Era evidente già dopo The Empty Hearse che sulla seconda puntata di questa nuova stagione di Sherlock sarebbero pesate le aspettative forse ancora più alte dei fan: riusciranno Moffat e Gatiss a elevare ancora di più la messa in scena del racconto o quantomeno a continuare sugli stessi livelli della premiere?
So, this is it, then? The big day. It’s the end of an era, isn’t it?
The Sign of Three è senza ombra di dubbio una puntata particolare, per diversi aspetti. Primo fra tutti un’evidente frattura col passato che cambierà inevitabilmente gli equilibri della storia: l’impenitente scapolo (but not gay) John Watson si sposa con la bella Mary. Questo già di per sé è spiazzante – anche se annunciato – sia per noi che per il bestman più pericoloso della storia: Sherlock Holmes, infatti, non solo ha un problema sociopatico evidente anche a lui stesso, ma è da sempre cinico e calcolatore, cosa che lo porta a disprezzare il matrimonio, che vede addirittura simile all’omicidio – ma che purtroppo dura molto di più.
Prendiamo quindi il livello base di questa puntata, e cioè il ricevimento nuziale. Come spiegava anche Attilio nella recensione della premiere, Gatiss è anche un comico, pieno di quella verve anglosassone che riversa senza badare a spese in questa serie. Ed è evidente come tutte le sequenze del ricevimento siano impregnate di questa comicità per nulla latente: se finora avevamo sghignazzato sotto i baffi durante le puntate per episodi simpatici e ridicoli, in questa 3×02 si ride come in un film comico, con gag per nulla seminascoste, ma esposte in bella vista (fin troppo esplicativa quella del tè con l’occhio dentro e il misunderstanding tra “testimone” e “uomo migliore” con la risposta più bella di sempre data da Holmes).
Il matrimonio di John, quindi, dà il la alla parte più leggera della puntata, mescolandola però con una fine e accurata introspezione del rapporto tra Watson e Sherlock: molto più sussurrata che messa in mostra come le gag di cui sopra, l’introspezione tocca le corde più profonde dei due protagonisti, facendoci capire in via definitiva che Holmes non è proprio così sociopatico come vuole dare ad intendere; e questo non solo per il discorso che porta a commuovere l’intera platea, ma anche per la sua completa disponibilità a farsi da parte e a ergersi a paladino che veglierà sull’amore di Mary e del suo migliore amico. Sherlock viene lasciato per la prima volta senza parole dalla proposta di John di diventare suo testimone: il forte impatto emotivo viene sottolineato dall’intelligente montaggio della sequenza, dove il silenzio sconcertato del detective viene alternato al suo discorso pieno di bugie che coprono appunto quell’imbarazzo.
The invisible man with the invisible knife
Al secondo livello della scrittura dell’episodio troviamo i simpatici aneddoti di Sherlock sullo sposo, in particolare alcuni casi che li hanno visti protagonisti.
Questo episodio è forse quello più spiazzante visto finora nell’intera serie: il racconto e l’intreccio dei casi è così confusionario da sembrare senza senso. Forse è qui che si scorge fin troppo la macchinazione ordita dagli autori: Sherlock sembra scegliere in maniera randomica i casi da raccontare – o comunque dove Watson ha avuto un ruolo di primo piano – che però alla fine si incastreranno alla perfezione, avendo tutti un denominatore comune.
Il caso dell’infermiera, della Guardia Reale e del Maggiore Sholto sono di sicuro girati bene e ben congegnati, soprattutto per quanto riguarda la sequenza in cui Sherlock chatta con le vittime dell’assassino e si ritrova in un’aula di tribunale – che nient’altro è che la sua mente al lavoro; la risoluzione è come al solito geniale, ma ciò non toglie che sembri un po’ tirata per i capelli.
L’abilità degli autori sta comunque nel non dare un attimo di respiro allo spettatore, immergendolo totalmente nella storia con dialoghi e montaggi serratissimi: da manuale la sequenza in cui Sherlock capisce che i casi sono collegati e che assassino e potenziale vittima si trovano entrambi nella stessa stanza. Il montaggio è una delle armi in più di questa serie, perché con esso si dà ritmo a qualsiasi cosa: nel caso di Sherlock funziona tutto alla perfezione, avendo trovando il giusto mix di scene in alternanza con dialoghi che ne sottolineano il ritmo sempre più sincopato.
I’m a ridicolous man.
Il livello più alto – forse quello che suscita meno clamore ma sicuramente quello più riuscito – riguarda l’eterna solitudine che circonda Sherlock Holmes.
Abbiamo imparato a conoscere la sua sociopatia, la sua difficoltà a rapportarsi con le cose di tutte i giorni, la sua apparente apatia verso le persone che dovrebbero più stargli a cuore. Questo episodio mette in scena in maniera estremamente malinconica il suo essere solo, immergendolo in un contesto pieno di persone conosciute che per lui darebbero la vita – emblematica la sequenza di apertura con Lestrade che rinuncia ad un caso importantissimo pur di correre in suo aiuto.
Si ribalta quindi la concezione della coppia Holmes-Watson come l’abbiamo sempre pensata: se prima Sherlock viveva della propria luce riflessa aiutando John a trovare un po’ di compagnia, adesso è esattamente l’opposto. Con il matrimonio di Watson è Sherlock quello in più, è proprio lui che si ritrova ad essere colui che ha bisogno di aiuto umano. Bellissimo il suo pur breve rapporto con la testimone della sposa: emblematica la scena in cui lo vediamo addirittura ballare, in perfetto contrasto nel finale con lo sguardo verso di lei che, dopo la sviolinata per gli sposi, sta ballando con un altro. Una sequenza, questa, che si lega a doppio filo allo sguardo pieno di compassione di Molly mentre lo guarda andare via, simbolo di tutte quelle donne che Sherlock avrebbe potuto avere ma che non sono state sue per colpa di quello che è nel profondo: un uomo solo.
The Sign of Three è allora un inno al numero 3, simbolicamente perfetto: se prima lo sono stati i trittici Sherlock, Watson & Lestrade, Sherlock, Watson & Mrs. Hudson, Sherlock, Watson & Moriarty e per breve tempo Sherlock, Watson & Mary, adesso ci sono Watson, Mary & Figlio in arrivo – dove Sherlock è inevitabilmente escluso.
La puntata ci lascia quindi un po’ spiazzati per come è stata scritta e per come ad una prima visione sembri di facile interpretazione, quando in realtà non lo è; ci lascia con il dubbio per un finale che non riusciamo ad immaginare, in quanto il filo rosso di questa terza stagione è ancora talmente aggrovigliato da non permettere di vederne la fine.
Sentiamo però forte l’odore agrodolce di un season finale che, come disse Gatiss, ci lascerà distrutti psicologicamente; ci prepariamo con la bella immagine di Sherlock che, da solo, se ne va dal matrimonio, e da una vita che non sarà mai la sua, metaforicamente rappresentata dalle luci e dalla musica attutite dalla distanza e dal bavero del cappotto alzato per proteggere quell’eterna fragilità che, volente o nolente, si porta dentro.
VOTO: 8
Note e curiosità
– In un fermo immagine della puntata, si vede chiaramente che dalla testa di Mary spuntano due corna mefistofeliche: un messaggio che ci vogliono mandare gli autori per il finale o una semplice coincidenza?
– Sembra esserci una citazione di The Dark Knight: i malviventi che rapinano la banca ad inizio puntata portano delle maschere molto simili a quelle di Joker e della sua banda.
– Moffat ha confermato la quarta stagione, anche se non si sa di preciso quando verrà girata e messa poi in onda.
Bella recensione, questo mi è piaciuto in parte un po’ meno del primo, ma è sempre ad un livello altissimo. Bello l’abbraccio tra Sherlock e John, e il discorsi di Sherlock, col continuo esaltare le doti di John, e in cui sono sicura stava mandando dei messaggi precisi, perchè lo ha sottolineato troppe volte ed in modo enfatico, teatrale, parlando anche più lentamente del solito. Divertenet la stag night, anche se forse un po’ troppo lunga, tristissimo il finale.
E’ la puntata più particolare di Sherlock fino ad ora, in alcune parti forse eccessiva, ma, avendo fiducia nel duo malefico Moffat/Gatiss, tutto ciò visto e non visto nei primi due episodi si riverserà nell’ultimo.
L’agrodolce è stato decisamente annunciato, e certe cose cominciano anche a vedersi in giro per i siti. Non farò spoiler, ma c’è chi ha scritto cose che purtroppo aprono gli occhi e fanno capire tutto. E la cosa mi rende tanto triste…xD
Comunque, a me l’episodio è piaciuto tanto, seppur diverso, comico, complicato, un po’ tirato. Credo che sia giusto che qualcuno sia più leggero sotto tutti i punti di vista…tra l’altro comico sì, ma non stupido. Ci sono delle perle di comicità che hanno poco o nulla da invidiare a certe serie comiche (ehm…qualcuno ha detto TBBT?), come la sovraimpressione dei pensieri dello Sherlock versione ubriaco, che mi hanno ucciso. E poi c’è Irene Adler, e questo BASTA <3
Io avrei dato un 9. Iperattività a go go: montaggio, recitazione e regia. Senza parlare della lezione di commedia che hanno dato Benedict e Martin: che sintonia!
Concordo al 100%: anche io mi sarei aspettato un 9 per questa puntata!!! Bellissima: perfetta la fusione fra la parte comica e quella drammatica. Benedict e Martin perfetti come sempre.
PS Moffat ha già confermato le stagioni 4 e 5 di Sherlock!!! 😀
Si ho letto =)
Ciao!
Non ho potuto ignorare purtoppo la risoluzione un po’ tirata per i capelli del caso, di solito sono pensati meglio.
Quello ha inficiato un po’ il giudizio, che comunque rimane sempre alto… Sherlock ci regala sempre delle perle rare. 😉
La puntata mi é piaciuta molto. Apprezzo davvero questa svolta commedy delle ultime due puntate (bravissimi i protagonisti). E vi odio perché mi avete spoilerato la tragedia che ci attende…
beh dai, non è proprio uno spoiler: che non si possa solo ridere in una stagione di Sherlock è ormai risaputo, dopo una puntata come questa ancora di più! =)
Ciao Momi!
In realtà nemmeno noi sappiamo con certezza cosa accadrà, ovviamente… abbiamo solo ripreso quanto detto dal creatore della serie.
Poi magari ci ha trollato tutti e non succede nulla di scioccante. 😉
Complimenti innanzitutto per la recensione ricca di approfondimenti.
Questa puntata è stata probabilmente la più criticata della storia della serie, per motivi in parte evidenti in parte no. L’umanizzazione del protagonista è il punto che rimbalza da tutte le parti, lo spartiacque che ha diviso i fan più di qualsiasi altra cosa, ma non è la sola questione. C’è il rapporto con John, c’è la costruzione assolutamente anomala della puntata, c’è la marginalizzazione della detection e c’è, a un livello più generale, la sistematica delusione delle aspettative spettatoriali.
Dico subito che quest’episodio per me è stato straordinario, forse ancor di più perché splendidamente atipico e dunque molto più rischioso. Forse, però, il discorso è da estendere a tutta la stagione, o meglio a questi due terzi della stagione che sono stati visti fino ad ora e forse possiamo affermare che il vero spartiacque non è stato tanto quest’episodio, ma quei due anni in cui la serie non è andata in onda.
In che senso? Tanto, tutto è successo in questi due anni: è successo diegeticamente, ovvero per i personaggi, i quali portano tutti le tracce della scomparsa seppur temporanea del protagonista; è successo tanto anche per noi spettatori, che abbiamo avuto tempo e modo per coltivare il nostro culto, per ragionarci, per approfondire una conoscenza sempre più alta, fino a guadagnare una consapevolezza prima sconosciuta.
Dov’è che a mio parere gli autori sono stati lungimiranti oltre che assolutamente geniali? Se avessero scritto delle puntate impostate sulla stessa linea delle sei precedenti, queste sarebbero state percepite senza dubbio come delle copie conformi degli episodi precedenti, delle imitazioni, non per forza, beninteso, perché meno belle, ma perché lo spettatore è diverso, noi siamo diversi.
La nostra conoscenza e consapevolezza di questa serie, di questi personaggi, unita alle aspettative e alla produzione di contenuti e di ipotesi narrative scatenate dal finale della scorsa stagione, ci ha resi fruitori diversi. Anche questo vuol dire serialità ed è parte integrante di una testualità così espansa nel tempo e nello spazio.
Per questa ragione gli autori sono stati estremamente acuti nel virare radicalmente rispetto al passato, offrendo un prodotto diverso, per certi versi più evoluto, sicuramente più autoreferenziale, e non in senso negativo, ma proprio nella maniera in cui il primo referente è se stesso, perché parla di sé e a sé. Da qui deriva anche la maggior libertà di dar sfogo a comicità e autoironia, tanto che Sherlock sembra prendersi in giro più volte, sembra fare la caricatura di se stesso. Se il primo episodio era la chiamata di tutti i fan per la grande cerimonia di resurrezione del protagonista, per una pratica collettiva, rituale e condivisa, questo va un po’ più in profondità.
A noi non interessa più tanto capire cosa fanno i personaggi, certo sarebbe bello vederli ancora in azione a tempo pieno come un tempo, ma ci interessa meno perché, semplicemente, lo sappiamo già, lo conosciamo a memoria, ne abbiamo assunto dosi su dosi durante l’assenza della serie. Ciò che ci interessa, ciò che non sappiamo, non è cosa fanno, ma CHI SONO questi personaggi che amiamo così tanto.
Ecco, questa stagione e ancora di più quest’episodio, ci dice chi sono Sherlock e John, ci dice soprattutto le ragioni e i motivi di quella che è a tutti gli effetti una bellissima storia d’amore, solo apparentemente nascosta, ma in realtà accettata da chiunque. Quello che fino a questo momento l’ha accettata di meno è proprio lo spettatore, che con quest’episodio, non può che farsene una ragione definitivamente. Il matrimonio, in tutta la sua potenza simbolica, è il cuore nevralgico di una puntata il cui caso è solo un mezzo, uno strumento per veicolare i segreti che si nascondono nelle fitte maglie del rapporto tra Sherlock e John, la loro profonda umanità, perché sì, entrambi, John Watson e Sherlock Holmes sono dei naturalissimi e meravigliosi esseri umani.
Attilio, vorrei approfondire il punto dell’umanizzazione di Sherlock nella prossima rece (anche se non so dove mi porterà la storia) ma sono perfettamente d’accordo con te. Ieri ho rivisto la puntata e quanto dici mi è stato ancora più chiaro. L’episodio non mi aveva delusa ma semplicemente confusa. Purtroppo la struttura della serie impone di premere l’acceleratore equindi affrontare certi temi in maniera veloce. Veloce non significa scadente, ma è un’operazione che può lasciare interdetti per quanto ben gestita. Ecco, il problema di questo episodio è soltanto quello di essere uno di tre. Detto questo, io sono fermamente convinta che scrivere un personaggio non-umano sia relativamente semplice e garantisce anche molta fortuna col pubblico. La veta sfida è fare interagire questo personaggio col mondo, mostrarne le fragilità e i punti di forza, svelarne l’umanità che inevitabilmente si cela al di sotto della sociopatia. È quello che si sta facendo con Sherlock e, nonostante qualche lieve caduta di stile, è un percorso fino ad ora ben riuscito. Ma spero di poterne parlare piùdiffusamente fra qualche giorno.
Questo è il commento più acuto che ho letto su questo episodio tanto criticato, ma che personalmente trovo una “perla”. Complimenti.
Secondo me sono due i punti centrali di questo discorso: la struttura della serie; la gestione dei personaggi, e quindi l’umanizzazione, in rapporto alla struttura della serie.
Sherlock è una serie profondamente atipica, fatta di episodi molto più lunghi della media, ma al contempo di stagioni estremamente brevi. Questo comporta necessariamente una gestione delle caratterizzazioni molto diversa da quella delle serie tradizionali, per certi versi più vicina a quella cinematografica – anche se per altri molto meno. Ciò vuol dire che se ci sono comportamenti apparentemente strani, perché la nostra abitudine di spettatori seriali li vorrebbe motivati in maniera più diffusa, è forse perché chiediamo qualcosa che questa serie non ci dà e non osserviamo ciò che invece ha di specifico e, segnatamente alla caratterizzazione dei personaggi, alcuni dettagli che in questo modello narrativo hanno un valore discriminante.
Per quanto riguarda l’umanizzazione, secondo me tutto sta nel mio post precedente, per cui la scelta di guardare il personaggio di Sherlock (ma il discorso vale un po’ per tutti i personaggi) è programmatica e consapevole, specie perché bilanciata da una marcata ironia, che spesso si manifesta attraverso un’autoironia. Sherlock, insomma, ha oggi la possibilità di essere caricatura di se stesso perché sono tante le cose che possono essere date per scontate e il gioco autoriflessivo con lo spettatore è molto più intenso di un tempo, e questo porta con sé la riflessione sul personaggio, la sua umanizzazione, le sue esagerazioni (“I’m a ridicolous man”) e tutte le auto-caricature che si vedono in quest’episodio, che sono tutto tranne che banali, bensì un registro specifico per veicolare alcuni contenuti.
D’altra parte Sherlock è un uomo estremamente intelligente. E l’autoironia è esclusiva degli uomini e ledonne più brillanti.
Di nuovo una grande recensione e un intervento su due parti qui su di Attilio che condivido completamente. Bravissimi ragazzi!
Grazie per questa splendida recensione, hai detto in modo superbo tutto quello che mi frulla in testa!!
Anche a me ha compito molto, fra le altre cose, il bellissimo montaggio delle scene e dei dialoghi e trovo malinconico a dir poco lo scambio di sguardi fra Sherlock e la testimone della sposa, tutta allegra per aver seguito i consigli dello stesso Sherlock. La scena finale mentre indossa il cappotto mi resterà nel cuore, credo.
E ho trovato appropriato il suo discorso: assolutamente scioccante, fuori dal normale, insieme poi divertente, poi commovente e lui “Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Oh, cucciolo!!! Anch’io lo avrei abbracciato! xD
Salve a tutti. Assodato che Sherlock è non solo la migliore storia girata sul detective londinese, ma direi anche l’UNICA che dipinge correttamente l’Holmes di Conan Doyle, vorrei un parere: non vi sembra impossibile che un uomo accoltellato non si renda conto di nulla e partecipi al matrimonio, o resti in piedi per ore come se niente fosse, solo perchè la cintura è stretta?