Touch – 1×04/05 Kite Strings & Entanglement 3

Ancora numeri (e non solo) da decifrare e nuovi collegamenti da rintracciare in questi due episodi di Touch, in cui si torna a parlare di mondo islamico e di 11 settembre. E se Stati Uniti e Iraq si fanno la guerra, il Destino intanto li mette in comunicazione in modi che nemmeno loro immaginano.

Kite Strings

Va’ dove ti porta Jake. In questa semplice frase potrebbe essere riassunto il quarto episodio di Touch (ma forse anche un po’ tutta la serie). Kite Strings evidenza infatti benissimo quello che si sta via via delineando come il maggior difetto di questo show: l’immobilità del rapporto tra Martin e Jake.

Gli autori sono infatti incappati in un pericoloso vicolo cieco: a meno che il bambino non deciderà di parlare o di accettare il contatto umano, il suo legame con il padre è destinato a non evolvere. Jake rimarrà un muro invalicabile, mentre Martin è e sarà sempre il protagonista passivo che non fa altro che decifrare e seguire i segnali del figlio, correndogli dietro in modo sfiancante (solo in questo episodio, Jake viene richiamato per una cinquantina di volte in un minutaggio poco superiore ai venti minuti, quasi un record). La ripetitività dei dialoghi, nonché della struttura narrativa (Jake scrive dei numeri, Martin li segue, nel frattempo accadono altre cose in altri luoghi e tutto si scopre alla fine collegato) dà un senso di pesantezza alla storia che rende l’insieme davvero poco scorrevole.

Se poi si considera che abbiamo a che fare da una parte con un personaggio, il bambino, che è sostanzialmente “onnisciente” e che quindi sembra sapere sempre come dovrebbero andare le cose e come poi effettivamente andranno, e dall’altra con un protagonista, Martin, mai padrone dell’azione se non attraverso il figlio, la tensione narrativa viene allora ridotta praticamente ai minimi termini, con lo spettatore che non deve fare altro che affidarsi all’onniscienza del ragazzino (che, al di là dell’empatia facile che suscita l’autismo in tv, inizia ad avere dei comportamenti anche un po’ al limite dell’irritante).

La trama ha comunque il pregio questa volta di risparmiarci eccessive forzature nei risvolti dell’intreccio, sebbene faccia quasi sorridere il modo semplicistico con cui viene affrontata la presenza delle truppe americane in Iraq, che, insieme all’abusatissima retorica sull’11 settembre, esalta qui come non mai un certo buonismo lacrimevole filo-americano presente ormai nella serie fin dall’inizio. I monologhi recitati dal bambino, ricchi di frasi ad effetto che chiunque potrebbe trovare tra le banalità dei post più stucchevoli di Facebook (che a quanto pare ha ormai preso il posto degli antichi “Baci Perugina”), oltre ad aver già stancato al quarto episodio, rendono ulteriormente pedante una narrazione di per sé già troppo didascalica. Certo, di positivo c’è il ritorno di facce già conosciute, che aiuta nella fruizione della show poiché lascia intuire la presenza di un disegno più grande (anche se, a conti fatti, ancora totalmente sconosciuto), così come dà un tocco di mistero in più la storyline legata alla moglie di Martin: i racconti di chi era con lei l’11 settembre e la lettera in cui si avverte il marito dell’impossibilità di identificare i resti della donna, lasciano presagire (colpo di scena già bruciato?) il fatto che la Signora Bohm possa in realtà essere ancora viva e vegeta.

Tuttavia, sono troppo pochi questi elementi di novità per sostenere una struttura così debole, anche perché gli autori sembrano non avere ancora troppo chiaro come e dove infilare questi indizi, quasi come li volessero buttare lì tanto per ricordare allo spettatore che hanno qualcosa di più grande in mente. Cosa sia questo “big picture” non è ancora però minimamente immaginabile. E questo non necessariamente è un bene.

Voto: 6-

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Entanglement

“I’m asking you to change the conversation” suggerisce l’assistente sociale a Martin in questo episodio, ma sembra quasi anche una sorta di riferimento proprio all’immobilità della serie. In questo Entanglement siamo infatti passati dal chiamare Jake una cinquantina di volte all’evergreen “He’s trying to communicate with me“, altro esempio di dialogo ripetitivo già visto e stravisto nel solo giro di 5 episodi. Speriamo che gli autori colgano questo invito a cambiare discorso che si sono qui inconsciamente fatti. Bisogna comunque dire che in questo episodio, forse il migliore dal pilot, si prova a modificare un po’ la struttura, inserendo ad esempio una sorta di simbolo o figura matematica al posto del solito numero ricorrente. Nulla di speciale, ma perlomeno è un tentativo di variazione da apprezzare anche solo per il gesto.

In più, la trama si arricchisce di elementi che rimandano a un discorso narrativo più generale, grazie ai misteriosi studi di Arthur e al suo passato al quale accenna la figlia. Il problema di questi inserimenti continua tuttavia ad essere la sensazione che tutto venga messo un po’ random senza una precisa idea. Che fine ha fatto, ad esempio, la stanza numero 6? Nel terzo episodio ci si chiedeva cosa avesse di speciale e nessuno ha ancora approfondito? Quello che manca è un senso di continuità in questi indizi di trama orizzontale, che tra l’altro continuano a poter voler dire tutto o niente: aggiungono mistero, ma non danno allo spettatore elementi sufficienti per poterci fantasticare su.

Certo, le buone cose vengono poi bilanciate dalle tante altre negative, come un’insistenza ai limiti del fanatismo con cui si parla della fede nel Destino e nella sua potenza salvifica. Pur non tirando in ballo il nome di Dio, questa sorta di ossessione e i continui sermoni fatti dai vari personaggi sul “destino che ci ha fatto incontrare”, più che una sorta di ideale romantico, stanno iniziando ad acquistare i connotati della peggiore deriva mistica stile “Settimo cielo”. Il problema non si trova tanto negli argomenti narrati, quanto in fase di sceneggiatura: invece di suggerire certe scelte, ci vengono spiegate in modo trito e ritrito (c’è bisogno di fare tutti quei discorsi sul Destino se questa è una serie chiaramente improntata sugli incontri/scontri voluti dal Fato sotto forma di relazioni numeriche?). Il continuo didascalismo rischia di affondare e appesantire una narrazione che già scricchiola per le numerose forzature e ingenuità: il mondo dei “buoni musulmani” mostrato in questo episodio, ad esempio, è solo quello occidentalizzato dalla presenza di Xbox, I-Pad, I-Phone e “Chris Rock”, mentre ancora meno credibile è l’inverosimile figura del padre comprensivo verso una figlia che infrange tutte le ferree leggi sul ruolo della donna nella loro società. In sostanza, credibilità, ritmo e soprattutto il prendersi un po’ meno sul serio (viste le premesse fantasiose della serie, a che pro tutte queste pomposità?), sono gli elementi su cui Touch dovrebbe lavorare in futuro per diventare una serie con la quale appassionarsi.

Voto: 6