Non dev’essere semplice sopravvivere a un’onda d’urto come il finale della scorsa stagione. Quell’epilogo avrebbe potuto essere la pietra tombale su Boardwalk Empire, la parola fine sulla sua narrazione, se gli autori non avessero immediatamente dimostrato tutta la loro abilità e tutto il loro coraggio.
Sì. Ci vuole prima di tutto coraggio. Se decidi di sacrificare il personaggio più amato dopo Nucky Thompson, o sei un suicida o sei uno con degli attributi enormi. Il caso di Sons of Anarchy è emblematico: il creatore della serie ha deciso di non far morire uno dei suoi protagonisti principali, in quanto troppo importante per gli equilibri della stagione successiva e per l’epopea della serie nel suo complesso. Tale scelta, di cui si è compresa l’effettiva portata solo in un secondo momento, suscitò all’epoca non poche perplessità. Boardwalk Empire si è comportato inversamente, suscitando, però, altrettanti dubbi. L’uccisione di Jimmy è servita, infatti, senza ombra di dubbio a garantire un finale straordinario, ma per resistere al contraccolpo della sua assenza, era necessario dimostrare un carattere, un coraggio e una personalità fuori dal comune.
Personalità è senza dubbio la parola chiave di quest’episodio, nonché una qualità di cui gli autori della serie non sono certamente sprovvisti. La maggior parte dei personaggi messi a fuoco in Blue Bell Boy sono infatti chiamati a dimostrare il loro carattere, come se si trovassero nella stessa condizione degli autori all’alba di questa terza stagione, in bilico cioè tra un’esistenza mediocre, fatta di ordinarietà anestetizzante, e un colpo di coda, un segnale di vita forte, di quelli che distinguono i cavalli di razza da quelli da soma.
Owen e Margaret si trovano a questo bivio: legati da una passata avventura amorosa, sono oggi uniti dalla necessità di sopravvivere in un mondo in cui non sono dei leader, costretti a prendere contromisure, ad usare tutte le loro carte (anche quelle nascoste), per rimanere a galla. Margaret ha ormai terminato la sua trasformazione, diventando una sorta di gangster in gonnella, un’intimidatrice provetta, abilissima nell’appoggiarsi, con grande sicurezza e carisma, all’autorità e al potere del suo compagno/protettore Nucky (sebbene tra di loro non ci sia più nulla), in modo da ritagliarsi un piccolo personale feudo di potere. Owen, a sua volta, senza fare a meno di sfruttare il suo ruolo per soddisfare i propri desideri sessuali con Katy (una delle domestiche di casa Thompson), cresce notevolmente di importanza all’interno dell’organizzazione criminale e, proprio come Margaret, dà una svolta al suo ruolo non con un salto di grado, bensì con un salto di consapevolezza, mettendo però in questo modo, come si vedrà nel finale, una pulce nell’orecchio a Nucky non indifferente circa le sue effettive ambizioni.
“O trenta percento gonna look very cheep”
Altri personaggi in attesa di una svolta narrativa sono i due giovani rampanti degli altri due poli della costellazione criminale di Boardwalk Empire: Charlie Luciano a New York e Al Capone a Chicago. Il primo, quando incontra Joe Masseria, è protagonista di uno dei migliori dialoghi in campo e controcampo mostrati fino ad ora dalla serie. Parlando per la maggior parte del tempo in siciliano, i due sono alla ricerca di una prova di forza, ma Luciano viene messo subito spalle al muro: il giovane gangster dovrà infatti scegliere se fidarsi dei suoi partner ebrei (Rothstein su tutti) oppure dei paisà come lui e quindi andare sotto l’ala protettiva di Joe Masseria.
Quanto ad Al Capone, questo è per certi versi il suo episodio, quello in cui si indaga di più sulla sua condizione privata e su come questa incida sulla sua personalità (e, grazie alla straordinaria interpretazione di Stephen Graham, anche sul suo animo). Più in generale, si dà maggiore spazio ad un personaggio che da troppo tempo ormai non ne riceveva quanto meritava. Gli autori portano infatti lo spettatore a provare empatia finanche per un gangster sanguinario e cinico come lui, soprattutto quando lo si vede disarmato, impotente di fronte ad un figlio semi/autistico con un ematoma sul volto provocatogli da un bullo a scuola. E allora, tutti dalla sua parte, quando il suo facchino viene pestato (in un bellissimo parallelo col figlio) e lui lo vendica con una delle sue sfuriate iperviolente. Sicuramente, Al è uno dei personaggi più simpatici, al quale gli autori concedono nel finale la gioia di trovare serenità suonando il mandolino col proprio bambino.
Il vero colpo della stagione, però, Boardwalk Empire lo sfodera con il nuovo villain, Gyp Rossetti, personaggio fin dall’inizio misterioso e reale novità dell’anno, tanto da meritarsi l’apertura della premiere. In quel prologo c’era già in nuce tutta la sua essenza, tutta la violenza improvvisa, tutta la sua follia dovuta ad un enorme complesso di inferiorità. Il suo potere non risiede solo nella mancanza di controllo e di misura, ma sembra essere ben più radicato, come testimonia il fatto di avere al soldo il nuovo sceriffo e dunque la gestione della violenza sul territorio.
Infine Nucky. Lo abbiamo visto prima forte del suo potere, intento ad amplificare parallelamente la nobiltà della sua immagine pubblica e la ferocia di quella privata; successivamente, lo abbiamo ritrovato triste, in balia della solitudine e di desideri d’amore insoddisfatti. Ora gli tocca il confronto con Rosetti, un osso duro che gli ha sottratto anche l’appoggio politico e logistico dello sceriffo, depauperando notevolmente il suo potere d’azione. Gli rimane Eli, fratello ormai fedele (dopo essergli stato traditore), uomo che si è fatto sempre da parte, adattandosi al ruolo di affluente in favore di un corso d’acqua più nobile quale Nucky è. Oggi Eli è il redento per eccellenza, colui che dimostra di avere anche discrete qualità, personali e morali, se scevro da inaccessibili ambizioni. Questo Eli oggi è una delle poche cose che rimangono ad un Nucky così indebolito e ancora più pallido, chiamato a fronteggiare un’imboscata della polizia, a tenere testa ad un ragazzino sfrontato e a dimostrare di poter ancora reggere una situazione rischiosa mantenendo il controllo. La maggiore sfida, però, è quella di dimostrare – soprattutto ad Owen – di avere ancora dritte le antenne, di saper riconoscere i sottoposti ingrati da quelli integerrimi e di fiutare il tradimento con il giusto anticipo per non finire poi con i piedi davanti. In questa condizione, ci vuole carattere, una prova di personalità, alla quale, nel finale, il nostro eroe risponde con un colpo alla testa e uno sguardo che vale più di qualsiasi parola.
Una delle puntate migliori della serie, che ritorna alla sua coralità e getta tantissima carne al fuoco per il prosieguo della stagione. Una richiesta agli autori: più Al Capone, please!
Voto: 8,5
Gran recensione, grande serie e grandi gli autori. Lunga vita a Boardwalk Empire, grazie HBO
D’accordo su tutto: miglior episodio della stagione e, grazie al finale, anche uno dei migliori di sempre della serie. Le ultime scene sono veramente bellissime, e il modo con cui hanno tratteggiato tutti i personaggi in questa puntata è veramente magistrale.