Seguendo cronologicamente gli eventi più importanti degli ultimi anni, la serie HBO continua la sua cavalcata verso il presente in sostanziale continuità con gli episodi precedenti.
The Newsroom è una serie eccezionale intesa nell’accezione etimologica del termine. Fa eccezione perché dal punto di vista creativo/produttivo è dominata da una personalità talmente forte da poter avere carta bianca da una delle emittenti più potenti del panorama televisivo americano. Aaron Sorkin ha scritto tutta la prima stagione di The Newsroom, puntata per puntata, senza affidarsi (stando ai credits) ad alcun collaboratore. Non succede spesso, anzi, per la verità non succede quasi mai, che un creatore sia anche lo sceneggiatore di tutti gli episodi. Mad Men si avvicina a quest’impostazione, ma in quel caso Matthew Weiner, a differenza di Sorkin, non è quasi mai sceneggiatore unico degli episodi. Sarà il tempo a dirci se tale modalità di produzione, che trova origine nella politique des auteurs francese e più in generale nel cinema della modernità degli anni cinquanta, sia la più redditizia per il medium televisivo, quella che si adatta meglio ad una testualità così espansa. Di sicuro però è una modalità che permette a noi spettatori di conoscere al meglio Sorkin, indipendentemente dalla qualità effettiva del prodotto finale.
“5/1”, scritto da Aaron Sorkin e diretto da Joshua Marston
In questo episodio si assiste alla messa in pratica del modus operandi dell’autore, alla concretizzazione del suo modo di pensare tramite lo sfruttamento di uno dei momenti giornalisticamente più importanti della storia recente: il titolo infatti si rifà alla data nella quale è stato catturato e ucciso Osama bin Laden. La serie ci ha abituato fin dal pilot a percepire la realtà e la sua rappresentazione giornalistica come parti integranti sia della narrazione sia del format. Sorkin ama i “dietro le quinte”, ma ogni situazione narrativa di questo tipo necessita di un “davanti” in cui succede qualcosa, un espediente narrativo tale da mostrare il gruppo a lavoro, la squadra di professionisti tanto amata dall’autore. Da qui i casi d’attualità giornalistica protagonisti di ogni episodio, i quali svolgono la doppia funzione di dare scintilla e linfa alle dinamiche relazionali tra i personaggi da un lato, e di permettere a Sorkin di raccontare la sua America dall’altro.
In questo episodio Sorkin viene fuori in maniera prepotente. Affrontare un evento di tale importanza mediatica gli permette di lasciare leggermente da parte le questioni di natura romantica relative alle due coppie protagoniste e di dimostrare tutta la sua conoscenza del giornalismo e della politica americana. Assistere ad una stagione interamente pensata e scritta da un solo individuo vuol dire anche avere la possibilità di arrivare al settimo episodio con una mappa mentale non solo dell’universo narrativo della serie, ma anche – e forse soprattutto – del suo creatore. Su questa linea si pone quella che inizialmente sembra un’ingenuità narrativa: Charlie riceve una soffiata rispetto ad un discorso che il Presidente si appresterà a fare riguardo ad un argomento di sicurezza nazionale e immediatamente immagina che l’oggetto sia la cattura di bin Laden. Apparentemente può sembrare poco verosimile che tra le tante possibilità (alcuni prendono in considerazione un messaggio alla nazione relativo all’esistenza degli UFO) Charlie possa aver indovinato al primo colpo, ma con l’andare avanti dell’episodio l’autore mette in fila una serie di sequenze in cui è evidente quanto sia pesante la figura del leader di al-Qaida sull’immaginario americano; riusciamo a capire quanto male faccia ancora quella ferita sui singoli individui, così tanto male che altre persone oltre a Charlie pensano, con la forza della speranza, quasi fosse un desiderio segreto reso possibile dal misterioso messaggio presidenziale, che l’oggetto del discorso sia la cattura e/o la morte di Osama.
Un episodio dunque incentrato sul racconto di una giornata, quella della luce in fondo al tunnel per molti americani, quella in cui molti altri realizzano che quella morte, tanto desiderata, non serve proprio a nulla, né a riportare indietro i morti di dieci anni prima, né tanto meno a far sentire più sicuri i cittadini di una nazione ormai da troppo tempo e troppe volte ferita. La scelta di chiudere con le parole di Will che annuncia la morte di bin Laden e poi quasi passa la parola ad Obama che recita il discorso sul nero dei titoli di coda merita sicuramente una menzione speciale.
Voto: 7
“The Blackout Part I: Tragedy Porn” scritto da Aaron Sorkin e diretto da Lesli Linka Glatter
L’episodio ruota attorno al calo d’ascolti subito da News Night e, come già accaduto in altre puntate, l’oggetto del contendere è la manichea oscillazione tra i due estremi: offrire la migliore informazione possibile e soddisfare la pancia degli spettatori con notizie meno rilevanti ma più appetibili per il cittadino medio. Fin dall’incipit si assiste alla discussione tra gli stati maggiori del telegiornale rispetto alla scelta di non riportare la cronaca di un processo non tanto rilevante dal punto di vista informativo, ma decisivo nel far passare una grossa fetta di spettatori ai tg concorrenti che hanno scelto di seguirlo. Come al solito McKenzie interpreta il ruolo della dura e pura, di quella che si rifiuta categoricamente di inseguire il pubblico, propendendo per una selezione qualitativa degli argomenti da seguire da parte dei membri dello staff. In maniera abbastanza prevedibile questa sottotrama prosegue con la flessione della produttrice esecutiva e la relativa beffa: nel finale Sloan la mette spalle al muro in presenza di tutti i colleghi rimproverandola di non avere come priorità la trattazione della votazione sull’aumento del tetto del debito, decisiva per la stabilità economica del paese. Nulla di nuovo rispetto a ciò che di The Newsroom abbiamo imparato a conoscere fino ad ora.
Ciò che invece suscita maggiore curiosità è l’identità dell’uomo misterioso che nel precedente episodio aveva dato la soffiata a Charlie sulla cattura di bin Laden. Solomon Hancock, che si fa chiamare con lo pseudonimo di “Late for Dinner”, si rivela un informatore fondamentale in quanto comunica a Charlie l’esistenza un progetto top secret chiamato Global Clarity, operazione che si basa sull’utilizzo di una macchina in grado di intercettare qualsiasi cosa viaggi su piattaforme digitali, come mail, telefonate, sms e via discorrendo. In quello che è il più bel dialogo dell’episodio, Solomon, per descrivere le capacità di tale prodigio tecnologico, cita lo strumento utilizzato da Batman in The Dark Knight, in grado di intercettare qualsiasi cosa. A questo punto è automatica una riflessione sulla portata della complessità del mondo delle serie tv e il loro rapporto con le altre forme di intrattenimento e, in ultimo, con la realtà. In un mondo in cui la tecnologia si fa sempre più pervasiva, nel 2008 Christopher e Jonathan Nolan scrivono The Dark Knight in cui nel finale viene messa in moto la macchina citata nell’episodio. Nel settembre del 2011 va in onda Person of Interest, serie tv prodotta dalla CBS e creata da Jonathan Nolan (e J.J. Abrams), il quale imposta un racconto basato tutto sullo sviluppo di quella macchina; offre così una cupo affresco metropolitano che piega le regole del procedural a una narrazione ipertecnologica basata sull’oggetto, formidabile e terrificante al contempo, presente nel secondo capitolo della trilogia su Batman di Christopher Nolan. Il cerchio si completa con la citazione in questo episodio di The Newsroom, che, nonostante chiami in causa l’opera dei Nolan di quattro anni fa, non può però non far pensare alla serie di quest’anno, firmata (guarda caso) dallo stesso autore.
Per il resto si assiste ad un episodio in cui Sorkin ribadisce ancora una volta il suo gusto per le autocitazioni, per il racconto di una storia sempre uguale a se stessa che vive soprattutto di variazioni sul tema. Un episodio che, forse in maniera ancora più ostentata di altri, si pone come una (didascalica?) dichiarazione di poetica, ritornando sul disprezzo per internet di Will (e di riflesso di Sorkin), sulle citazioni del Don Chisciotte come modello di vita, e persino su alcuni modi di dire che, quasi volendo assurgere allo stato di sorkinismi, vengono ripetuti sempre più spesso (“fucking around”).
Voto: 7
In conclusione, a due episodi dalla fine possiamo affermare che The Newsroom ci ha reso di sicuro più attenti a ciò che ci circonda, impostando la narrazione su un contesto estremamente attuale, pregna di eventi che hanno segnato la storia recente dell’America e non solo. Le enormi aspettative con cui la serie ha avuto inizio, però, sono state in buona parte deluse perché è ormai chiaro a tutti che l’ambiente giornalistico e il rapporto con la politica americana sono solamente il contorno di una romantic comedy in cui Sorkin impiega il suo talento più nella costruzione di dialoghi brillanti che in quella di personaggi sfaccettati.