Davanti ad una bellezza che crea desiderio proprio per il suo essere irraggiungibile, quale prezzo saremmo disposti a pagare? Quale comportamento ci concederemmo di dimenticare?
E’ da questa riflessione di Don che vorrei partire ad analizzare l’episodio più complesso di Mad Men finora mostrato; un concentrato di pensieri e morale, azioni condotte o nascoste come la polvere sotto il tappeto, scelte di vita destinate a cambiare una persona per sempre. C’è chi compra e chi si rifiuta, ma anche chi si lascia comprare e chi a se stessa non è in grado di dare un prezzo: da questa apparente dicotomia si creano personaggi tutt’altro che monolitici, le cui azioni non sono giudicabili in un unico modo.
“He’s not bad” “He’s doing this”: gli uomini
Che Herb Rennet veda Joan come l’uomo della pubblicità vede la Jaguar è un parallelo piuttosto scontato, anche se magnificamente esaltato da un montaggio alternato che ci fa passare dalla presentazione all’incontro, con le parole di Don come unico collante; meno scontato è che questa visione della donna venga in qualche modo giustificata dagli uomini della SCDP (Don no, ma ne parlerò più avanti).
Sebbene sia la proposta indecente di Rennet a dare il via a tutta la puntata, la vera reazione a catena viene innescata da Pete, che in mente ha solo l’affare con la Jaguar e che non si ferma davanti a nulla, nemmeno a conversazioni ricostruite a suo piacimento e a frasi opportunamente mal interpretate. Del resto, per lui questo è un gioco (non una carriera, come dirà Peggy) e tutti sono pedine che devono essere disposte a “compiere il sacrificio” (in nome non di se stessi, ma dell’azienda): “è solo una notte della tua vita”, dice ad una Joan incredula, mettendo a paragone quelli che possono essere errori nella vita di chiunque con un atto di prostituzione – che per lui è solo “business at a very high level”. E’ la Jaguar la vera amante di Pete, in questo caso: quella “mistress”, quella “other woman” che deve esserci ma che non si può nominare, in nome della quale tutto diventa acquistabile, sacrificabile, possibile. Del resto, lui a questa idea ci è abituato da un pezzo: un’amante l’ha avuta e ora vuole un appartamento in città, forse proprio per Beth, o forse perché New York è un’altra grande irraggiungibile che suscita desiderio.
Ci sono anche Roger e Cooper, che si fingono indignati salvo poi lavarsene le mani, l’uno con un “ok, ma io non pago” – che pesa ancor di più se si pensa al suo legame con Joan –, l’altro con un finto-cavalleresco “Let her know she can still say no” che manifesta una visione ancora più irrispettosa, perché nessuno lì dentro ha ancora capito che la vera offesa non è nella risposta, ma è già insita nella domanda. C’è Lane, offuscato dalla sua necessità di soldi per ben due volte: non solo consiglia a Joan la partnership per non dover sborsare 50.000 dollari che metterebbero in crisi il suo bonus, ma la spinge ad accettare il patto al grido di “sei una mamma sola con figlio” per non perdere un cliente che sicuramente andrebbe a coprire i buchi da lui creati dopo la richiesta di estensione del credito. Si tratta di una scelta disperata (e inutile, dato che Bert di bonus non ne vuole più sentir parlare) ma che fa dubitare del personaggio, tanto da chiedersi fino a che punto questa scelta sia in character.
E poi c’è lui, Don. “At last. Something beautiful you can truly own” dice Ginsberg, illuminato dall’uomo “che ha tutto, ma desidera altro”: ma Don non riesce mai davvero ad avere sua moglie (non come vorrebbe, almeno), che è troppo presa dai suoi sogni per renderlo davvero partecipe di ciò che le sta accadendo e che ormai sempre più spesso stabilisce il buono e il cattivo tempo all’interno della coppia. E mentre Don è preso da tutto questo, non si accorge delle “other women”, questa volta in senso fortemente affettivo: quelle donne a cui è legato da rapporti di stima e di amicizia, ma che in questa puntata perde proprio perché non coglie per tempo tutti i dettagli. Il fastidio percepito davanti alla proposta di Pete (che lo porta poco dopo a voler depennare il concetto di “amante” dalla pubblicità perché troppo volgare) è però solo una difesa di Joan in quanto tale, non una riflessione più estesa: lei è la “donna da salvare”, non la donna e basta; e questo ce lo dimostra proprio il suo comportamento con Peggy, che è il suo alter-ego, la sua valvola di sfogo. E’ per questo che Don non capisce nemmeno quanto la stia insultando quando le getta dei soldi in faccia, quanto il costante farla sentire inadeguata – proprio come ad inizio episodio – sia un trattamento umiliante. E proprio per questo il suo atteggiamento non è per nulla migliore degli altri, perché la sua difesa di Joan (benché encomiabile rispetto ai colleghi) non è un discorso morale, ma qualcosa di più sottile: è la difesa di una mancanza di rispetto nei confronti di un’amica che in qualche modo è ancora il prototipo della donna di casa (“She has a husband in Vietnam and a baby at home” come lo stesso Don sottolinea in riunione), mentre ad una come Peggy è richiesto di sopportare il prezzo del suo essere proiettata verso il futuro, del suo volersi mescolare in faccende da uomini.
Una parte di Don apprezza e stima il cambiamento femminile, ma un’altra parte lo vuole ancora figlio del suo tempo: è per questo che il suo rapporto con Megan è sempre sulle montagne russe, diviso tra stima e rispetto per la sua indipendenza e volontà di possesso da esercitare in quanto marito.
E persino alla fine, quando vedrà Joan entrare in ufficio con tutti i soci, sarà difficile capire se il suo sguardo di delusione sarà più rivolto al suo non essere arrivato in tempo a salvare Joan o se lo stia logorando il dubbio di non aver vinto per le sue capacità, ma per le curve di una donna trasformata nell’altra dagli eventi.
“I don’t think you can afford it”/“There’s no number”: le donne
Posto che quella frase di Joan fosse chiaramente una battuta e non un invito a pagarla profumatamente (e questa è tutta per te, Pete), ciò non toglie che alla fine la rossa accetti la proposta in cambio di una partnership che assicurerà un futuro per sé e per suo figlio.
Potremmo stare ore a parlare della sua decisione, ma è difficile non vedere nell’umiliazione da lei mostrata un chiaro riferimento alla puntata precedente e al suo discorso con Don: chi può volere una donna della mia età, divorziata e già con un figlio? Il pensiero che anche Don fosse d’accordo con la proposta ha sicuramente avuto una parte nella sua scelta: non solo quello sguardo (che capiremo solo quando la scena verrà riproposta nella sua giusta collocazione temporale) ci fa comprendere che forse lei avrebbe agito diversamente se avesse saputo; ma anche nel momento di riflessione su cosa fare della sua vita, quanto può aver pesato l’idea che l’amico a cui ha rivelato tutte le sue incertezze fosse propenso a consigliare questa soluzione? E quella scena, ripetuta due volte, vuole dirci proprio questo: come sarebbe andata se Don se ne fosse interessato prima? Se non avesse pensato, come Pete gli dice nell’unica frase sensata che gli esce dalla bocca nell’episodio, che una riunione si conclude solo perché Mister Draper se ne va?
Don è tutto fuorché nel suo periodo migliore. Il suo è un matrimonio schizofrenico, in cui le oscillazioni d’umore (personali e della coppia) sono all’ordine del giorno e in cui è normale che la moglie lo interrompa sul lavoro per motivi non certo urgenti, ma che poi se ne vada di casa sbattendo la porta; in cui il dubbio che l’uno non creda nell’altro è dietro l’angolo e in cui sogni e aspirazioni vengono abbattuti e ricostruiti nell’arco di pochi dialoghi, come se nulla contasse davvero. Don supporta Megan senza volerlo fino in fondo, sempre perché una parte di lui non riesce a riconoscere questo nuovo ruolo della moglie, non più confinata in cucina o in una sala parto; lo accetta, gli piace pure, ma finché non arriva a minacciare il suo, di ruolo. E Megan in parte lo capisce, in parte è comunque inserita in un mondo che vede ancora la donna come un pezzo di carne su un Playboy qualunque: e quanta delusione nel suo provino, in cui la prima cosa richiesta è di mostrarsi “fronte e retro” per la gioia di tre maschi che considerano quello più importante di tutto il resto.
E’ a causa di tutto questo che Don dà per scontata Peggy, per sua stessa ammissione, e la sua bravura, che pure viene esaltata con toni entusiastici dai colleghi. L’essenza di Don sta tutta lì, in quelle motivazioni arrancate che cerca di carpire dalla scelta di Peggy di andarsene: “E’ per la Jaguar? No perché sai, quelli delle macchine le donne non le vogliono, non me lo puoi mica chiedere (anche perché la donna serve solo come parallelo zoccolesco che si usa ma non si dice). È per Joan? No, aspetta, è per i soldi! Dimmi una cifra e io la supero subito!” No Don, ancora non hai capito che c’è qualcosa più importante di questo, e che sbattere i soldi in faccia (fisicamente e metaforicamente) ad una come Peggy è una mossa senza senso. Peggy non si dà un numero: ci ha messo molto, ha sofferto tantissimo (e lo si vede nel ringraziamento al suo mentore) e sopporta senza battere ciglio la rabbia di Don – vera, autentica ira: un Jon Hamm da triplo Emmy ci accompagna attraverso tutti i suoi stati d’animo, quasi per farci sentire sulla nostra pelle ognuno dei suoi sentimenti. E lei, Peggy, che con il magone punta i piedi per ottenere quello che merita; lei che non l’avrebbe mai fatto con nessuno, figurarsi con Don; lei, che sta capendo quanto vale e che, senza rancore, lascia il suo capo e amico, con la consapevolezza che anche lui avrebbe fatto lo stesso.
Con quel bacio, Don emoziona tutti, perché condensa in un solo gesto tutti quegli stati d’animo visti prima: il rimorso e il rimpianto, l’affetto e la mancanza, la commozione e la consapevolezza di averla persa.
Un plauso a Elisabeth Moss, che passa dal mento tremolante di quella che è la scena più commovente di sempre al sorriso fiero e risoluto di chi si affaccia ad una nuova vita, con i Kinks in sottofondo a sottolineare la sua uscita dalla SCDP.
Tra prezzi da pagare e comportamenti dimenticati, Mad Men produce la puntata più bella, difficile e crudele dell’intera stagione, nonché tra le migliori di sempre. Il finale ci libera dal senso di costrizione e di nausea percepito durante l’episodio, anche se è impossibile non volgere un pensiero al personaggio di Peggy Olson e dedicarle la frase che le è toccata in sorte come ultima battuta: Don’t Be a Stranger.
Voto: 10, e Emmy come se piovesse.
Episodio perfetto. Nulla da aggiungere alla splendida recensione, che me l’ha fatto rivivere e – di nuovo – emozionare.
Avrà aiutato un po’ il fatto che sia incentrato sui tre personaggi migliori (Don, Peggy, Joan) e che sia senza Betty 😀
Recensione PERFETTA!! Complimenti
Grazie!!! =)
Quanto tempo è passato da “The Suitecase”! Il finale di quest’episodio si pone come la diretta continuazione, ma nessuno, tra quelli che hanno in mente ancora impressa l’immagine di Peggy che stringe la mano a Don al mattino dopo una tremenda nottata nella scorsa stagione, sperava in uno scioglimento del genere.
Ma è così che deve andare, questo è il percorso di Peggy e, soprattutto, questo il destino di Don. Uomo che vede la Storia correre ormai più veloce di lui, che si vede sprofondare sempre più in quel baratro (la tromba dell’ascensore di qualche episodio fa era solo un cattivo presagio, non avevamo ancora visto nulla) da cui non si esce se non ridimensionati.
Ma come si fa a ridimensionare un personaggio bigger than life?
Niente da aggiungere alla recensione come sempre perfetta di Xfaith. TRa gli episodi migliori della serie senza dubbio.
Tutto da 10e lode…stagione…episodio…recensione…