La centralità del personaggio di Nucky è l’aspetto fondante con cui Boardwalk Empire si apriva ormai qualche anno fa e, in maniera circolare e coerente, è anche il modo con cui la serie decide di concludere il suo percorso.
Nelle passate stagioni abbiamo infatti visto come la sua figura tendesse sì a rimanere la cruna fondamentale del racconto, ma anche come, intorno a lui, continuasse a crescere il numero dei personaggi e delle storyline. Ma già dalla struttura stessa di questi otto episodi finali, che non a caso si dividono tra il passato e il presente di Enoch, è chiaro che l’intento è di ri-mettere a pieno la sua storia nel bel mezzo dell’equazione. Serie come appunto Boardwalk Empire, Mad Men o The Americans vivono di questa spina dorsale implicitamente divisa tra la focalizzazione sul personaggio e la descrizione di un determinato (e determinante) periodo storico, denso di eventi e archetipi narrativi che hanno fatto la fortuna del cinema hollywoodiano e colonizzato l’immaginario collettivo.
Ripercorrere la formazione di Nucky, la carriera, l’ascesa, nella sua Atlantic City mentre ne sta vivendo la parabola conclusiva e opposta, conferisce alla serie stessa un doppio senso di chiusura. Dal lato “micro-storico”, emerge la consapevolezza che i presagi mortiferi fin qui disseminati non stanno probabilmente mentendo sul destino finale riservato al personaggio di Buscemi; dal lato “macro-storico”, invece, c’è la sicurezza che con lui muore (o comunque si eclissa) una tipologia di gangster ormai vecchia, fuori mercato. Enoch è infatti letteralmente cresciuto al fianco del Commodoro (e prende ora il volto, terribilmente somigliante con Buscemi, di Marc Pickering), ha voluto fortemente far parte della sua schiera, e più o meno silenziosamente si è poi ritagliato il suo spazio e la sua carriera nel solco di una tradizione ben precisa: non il criminale o fuorilegge a tutto tondo ma, in maniera più complessa e sottile, la personificazione del self-made man che sfrutta carriera e incarichi pubblici per ottenere un potere stabile e duraturo. Avvalersi anche dei mezzi del mondo della criminalità significava per questi uomini non avere altra via d’uscita, l’omicidio doveva cioè essere indispensabile per avere luogo: la vera stabilità non era il risultato di spietate carneficine, ma la combinazione fra l’abilità con le parole, il destreggiarsi tra scambi e favori, il costruirsi una rete di amicizie (o presunte tali) e, soprattutto, il contegno delle proprie personali velleità. A rendere ancora più puntuale l’enorme gap generazionale è la diversità degli effetti ottenuti: una inutile e rumorosa sparatoria in pieno giorno per i giovani, un’unica, silenziosa e presumibilmente efficace morte per la vecchia guardia.
La nuova generazione di gangster, rappresentata soprattutto da Al Capone e “Lucky” Luciano, pur con grandi diversità, si presenta palesemente spietata, più violenta e meno calcolatrice rispetto alla precedente. Al Capone cercava, nello scorso episodio, la complicità di Nucky nella sua guerra contro Luciano e Maranzano, riproponendo un’alleanza già vista in passato. Ma è in questo frangente che si chiarisce lo scarto tra i modi di Al e Nucky: alla cieca euforia del primo corrisponde la necessità di riflessione del secondo, che infatti cerca l’incontro sia con un visibilmente invecchiato Torrio, che con Maranzano stesso. Ciò che la nuova generazione sopperisce con efferatezza e colpi di scena, è la sottigliezza e furbizia dei propri mentori: l’aspetto canuto e stanco di un Torrio distratto e ormai lontano da Chicago trae in inganno persino Nucky, che va infatti dal vecchio a chiedergli consiglio e man forte per parlare con Maranzano. In realtà, il suo pensionamento non è mai stato totale e scopriamo che per tutto il tempo (cioè sicuramente a partire dall’attentato ai suoi danni) ha fatto da consulente criminale a Luciano e Lansky.
La rete di amicizie e labili alleanze che si sono perpetrate nel corso di queste cinque stagioni si stanno frantumando ora pezzo dopo pezzo. Queste connessioni, prima, hanno sempre avuto alla base l’idea di famiglia, non quella naturale (ovviamente), ma già il solo fatto di condividere scopi ed interessi portava alla costruzione di qualcosa di più di un semplice contratto d’affari. Tuttavia in un periodo così teso e di forti cambiamenti, persino la famiglia più amata non può che essere avvelenata dai vizi, dall’insoddisfazione, dall’ingordigia. Il primo a farne le spese è Eli. Il ruolo di padre, il suo attaccamento ai figli e all’amorevole moglie June sono gli aspetti che l’avevano riscattato dalla cattiva e ambigua luce che gli era stata costruita addosso nelle prime due stagioni della serie. Ma l’esilio forzato a Chicago lo ha gettato in un vortice di sconforto e alcool in cui vengono involontariamente trascinati sia Muller/Van Alden che June: nel momento stesso in cui Eli cerca e promette di ritrovarsi e ritrovare quella condizione di quotidianità e responsabilità ormai persa, l’involontario tradimento che ha consumato in uno stato semi-comatoso con la sig.ra Muller spezza questa momentanea illusione. Bastano lo sguardo ad una semplice e severa icona del Re di Norvegia (come recita il titolo dell’episodio) e il tempismo dell’FBI per riportare tutto e tutti alla severità del reale: Eli è passato gradualmente da iniziale braccio destro del regista (Nucky), a suo dipendente (il mantenimento per June) a praticamente nemico.
A margine dei canovacci più strettamente gangster abbiamo poi sia il ritorno di Chalky che, invece di scovare ed uccidere Narcisse, ritrova inaspettatamente la sua Mabel (ed una bella bambina dormiente); sia l’internamento di Gillian – che ha, per il momento, l’unica storia senza parvenza di connessioni con il resto. Le altre stagioni godevano sicuramente di una maggiore armonia tra le varie parti e con un buon bilanciamento tra tutti i personaggi. Ma la scelta di cambiare tempi e spazi per concentrarsi soprattutto su Nucky, lasciando fuori magari dettagli più strettamente storici, si rivela di volta in volta sempre più funzionale ed organica per riuscire a dare un finale forse indimenticabile ad una delle serie più belle e complesse dell’intero panorama televisivo.
Voto: 8,5
Nonostante l’ottimo lavoro fatto su Nucky, ora, a tre episodi dalla fine, posso dire di essere sostanzialmente deluso da questa final season. Nonostante il livello sia stato sempre piuttosto alto e la fattura degli episodi sia stata sempre considerevole, mi aspettavo molto di più dagli otto episodi finali. Dare spazio a Nucky e alla sua storia sta significando sempre più più toglierne agli altri e in una stagione ridotta di un quarto e con la necessità di dare una conclusione a personaggi costruiti perfettamente negli anni questo non è un dettaglio da poco.
Il quarto episodio per ora è stato l’unico da cui sono uscito pienamente soddisfatto, quanto agli altri sono stato, come in questo, sconvolto da alcune sequenze bellissime, ma anche rimasto perplesso dalla gestione di alcuni personaggi.
Gillian chiuderà davvero così? è giusto che sia così ridotto lo spazio dedicato alla conclusione della sua storia? Van Alden e Eli (soprattutto quest’ultimo perché il primo ha l’intreccio con Capone) sono stati gestiti bene? Narcisse ci sarà solo negli ultimi tre episodi? E se così fosse, il suo impatto sulla serie non sarebbe comunque depauperato?
Non vorrei sembrare troppo critico rispetto a una serie che risponde sempre con degli standard di qualità altissimi, ma dopo la scorsa stagione l’asticella è stata posizionata davvero in cima al mondo.