Atlantic City, Chicago, Washington, Harlem. Boardwalk Empire, come da tradizione, continua a muoversi tra tanti scenari diversi, inquadrando un’epoca ed una società nel modo accurato e sontuoso che la contraddistingue. Ancora tanta descrizione e l’azione è invece solo sfiorata.
Che ciò non sia una novità è ben chiaro per i fan di una serie che ha fatto della forma la sua caratteristica principale, una cornice perfetta in cui si muovono attori impeccabili. Anche questo episodio, nonostante le speranze che aveva lasciato intravedere il precedente, si muove, lentamente e sapientemente, nella costruzione di questo quarto castello di eventi.
“I’ll find the weakest link in Thompson’s chain and I’ll break it.”
Washington D.C. L’agente Warren Knox inizia a delineare il suo raggio d’azione: cartina alla mano e al cospetto di J. Edgar Hoover, riepiloga quello che noi spettatori sappiamo già, cioè tutta la rete criminale collegata all’ex tesoriere di Atlantic City. L’inevitabile collisione che ci sarà tra Nucky e l’FBI è, fra tutti i filoni aperti, quello che si spera rechi le sorprese più destabilizzanti: non solo per il faccia a faccia con la giustizia, quanto perché porta con sé la sensazione di entrare nel vivo sia della serie che della Storia. Per il momento l’interesse è tenuto vivo anche per il personaggio stesso dell’agente Knox, interpretato da Brian Geraghty, e che basa tutta la sua ambiguità sulla discrepanza tra il suo aspetto e le sue ambizioni, cosa che era stata messa in evidenza (magistralmente) sin dal primo episodio.
Se il proposito è di distruggere l’architettura di Nucky dall’interno, nel momento in cui parla di anello debole il primo nome papabile per il titolo poteva essere quello di Willie, l’inquieto figlio di Eli, ma a lui scopriamo essere riservata altra sorte. Così ad ottenere l’attenzione dell’agente è Eddy: ombra fedele di Nucky, la sua importanza è cresciuta esponenzialmente soprattutto sul finire della scorsa stagione e, credo per la prima volta, lo vediamo immerso nella vita, mentre parla di se stesso, mentre canta tra i suoi connazionali e si bea con umile orgoglio per la promozione ricevuta. La cena con Ralph “Bottles” Capone diventa il luogo privilegiato per Eddy di ribadire la sua totale dedizione a Nucky – fate has a way of setting things in order – e la saggezza accumulata in anni di servizio – appearances are as important as reality, Mr. Capone. Discorsi che non possono non essere sentiti come profetici se collegati all’arresto che chiude la puntata: Knox costringerà Eddy a tradire il suo meister?
“I do have a sense of humor.”
Chicago. Altro importantissimo fronte, e che riserva il più alto tasso d’azione, è quello della famiglia Capone. Penso sia stato detto già dozzine di volte che il personaggio di Al Capone gode di enorme fortuna a partire prima di tutto dal ruolo, il gangster per antonomasia, ma in seconda istanza c’è di mezzo anche tutta la bravura di Stephen Graham. Ma accanto a lui continua ad imporsi il personaggio interpretato da Morgan Spector, Frank Capone. Aiutato da una vaga somiglianza con Robert De Niro, il suo è un personaggio fortemente diverso dal fratello: elegante, sornione, equilibrato, ma spietato tanto quanto Al; incarnano la coppia perfetta, lasciano trasudare tutta la loro decennale complicità di fratelli di sangue e di crimine – when was the last time we did a pickup? Me and you? – che si completano a vicenda. In mezzo a questa perfetta alchimia decidono di trascinare l’ormai-solo-ricordo agente Van Alden, ora George Mueller, nella riscossione delle “tasse”, dopo il malore di Jake Guzik. Ormai sempre meno disposto ad assecondare gli stupidi scherzi di O’Banien, George si ritrova a defenestrare un Jerry qualsiasi e a rubare un camioncino del suo stesso datore di lavoro con tanto di collega chiuso all’interno. Il suo passaggio alla fazione Capone è ormai in atto: Al uccide, in una bellissima sequenza di gratuita ed impazzita mitragliatrice, per “proteggere” George. Un nuovo scontro è all’orizzonte e il campo di battaglia sarà sicuramente l’ambita Cicero.
“I find you don’t really know a man until you play cards with him.”
Atlantic City. Come sempre, i personaggi e le storyline sono tantissimi in Boardwalk Empire e riuscire a dipanarle tutte non è di certo facile. Quello che non dovrebbe mai perdersi è il senso della centralità di Nucky Thompson, cruna dell’ago attraverso cui far passare tutti i fili. Avevamo lasciato l’ex tesoriere deciso ad entrare in affari con McCoy, nell’assolata Florida e, tornato nella più cupa Atlantic City, lo troviamo impegnato nella ricerca di qualcuno con cui condividere il nuovo progetto: chi meglio di Arnold Rothstein? Nella nuova versione in coppia con Meyer Lansky, quello che ci viene proposto è un lato inedito o comunque solo supposto del gangster di New York: l’ossessione per la vittoria. Questa sconfinata e accecante sete ci traghetta nella bellissima sequenza centrale della partita a poker nel casinò gestito da Chalky: un testa a testa, Nucky vs Arnold, che non è solo tra due grandi criminali e manipolatori, ma tra due vite, due esistenze, due personalità profondamente diverse. Da un lato l’elegante assenteismo del (ex) padrone di casa che si fa pregare per scendere al tavolo, dall’altro la raffinata costrizione di chi sa accettare la sconfitta, un Rothstein che sa mantenere calma e contegno, ma non capisce che quel banco di prova era molto più importante per lui. Infatti l’accordo salta, ed è qui che entra prepotentemente in gioco Meyer Lansky: defilato, meditabondo, decide di fare il suo debutto in società in pompa magna, alle spalle di AR, e di attraversare la navata dei grandi al fianco di Nucky e Luciano – c’è da vedere quindi come la prenderà Joe Masseria. Un (uno solo?) altro campo di battaglia è pronto: Tampa è dietro l’angolo e con questa anche la prossima assenza di Eli da Atlantic City; assenza che diventerà importante dopo la prima vera bravata, con tanto di risvolto macabro, del buon Willie.
“A duppy is a vampire who sucks the blood from his people, lays them low.”
Harlem. Ultimo scenario in questione è quello aperto dall’entrata in scena del personaggio più affascinante ed enigmatico: il dottor Narcisse, finalmente inquadrato nel suo habitat naturale – la sede del Universal Negro Improvement Association – mentre continua a tessere la sua tela sulle spalle degli inconsapevoli Chalky White, perché già designato vittima, e Dunn Purnsley, trattato a bastone e carota, lusingato a intermittenza ma di conseguenza sempre remissivo. Dal canto suo Chalky ha ormai abbassato ufficialmente la guardia: lontano dallo splendore della scorsa stagione, quando si è trovato a fare da ago della bilancia per Nucky, lo vediamo adesso aggirarsi intorno alle grazie della cara Miss Maitland, con un’espressione da pesce innamorato – che, oltretutto, non gli dona affatto. Scopriremo presto se Narcisse abbia addirittura previsto un tale abbassarsi della guardia di Chalky e quindi volutamente introdotto la cantante. Comunque sia, aspettiamo Mr White al suo risveglio.
Questa recensione vorrebbe un finale sostanzialmente analogo a quella precedente: una programmatica speranza per vedere finalmente un po’ d’azione, dopo che tutti i campi di battaglia sono stati preparati. Ma sappiamo che con Boardwalk Empire tutto arriverà a tempo debito e tutto insieme, perciò dobbiamo essere forti, così da essere anche pazienti – nel frattempo ci godiamo i giochi di fine strategia cui questa serie ci ha abituato.
Voto episodio: 8
Bellissima recensione.
Per l’azione credo che come al solito la vedremo verso il 5°-7° episodio, di solito nelle altre stagioni a quel punto c’è sempre qualcuno che vuole uccidere Nucky.