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Homeland (Showtime), due stagioni all’attivo ed una terza in arrivo (esattamente dal 29 Settembre), e The Americans (FX), rinnovata per una seconda stagione a partire da Gennaio del prossimo anno, possono entrambe essere catalogate come spy-story di cui però rappresentano una rielaborazione in chiave intimista, privata, non solo psicologica, fatte da due diverse angolazioni ed entrambe giocate sulla pelle di due bravissime protagoniste, l’una agli antipodi dell’altra: da un lato la spia russa del KGB Elizabeth Jennings, interpretata da Keri Russell – quindi il punto di vista nemico -, dall’altro l’analista del CIA Carrie Mathison, con il volto di Claire Danes – dal lato dei (più o meno) buoni.

Chi fra Carrie ed Elizabeth ci ha appassionato di più? Quale mondo ci ha maggiormente affascinato, quello della spia russa in pieni anni ’80, o la disarmante attualità dell’agente della CIA? Queste le domande cui dobbiamo rispondere nel nostro confronto.
LA TRAMA
Carrie Mathison è un’analista della CIA che, dopo alcune operazioni in Iraq, torna nella sede di Langley, in Virginia, dove inizia ad indagare sul misterioso soldato Nicholas Brody, ritrovato dopo otto anni di prigionia in Iraq e da tutti ritenuto morto. Homeland inizia immediatamente: già dal pilot le azioni sono veloci, l’indagine è frenetica così come lo è la sua protagonista. È un susseguirsi di momenti che sanno di corsa contro il tempo: i dubbi di Carrie imprigionano subito lo spettatore, così perfettamente speculari all’innaturale rigidità del redivivo Brody, la cui statica freddezza racchiude l’altra metà del mistero e lo alimenta ancora di più. Tutto procede così, velocemente ma in maniera ponderata, una tensione calibrata che si regge su una continua sensazione di equilibrio instabile; una corda ben tesa e nutrita di colpi di scena, di elementi – come il bipolarismo di Carrie o la continua ambiguità di Brody – che concorrono a mantenere intatta l’iniziale empatia.

Per questa difficoltà iniziale di The Americans nell’entrare in contatto con la trama e i suoi personaggi principali, il primo punto se lo guadagna di diritto Homeland, che poteva benissimo sbandare in un vicolo cieco a causa della velocità iniziale e che invece ha corso ma anche sapientemente decelerato.
CARRIE VS ELISABETH
Le figure centrali, e che svettano inevitabili su tutti gli altri personaggi, sono appunto le due protagoniste femminili, così fortemente lontane tra loro ma con un punto di contatto fondamentale a legarle: la cieca dedizione al proprio lavoro, che per entrambe non è percepito come tale perché esiste una continua osmosi tra la vita e l’idea, la causa – più propriamente nel caso di Elizabeth -, ormai indistinguibili e senza argini possibili. Una nell’ombra, l’altra nella penombra portano avanti le loro idee e credono fortemente in quello che fanno perché è l’affermazione stessa del loro esistere.
Claire Danes dà voce, corpo, occhi, anima a Carrie Mathison, un personaggio sicuramente non facile e che per essere reso al meglio aveva bisogno di un corpo perennemente nervoso, teso, adrenalinico persino da sotto i castigati tailleur. La Danes è bravissima a restituirci il senso di claustrofobica appartenenza/dipendenza al lavoro di analista, il tormento per un amore proibito ma che cresce sotterraneo e l’inevitabile lacerazione che deriva tra questi due poli opposti, che si escludono a vicenda. Ma, nonostante i riconoscimenti che ha avuto (un Emmy e ben due Golden Globe consecutivi) c’è sempre la sensazione che sia troppo: una continua performance troppo sopra le righe, troppo urlata, troppo isterica, da far sentire enorme il divario con i momenti più rilassati, che ci arrivano strani, quasi circospetti.

Per la grande naturalezza e il candore che hanno caratterizzato il personaggio di Elizabeth, questo punto va allo splendido lavoro di Keri Russell, e quindi a The Americans – e comunque la Danes ha già troppi premi!
LA STORIA
Un altro punto in comune tra le serie, come già detto, è la ricostruzione storica, intesa non solo come numero di coerenti dettagli dell’epoca, ma come ricostruzione di un’atmosfera, un mood per cui non basta accumulare gli oggetti giusti, ma che si deve (paradossalmente) percepire nell’aria. Da un lato gli anni ’80, in piena amministrazione Reagan: in superficie è un periodo di florida economia, con al centro la famiglia e la middle class americana, ma nel profondo continua ancora da vent’anni la Guerra Fredda. A questo punto è perfettamente comprensibile la scelta di descrivere questa famiglia, che in superficie ha tutte le caratteristiche richieste, ma che giù, da basso – come la cantina in cui Elizabeth nasconde i suoi pochi cimeli russi – combatte una guerra inconsistente, rarefatta e senza forma, come anche il rapporto tra Phillip e la moglie, un qualcosa di percepibile e poco visibile.

Sono due architetture mirabili, cui è difficile accordare una lucida preferenza, perciò passi in questo caso un meritato pareggio.
LA FAMIGLIA
Il nucleo familiare è, in entrambi i casi, il luogo dove ricadono tutte le scelte che vengono compiute a qualsiasi livello, sociale o personale: perciò diventa luogo d’osservazione importantissimo. In The Americans, nonostante sia fondamentale in quanto copertura delle due spie, si parla ben poco del rapporto tra genitori e figli. Questa prima stagione si è concentrata molto di più sul rapporto tra Phillip ed Eizabeth, lasciando intravedere verso la fine un’apertura maggiore verso Henry e Paige – soprattutto verso quest’ultima. Pre-adolescente, l’ancora anonima figlia di casa Jennings muove i primi indiscreti passi verso l’adolescenza e quindi contro sua madre, ma è tutto rimandato alla prossima stagione.

Pur vero che Homeland vanta una stagione in più, lo scontro sulla famiglia finisce a favore della serie contemporanea di casa Showtime.
IL RESTO DEL CAST
Intorno alle due protagoniste gravitano molti personaggi importanti che ne completano le figure e, in alcuni casi, le sovrastano anche. Phillip Jennings, soprattutto nei primi episodi, risulta meno efficace di Elizabeth, ma conquista spazio e spessore in poco tempo. Un personaggio che di certo si impone all’attenzione già dal suo ingresso è quello di Claudia, una splendida Margo Martindale, sebbene arrivata a stagione iniziata; non hanno però lo stesso mordente l’agente Beeman e i suoi drammi familiari (Sandra). E il personaggio di Nina funziona meglio proprio quando prende le distanze dal suo sedicente salvatore.
E’ chiaro sin da subito che invece Nicholas Brody è l’altra importantissima metà della mela, così come è centrale ed irrinunciabile il personaggio di Saul, chiuso in una pacata e stoica solitudine, affiancato da Quinn, che, pur arrivato in coda, ha già la sua dimensione.
Il giudizio non è dato dalla mera quantità, ma quando questa si accompagna ad un dato qualitativo maggiore, il risultato non può che essere schiacciante: Homeland porta a casa anche questo faccia a faccia.
IL NOSTRO RISULTATO
Per noi si conclude 4 a 2 per Homeland, ma convinti delle grandi potenzialità di The Americans, che speriamo venga prima premiata di più dagli ascolti così da vederla magari comparire nelle nomine degli Emmy Awards il prossimo anno. L’appuntamento più vicino è comunque con il nostro vincitore: prendete calendari e post-it, domenica 29 Settembre c’è l’appuntamento con Carrie. Nel frattempo casa Showtime ha rilasciato un trailer niente male per ingannare l’attesa.
IL VOSTRO RISULTATO
Anche voi avete premiato la serie della Showtime: i voti sul blog, facebook e twitter hanno avuto come risultato il successo di Homeland con il 71,4% dei voti
IL PROSSIMO CONFRONTO
Il prossimo confronto vedrà sfidarsi i due psicopatici più famosi del mondo seriale: DEXTER VS HANNIBAL.
Da Lunedì potrete votare come al solito sul blog, su Facebook e su Twitter (#serialfight).







Giustissimo il vostro confronto! Vi do ragione quasi su tutto, anche se non ho avuto la vostra stessa impressione riguardo la nevroticità di Carrie. comunque non vedo l’ora di dexter vs. hannibal! sarà epico!
Consapevole di essere uno dei pochi a pensarla così, per me l’unica pecca di “The Americans” (serie comunque notevole) è proprio la scelta di Keri Russell, ma anche a livello di phisique du role: un fuscello di 50 chili che con qualche calcio volante dovrebbe avere la meglio su bestioni grossi il doppio di lei nelle scene d’azione, non è verosimile, in quelle in cui invece dovrebbe risultare la vamp sexy, con quelle game secche, addirittura penosa. Attrice in ogni caso mediocre. Nel confronto con la Danes, vince quest’ultima per cappotto 10-0.
Il confronto è equilibrato ma dove non c’è storia è proprio fra gli attori: Claire Danes è una spanna sopra Keri Russell!
Si nota che la recensitrice è una nostalgica di Felicity e quindi poco imparziale