I precedenti episodi ci avevano fatto intuire che la stagione stava ingranando al meglio. Questi due ce lo confermano in grande stile. In un crescendo di tensione che sembra ricordare quello della quarta stagione, Sons of Anarchy prosegue il suo viaggio con il proprio ritmo claustrofobico, seguendo una costruzione narrativa che rasenta qui la perfezione.
Entrati ormai nel vivo di questa sesta stagione, Sons of Anarchy sembra aver dato una decisiva sterzata alla sua storia. La lunga, devastante discesa agli inferi di Jax Teller sembra essersi arrestata con l’esplosione della Club House in The Mad King, un momento catastrofico che nel suo simbolismo ha rappresentato il fondo di una caduta iniziata forse dalla morte di Opie Winston. A partire da quell’esplosione, una luce si è riaccesa: una nuova sede, un nuovo club, un nuovo Jax. E come in tutti i momenti di grande cambiamento, ecco tornare alla ribalta quello che forse è stato l’unico grande assente della scorsa stagione: il fantasma di John Teller.
“Then you will know the Truth, and the Truth will set you free.” – John 8:32
Voce della coscienza, nonché guida spirituale del giovane Jackson, il personaggio di John Teller si era un po’ perso parallelamente alla perdizione del nostro President. La spirale di odio, vendetta e frustrazione in cui era intrappolato, rendeva difficile per il mad king anche solo nominare quel fantasma, che da punto di riferimento si era trasformato nello specchio del suo fallimento come uomo. Non è un caso che il nome di John Teller, la sua storia, la sua valenza religiosa (che Sutter ha sempre sottolineato, fin dalle note di John the Revelator nella prima stagione), tornino proprio nel momento di una nuova consapevolezza per Jax, che qui, per la prima volta, ammette le proprie colpe, prima per l’omicidio della madre di Venus, poi per la crisi coniugale con Tara.
L’unica cosa che porterà la famiglia Teller ad un nuovo equilibrio (o alla fine) è la Verità che riguarda il passato di John, una verità che noi già conoscevamo, ma che per la prima volta sentiamo raccontata nei dettagli nella confessione glaciale di Gemma: “I didn’t kill him. But I knew it had to be done. We live and die by that code. I know it now, and I knew it then.” Non i piani strampalati di Tara, non la meschinità di Gemma, non i buoni propositi del new king, ma questo segreto, ancora lungi dall’essere svelato a Jax, sarà ciò che deciderà le sorti dell’annosa vicenda familiare, e tutto dipenderà da come la coscienza del figliol prodigo reagirà. Al momento, solo la sua rinnovata lucidità ci consente di sperare in un destino diverso da quello tragico che Tara sembra aver scritto in fronte, ora che la resa dei conti sembra essere arrivata.
“Please, let me back in.”
La sensazione è che Sons of Anarchy si sia riavvicinato alla struttura e ai toni delle primissime stagioni, ovvero prima che la lunga discesa negli abissi della violenza privasse un po’ la storia del contrasto tra tensione verso il bene e ineluttabilità tragica, spingendosi a favore della seconda con dei personaggi ormai incapaci di reagire e quasi rinunciatari nei confronti della loro malvagità. Ora, sembra invece quasi di essere tornati alla struttura tripartita che vedeca ben distinte (ma incredibilmente ben intrecciate) vicende criminali (l’IRA), rapporti con la giustizia (Patterson) e dramma familiare (John Teller). In più, abbiamo uno Jax rinsavito (forse), che invece di abbandonarsi alla corrente, tenta disperatamente (e con intelligenza) di risalirla.
Lo dimostrano le richieste a Tara per un ritorno a ciò che erano prima, così come l’ammissione dei propri errori e la volontà di correggerli. Soprattutto, però, lo dimostra il magistrale confronto con la Patterson, in cui Jax, nell’elaborazione del suo piano contro gli irlandesi, torna a spolverare l’arma che finora gli era mancata: l’intelligenza, la furbizia, la capacità di pensare. Tutto questo è ciò che forse gli impedisce di far del male alla Lowen nel suo scatto di rabbia alla scoperta della verità su Tara, e sarà forse ciò che (ci auguriamo) gli impedirà di commettere l’irreparabile nel futuro confronto con la moglie. Questo è il contrasto che ci aveva fatto fin da subito innamorare della serie, ben più efficace e interessante dell’oblio senza speranza che questa stagione sembrava volerci raccontare.
“I’m the scumbag outlaw, and you are the pillar of Justice, but neither of us like looking at ourselves in the mirror.”
Che ci sia stata un’inversione di tono, lo capiamo anche dalla capacità di Jax di andare oltre le proprie egoistiche motivazioni di affermazione personale. E questo è ciò che lo accomuna maggiormente alla Patterson, il personaggio forse più in crescita insieme a Nero. Fin da subito, il procuratore distrettuale sembrava ripercorrere le gesta della fu Agente Stahl, ma lì dove l’omicidio di Donna Winston non aveva rappresentato alcun freno per la rappresentante dell’ATF, qui il suicidio del padre del bambino morto mette la Patterson di fronte alle sue colpe, all’ammissione che quella che lei chiama Greater Justice (e che per altri è “big picture” o “greater good”) era solo una blanda giustificazione per poter agire in modo non convenzionale, più semplice e meno tortuoso. Ciò la rende esattamente speculare a Jax: entrambi ora sanno che la strada giusta sarà lunga e difficile, ma sanno anche che quella più facile, parafrasando Star Wars, conduceva dritti al Lato Oscuro.
– “You got a couple of roads in front of you, sweetheart. One of them is… real slow and probably very uncomfortable, but eventually leads back to those boys…”
-“And the other one?”
-“It’s the road you’re already on.”
Il tutto si sposa perfettamente col bellissimo dialogo tra Unser e Gemma. Peccato che le parole dell’ex-capo della polizia entrino da un orecchio della donna ed escano dall’altro. La Old Lady è irremovibile nel suo percorso fatto di odio, segreti e vendetta, ormai talmente radicati in lei da impedirle di ritrovare la propria umanità e di vedere il reale “big picture”. Se prima Gemma viaggiava insieme a Clay su quella strada, ora sembra essere da sola, visto che l’ex-Presidente (interpretato da un sempre più istrionico e gigantesco Ron Perlman) sta affrontando per conto suo un percorso di espiazione e purificazione in prigione (lo stesso Kurt Sutter aveva parlato di “redenzione” per lui in questa stagione).
“It breaks my heart that you had to become something so wrong to do what you thought was right.”
Chi sa di stare giocando sporco e che non è quella la sua attitudine, è Tara, che cerca di affossare lacrime e ripensamenti in una freddezza che però le sta stretta, semplicemente perché lei non è Gemma. Tara sa in cuor suo che il vero “big picture” non è la salvezza dei suoi bambini, ma il suo ruolo di guida per Jax in questa grande storia. Ecco perché non riesce comunque a pentirsi di essere tornata anni prima a Charming, ecco perché tentenna quando Bobby, involontariamente, le getta in faccia la verità: “He ain’t got a chance without you”. E non è un caso che queste parole vengano proprio da chi si era dato alla fuga, ma solo per poi tornare e prendersi le proprie responsabilità (“It’s always easy to move, just hard to stay there”).
Il vero “big picture” sono lei e Jax insieme, quell’ideale di cambiamento che come coppia incarnano, opposti ai loro rispettivi alter-ego Clay e Gemma. Sono caduti, sono diventati come loro, ora solo insieme potranno risalire. Ecco perché molto del destino di Sons of Anarchy si giocherà sull’imminente confronto, poiché l’uno non ha possibilità di vittoria senza l’altro. Resta solo da vedere se, prima o poi, Sutter confermerà chi ha sempre visto in Tara il corrispettivo di Ofelia (così come Amleto per Jax) e se quindi le riserverà lo stesso destino della sua controparte teatrale. Sta di fatto che il momento è decisivo e, infatti, come sempre, ecco che torna lei: l’Anarchia.
“I see her a lot… in other people.”
Sul finale si consuma l’ennesimo tocco di genio di Sutter: scopriamo che la donna vagabonda, che abbiamo imparato ad associare al concetto di Anarchia, è in realtà un’altra vittima dell’incidente/omicidio di John Teller, non a caso morta quando è morto lui. In conclusione dell’episodio, ecco che la Figlia dell’Anarchia si trova davanti al Figlio dell’Anarchia. Jax ha davanti se stesso, un poveraccio senza più una casa, con problemi di testa, che ha perso sua madre ma che ancora ha vicino il padre (seppure in modalità diverse rispetto alla ragazza). Jax rimane fermo, nella sua solitudine e nella sua sofferenza, consapevole che tutto (di nuovo) sta per cambiare.
Voto 6×08: 9
Voto 6×09: 9+
scusate non ho capito bene l’ultima parte del telefilm in cui c’è sia la barbona che si vede spesso e la ragazza che sfonda la vetrina dei Sons.
sono la stessa persona? è un “fantasma”? non ho capito bene
La ragazza che sfonda la vetrina è la figlia di una donna che era morta durante lo stesso incidente in cui morì John Teller.
Questa donna altri non è che la barbona che Jax vede in alcuni episodi della serie. Naturalmente è solo un fantasma, dato che la donna è morta, ma la figlia invece è reale ed è quella con cui Jax dialoga alla fine dell’episodio.