione (quando fa lo st****o alla fine sembra farlo a fin di bene e quando premia o si comporta bene verso gli altri ha sempre un secondo fine malvagio sotto -sinceramente la premiazione a cuoco del carcere di Montgomery mi puzza molto-,è incredibile xD).
Io cmq mi aspetto di vedere nel presente anche il direttore e aspettando l’episodio su Madsen (o qualche notizia in più) sono sempre più fiducioso verso questo telefilm…