The Strain conclude la sua prima annata con due episodi che ne rispecchiano perfettamente l’anima: una stagione con alti e bassi, godibile ma imperfetta, sempre incapace di convincere fino in fondo.
Fin dai primi episodi, infatti, la serie di Del Toro non è stata in grado di tener fede alle sue promesse, offrendo delle puntate che presentavano degli inevitabili difetti, tra cui spiccavano la scarsa qualità della caratterizzazione dei personaggi e l’incapacità di dare alla trama una direzione precisa e convincente; la seconda metà si è dimostrata più valida, con alcuni casi in cui le aspettative iniziali sono state almeno parzialmente ripagate, ma non si può certo dire che questi 13 episodi siano stati quello a cui ci avevano preparati. Le ultime due puntate, ovvero Last Rites e The Master – firmate, tra l’altro, dalla penna di Carlton Cuse –, viaggiano su quella che è stata la costante incertezza qualitativa della serie FX, in un alternarsi di scene riuscite e soluzioni poco credibili che non può che lasciare lo spettatore perplesso.
1×12 – Last Rites
Last Rites è un episodio che può essere diviso in due parti principali: la prima, che consiste nel raggruppamento dei protagonisti e nel tentativo di informare il pubblico a proposito della malattia, è sicuramente la meno convincente, e si trascina con una lentezza che è difficile da sopportare. L’aggiunta della storyline di Gus, inoltre, che fino alla fine della puntata non fa che confermare la sua totale inutilità, peggiora la situazione, dando l’impressione che gli autori stessero cercando di prendere tempo prima dello “scatto finale”. Tutto quello che ci viene mostrato non aggiunge quasi nulla allo sviluppo della trama, e se ciò avviene, la bassa qualità con cui le soluzioni vengono proposte fa perlomeno storcere un po’ il naso: si pensi, per esempio, alla divulgazione delle scoperte di Eph in televisione, una scena che – lasciando da parte la sua scarsa credibilità – delude per la frettolosità con cui viene presentata, sprecando la possibilità di realizzare una sequenza non originale ma perlomeno memorabile.
Il tutto, inoltre, viene affiancato dai consueti flashback sulla vita di Setrakian, che, a parte per le scene finali, confermano i dubbi a proposito della loro utilità nella trama: a che scopo rivelare il passato del professore nei primi episodi, se poi tali eventi ci sarebbero stati mostrati in futuro? La linea narrativa del 1944, infatti, non ha mai convinto a causa dell’importanza che le è stata attribuita dagli autori, i quali hanno concesso decisamente troppo tempo ad una storia che avrebbe potuto essere raccontata in uno o due episodi. Anche in questo caso le scene prevedibili e scontate abbondano, e si può parlare di miglioramento solo per quanto riguarda la parte finale, che costituisce un interessante modo di riallacciarsi con gli avvenimenti del presente.
It had to be done… for her.
La seconda parte dell’episodio si distacca nettamente dalla prima e mette in luce quelli che sono i lati positivi della serie, rivelando delle potenzialità drammatiche di buonissimo livello: il tutto si riduce ai Loved Ones del decimo episodio della stagione, al duro, spesso violento distacco che la situazione creatasi con l’epidemia ha creato per le strade di New York. La scelta di far tornare gli “infetti” immediatamente dai propri cari è sempre risultata peculiare, interessante, e in questa puntata i suoi risvolti positivi (dal punto di vista qualitativo) vengono finalmente mostrati: la scena della decapitazione della madre di Nora è crudele e straziante, e riassume in pochi attimi il dramma della separazione provato anche dall’ormai stremato Setrakian, che viene costretto a rivivere i momenti peggiori della sua esistenza. Tuttavia non si tratta solo di un salto a livello narrativo: anche la messa in scena migliora notevolmente, riuscendo a fondere musiche, interpretazioni e montaggio nei livelli e nelle misure che ci si aspetta da una serie drammatica di qualità.
Voto: 7
1×13 – The Master
Nel corso di questa prima stagione sono stati tanti i momenti in cui i protagonisti si sono trovati vicini ad una vittoria, tante le situazioni in cui uno scontro è stato interrotto o rimandato, nell’attesa della grande risoluzione finale. Era ovvio che – dopo la notizia del rinnovo della serie – non tutte le linee narrative avrebbero visto la loro fine in questo The Master, ma quello che viene presentato è qualcosa che, se possibile, delude qualsiasi forma di aspettativa positiva riposta nel finale, rimandando ad un futuro impreciso ogni tipo di conclusione, che si tratti dell’evoluzione di un personaggio o di un arco narrativo secondario. L’unica storyline che si può definire riuscita è paradossalmente quella di Gus, che viene una volta per tutte inserito in una narrazione interessante e funzionale allo sviluppo della trama: la scoperta di una “forma” alternativa di vampiri, infatti, aveva costituito una delle rivelazioni più interessanti della stagione, e l’approfondimento – anche se minimo – di tale storia fa ben sperare per quanto riguarda lo sviluppo di una mitologia originale nella seconda stagione.
“Since the beginning of creation, boys have hunted beside their fathers. This is no different.”
“This is very different”.
Per quanto riguarda il resto della puntata, è difficile parlare di soddisfazione e qualità: tutto sembra convergere verso una grande conclusione, ma ciò che ci viene presentato è una costruzione che crolla per l’assenza di un finale che la giustifichi, un crescendo che viene tagliato con alcune delle sequenze più anticlimatiche di sempre. Si pensi, per esempio, al Master che dà il titolo all’episodio, all’antagonista il cui scontro con i protagonisti avrebbe dovuto costituire uno dei picchi qualitativi dell’intera stagione: tale evento viene mostrato, certo, ma la risoluzione è così frettolosa, scontata e priva di pathos che ciò che delude di più non è la fuga del Padrone, ma la resa dell’incontro che l’ha preceduta. La scelta di far sopravvivere il nemico in questione, inoltre, fa nascere numerosi dubbi a proposito di uno sviluppo futuro della trama principale: come faranno gli autori a gestire tale rivalità – che già dopo 13 episodi risulta priva di originalità – per un’altra stagione? Il rischio che la qualità, già di per sé non eccelsa, risenta di questo “allungare il brodo”, purtroppo, è molto alto.
In ogni caso, si può dire che la delusione più grande sia causata dalle ultime sequenze della puntata, dal tanto atteso incontro di Eph e figlio con Kelly. Era da Loved Ones che gli autori ci avevano preparato ad un evento straziante, ad un distacco così doloroso da far impallidire la già ottima scena madre di Last Rites, ed è per questo che non solo l’assurda sequenza del ritorno a casa risulta deludente, ma costituisce uno dei punti più bassi raggiunti dalla serie nella sua prima annata. Era da diverso tempo che venivano lanciati dei riferimenti (fin troppo espliciti, a dire il vero) a proposito dell’ossessione di Eph di trovare la moglie, e il tanto atteso incontro si risolve in un colpo di pistola a vuoto, in pochi secondi di incredulità e rabbia da parte dello spettatore, che rendono i pochi minuti finali quasi una presa in giro, un monologo che esibisce una pretesa di profondità e qualità da parte della serie che è stata smentita fin troppe volte nel corso di questi 13 episodi.
Voto: 6-
The Strain, quindi, chiude una prima stagione mediocre con un finale che riesce a deludere le non altissime aspettative che gravavano su di esso. A questo punto parlare di fiducia per il futuro è rischioso, e, nonostante ci siano stati degli episodi molto validi, si può dire che, con i nomi coinvolti nella serie e le promesse fatte nei primi episodi, ci si aspettava sicuramente molto di più.
Voto stagione: 7-
Ma per niente d’accordo. Il brodo è stato allungato nella presentazione di Eph e nella sua introduzione nel gruppo. Tutto il resto è funzionale alla storia.
Certo se si pensa che tutto lo scopo di Del Toro and company sia il solito, cioè prendere il master e fare finire l’epidemia, ci si sbaglia della grossa. Quello non è lo scopo della serie. Come lo scopo del Master non è essere il nuoco papà di qualche vampiro in più che debba scappare dal sole. Il Master vuole molto di più, sennò Palmer a che gli serve? Vuole uscire allo scoperto, come dimostrano gli “altri” masters che lo chiamano traditore, e che se ne stanno da secoli al buoi a sopravvivere e cacciare umani senza esagerare. Se non si è capito questo, allora sì che tutto crolla.
Qui non è rivalità tra Setrakian and company e il Master, è sopravvivenza di uno o l’altro, o di essere bestiame (come Setrakian dice chiaramente) per il Master ed suoi.
E la scena del sole dimostra solo come lo stiano sottovalutando, nella forza che ha raggiunto.
Gli unici personaggi un poco interessanti di questa serie sono Setrakian – anche se i flashback fanno di tutto per renderlo scialbo per la sciattezza con cui sono realizzati: mi volete forse far credere che un ebreo armeno che vive nell’Est Europa parla in inglese anche quando è da solo con i suoi compatrioti? -, Eichorst – per il quale vale la stessa considerazione: mi volete forse far credere che un tedesco nazista parla in inglese quando è da solo e se la prende con il Fato/Master? Devo dedurne che il Master parla solo inglese? Mi sembra davvero eccessivo un tale livello di ignoranza per una creatura che ha vissuto per alcuni millenni! Per non fare menzione approfondita del fatto che alcuni millenni fa non si parlava ancora la lingua inglese – e Fet (se si chiama così, l’impressione che mi ha lasciato è talmente blanda che non sono nemmeno certo di quale sia il suo nome, però lo salvo perché l’attore ha fatto, anche se per poco, Lost e ha diritto ad accedere a dei punti bonus ai miei occhi) – che anche lui, però, la finisca con battute da scolaretto di seconda media e passi ad un tipo di comicità più matura, più adatta alla situazione, per la miseria! Dexter Morgan faceva ridere di più con la sua macabra ironia, ed era uno stramaleddettissimo serial killer -.
Davvero pessimo tutto il resto: se il tema centrale è l’amore e non costruisci caratteri per cui il pubblico può provare dei sentimenti forti, hai fallito alla grande. Pietro, seriamente ti sei sentito straziato alla morte della madre di Nora? Avrebbero dovuto ucciderla tempo fa, all’incirca quando ammazzarono Sam di The Lord of the Rings (anche in quel caso, ovviamente, empatia sotto lo zero verso le sorti del personaggio, per quanto mi riguarda), invece ci hanno costruito sopra un intero episodio (una delle più grandi oscenità televisive che abbia mai visto: per capirci meglio, qualche mese fa una mattina ho visto quasi per caso una puntata di Don Matteo e mi ha fatto un’impressione migliore) mettendola in coppia con il bambino pirla. Per non parlare del protagonista più detestabile e incompetente dell’intero panorama televisivo mondiale: non solo ha un parrucchino che fa urlare “PARRUCCHINO!” ad ogni poro del suo cranio, non solo si atteggia a boss saputello, non solo rompe i maroni ogni tre per due ricordandoci quanto ami suo figlio per poi abbandonarlo alla prima occasione con chiunque capiti a tiro (pure una vecchia molesta con l’Alzheimer) prima di decidersi a tenerselo vicino per la prima volta proprio quando si reca nel covo della creatura più pericolosa con cui avrà mai a che fare nel corso della propria miserrima esistenza, non solo copula e cincischia ogniqualvolta dovrebbe rendersi produttivo in termini di lotta (in senso lato) ai vampiri per poi atteggiarsi a eroe, ma, e questo è davvero imperdonabile, nove cose che dice su dieci sono emerite fesserie (chiedo scusa se autocensurandomi il periodo perde l’effetto liberatorio che dovrebbe avere e diventa tanto anticlimatico quanto questo finale di stagione, specialmente se lo si prova a leggere tutto d’un fiato (tecnica altamente innovativa nota come “binge-reading” nell’era di Netflix): a tal ragione, vi invito a sostituire la parola “fesserie” con un’altro vocabolo per inizia con “putt-” e termina con “-anate” XD). Se non ci fosse stato Setrakian, i vampiri avrebbero vinto in circa sei puntate, e meno male che parliamo di un ultrasettuagenario con il crepacuore e l’agilità di un ultrasettuagenario: a pochi intenditori, poche parole.
Inoltre, è apprezzabile la volontà degli autori di assumere un approccio più pseudo-scientifico nei confronti della natura del vampirismo, ma se mi presentate questi vermi che propagano il contagio come insidiosissimi e altamente aggressivi nelle prime puntate, mentre nelle ultime i nostri eroi sguazzano liberamente fra teste mozzate e paludi di vermi senza alcuna conseguenza, io penso solo una cosa: meglio se non mi date alcuna spiegazione scientifica e rimanete sul vago. Almeno posso giustificare la sciatteria della messa in scena.
Infine, il Master è fisicamente ridicolo da ogni punto di osservazione: vi concedo che vuole essere un omaggio a Nosferatu e vi concedo che non vogliate calcare la mano con gli effetti creati tramite CGI, ma almeno impegnatevi per realizzare qualcosa che non sembri una maschera di plastica di bassissima qualità con un tizio sotto che immagino sudi come un pazzo per tre minuti di primo piano.
Detto in tutta sincerità, The Strain mi pare vittima non di vampirismo, bensì della “The Walking Dead syndrome”, da me diagnosticata a suo tempo nei riguardi della serie che dà il nome alla malattia: ho l’impressione che questa serie sarebbe quantomeno accettabile se si sbarazzassero degli autori dei libri da cui è tratta e imprimessero una svolta decisa ai temi, al modo di raccontare la storia, alla presentazione dei protagonisti: fra questi elementi deve esserci sinergia, altrimenti viene fuori un pasticcio totale. Una sola testa al comando, possibilmente che sappia come funzionano i meccanismi della narrazione seriale TELEVISIVA (parola la cui importanza non va assolutamente sottovalutata), è un prerequisito minimo e necessario se si vuole dare vita ad un’opera di qualità elevata. Non credo sia un caso se The Strain abbia debuttato fra la curiosità generale e il plauso della critica americana qualche mese fa e abbia concluso la sua prima stagione fra il silenzio generale. Al contrario di quanto sosteneva Totò, in America come a Napoli, “‘ca nisciun è fess'”.
Nonostante questo sei ancora qui e ci “sprechi” tempo in un mega commento, interessante, per quanto io non sia per niente d’accordo con esso.
Se gli autori avessero seguito meglio i libri e pensato meno al mezzo “televisivo” tutte le scemate che citi, e che ci sono state, come da me anche detto sull’allungare il brodo usando male i personaggi, soprattutto Eph, sarebbe uscito tutto molto meglio. Veloce, sicuro e sopra le righe nel modo giusto in cui uno show “vero” (nel senso non Twilight”) sui vampiri dovrebbe essere.
Per i vermi, semplicemente i ragazzi ne hanno capito l’importanza e ne stanno attenti, come un medico che sa cosa fa male ma non può vivere in ospedale in punta di piedi. Sta attento senza per questo far vedere ogni tre sec. che evita di ammalarsi in vari modi.
Sul parrucchino di Eph io sono la fortunata: non ho mai visto l’attore prima e quindi la cosa mi lascia del tutto indifferente. Per me è così e basta.
Fet, è invece, il meglio riuscito, in quanto il più seguito dagli autori rispetto al libro. Tranne l’enorme caduta, che ancora non mi spiego, se non con mezzo teelevisivo in mezzo a far fare scemate, dell’entrata cretina con la hacker da Palmer. Proprio fuori personaggio, che invece sa sempre cosa fare e come cavarsela. Perchè è proprio questo il punto di Del Toro: meno cultura sceientifica e “regolare” e maggiori probabilità di sopravvivenza nel mondo del Master.
Sulla figura del master ancora il mezzo televisivo del ca…… . Non è così che doveva essere rappresentato, anzi i nostri non avrebbero dovuto proprio vederlo nella sua vera condizione, ma nel corpo del cantante punk. Neanche il suo vero aspetto viene rivelato nel libro, per non dare punti deboli in mano ai nemici. Ma qui andava fatto vedere in tv ed è uscita quella cosa che ne sminuisce l’orrore e la vera malvagità, che non è limitata ad essere un re di vampiri. Nei libri è molto più psicologico e pesante da gestire, per noi e per i ragazzi. Ancora quel cavolo di mezzo teelvisivo che ha regole che Del Toro dovrebbe superare e seguire il suo istinto.
Secondo me, non è così che può funzionare la televisione (ma anche il cinema se è per questo), jackson: in questo contesto è necessario mostrare materialmente per rendere vivo ciò che è sullo schermo. Puoi rimandare e rimandare fino ad un certo punto, ma quando il tempo è maturo devi necessariamente materializzare ciò di cui hai parlato in precedenza. Ragion per cui parlare di The Master senza mostrarlo, o anche limitarsi a mostrarlo nel corpo di un personaggio già visto ma non in fondo particolarmente importante (perché possedere quel cantante e non Eldritch Palmer? Perché non possedere un politico di rilievo a questo punto, se l’obiettivo è dominare il mondo? Un cantante non ha potere di controllo su eserciti e non può esercitare pressione materiale su gruppi finanziari), l’avrebbe reso ancora meno minaccioso rispetto a come lo è ora (diverso sarebbe, ad esempio, se lo vedessimo l’anno prossimo nel corpo di Satrakian: quello avrebbe un impatto di resa notevole, se non altro perché sapremmo ormai bene chi era Satakrian prima di diventare un vessel). Difatti, la sua rappresentazione è comica per via del terribile (in termini di fattura) costume di plastica che hanno messo addosso all’attore che lo interpreta e per via del fatto che parli praticamente solo in inglese (sarebbe stato bello vederlo comunicare in tedesco con Eichorst e in armeno con Setrakian, per dirne una, invece l’unica parola non anglofona che ha pronunciato finora è stata “professore” (fra l’altro, di grazia, di cosa?) e devo ammettere che la sua dizione non è nemmeno questa gran cosa) e che dica gran banalità (“I’m a drinker of men”: dovrei ridere o tremare di paura? Una didascalia con l’atteggiamento giusto che il pubblico avrebbe dovuto adottare non sarebbe stato fuori luogo in quella situazione), ma ciò non è per niente dovuto al fatto che l’abbiamo visto per come è veramente. In un’intervista a Del Toro che ho letto c’è scritto che è stata sua l’idea di rappresentarlo scenicamente in quella maniera, senza l’utilizzo di CGI, quindi per me la colpa è sua se il villain principale di questa saga fa venire la pelle d’oca quanto Rockerduck. A questo punto sarebbe stato meglio se Eichorst fosse stato The Master: quando l’avviamo visto “al naturale” il suo trucco era perfetto e il suo personaggio trasuda molta più personalità e contraddizioni dell’originale padrone oscuro.
Il fatto è che non si può sempre adattare sullo schermo un libro o un fumetto alla lettera: Fight Club, ad esempio, è molto fedele al testo di base ed è un ottimo film, mentre The Godfather è molto diverso dal testo di partenza (stando a quanto mi è stato riferito, giacché non ho letto il libro) ed è anch’esso un gran film. In un caso o nell’altro, non posso essere costretto a leggere il libro per comprendere meglio il film o a vedere il film per comprendere meglio il libro: se questo è necessario, vuol dire che non è stato fatto un buon lavoro. Pertanto, io sono felice per te e per gli altri lettori se, come scrivi tu ora, il libro è migliore nel presentare i personaggi, ma permettimi di avere i miei dubbi nello stabilire se dare la colpa della pessima resa televisiva degli stessi a Carlton Cuse o ai due creatori originali della storia nonché autori dei libri considerando che Cuse era, insieme a Damon Lindelof, al timone di comando di Lost, probabilmente la serie per eccellenza quando si tratta di costruzione ottimale dei personaggi; insomma, di lui sono sicuro che sappia benissimo come si crei empatia in televisione, mentre degli altri due sul piccolo schermo non ho mai visto nulla prima d’ora, quindi mi pare logico prendersela prima con loro che non con gli altri (poi è ovvio che Cuse non è innocente, ma complice, come in The Walkind Dead Darabont prima e Mazzarra poi – due che hanno dimostrato coi fatti di saper fare cinema e televisione ad alto livello – sono da considerarsi complici di Kirkman, ma non cause primarie dello scempio). Non sempre, ma a volte è necessario evitare un coinvolgimento eccessivo dei creatori di una storia nella realizzazione cinematografica/televisiva quando queste persone non hanno idea di cosa significhi fare cinema/televisione. Lo stesso Del Toro di film ne ha fatti, ma è evidente come sia una persona, al pari di J.J. Abrahams, che passa da un progetto all’altro, che inizia spesso e di rado finisce (se fai una ricerca su Google e fai un conto dei progetti a cui ha dato il via senza mai completarli, impallidisci). Insomma, dare a lui e a uno scrittore di romanzi un controllo creativo così importante quando hai a disposizione uno showrunner che, per carità, non sarà certamente il migliore di tutti i tempi, ma almeno conosce a menadito il campo di gioco mi sembra un errore lampante, che poi si paga quando si vede cosa è venuto fuori.
Sulle questioni secondarie che hai toccato, se ti interessa la mia opinione, ti dico che, a conti fatti, il personaggio dell’hacker, totalmente originale a quanto dici, è sicuramente più piacevole di Gus, la sua famiglia, Nora, sua madre, Eph, suo figlio, sua moglie ed Eldritch Palmer messi assieme e mi pare che costoro siano tutti adattati dal testo di base (dopo questi tredici episodi, se spettasse a me tale decisione, io li taglierei tutti in tronco e troverei altri protagonisti per mandare avanti la storia). Insomma, non così male per una creatura originale, considerando anche che nell’economia della storia ha fatto di più sia per i vampiri che per gli eroi di tutti gli altri messi insieme.
Infine, se sono qui a commentare è perché, dopo tredici puntate ho formato una mia idea sulla serie e ho voluta condividerla con voi, ma, come spero capirai, se l’idea è molto negativa poco conta il fatto che io mi sia preso la briga di esprimerla. Magari l’ho fatto solo perché oggi non ho davvero niente da fare e non mi costa niente mettere nero su bianco la mia opinione su The Strain, cosa che può risultare utile anche in chiave futura, cosicché quando tra un anno partirà la seconda stagione potrò venire a leggere cosa non mi aveva convinto della prima e vedere se i punti deboli dello show che avevo individuato saranno ancora punti deboli o meno. In fondo, se uno ti dicesse che sei un’idiota non è che lo prenderesti come un complimento solo perché il tizio ha “sprecato” il proprio tempo a dirtelo, no? In certe occasioni si ha più voglia di parlare di una cosa che si ritiene orribile rispetto ad una che si trova ottima. Le ragioni possono essere molteplici. Una di queste può essere il desiderio di confronto con una persona a cui quella cosa è invece piaciuta. Ad occhio e croce, direi che in questo tu sei per me una garanzia come io lo sono per te. XD
Posso essere d’accordo con te sull’esprimere opinioni negative, ma sempre del tempo e dei “pensieri” ci hai messo. Quindi qualcosa è passato da The Strain.
Sul mezzo televisivo mi astengo perchè non me ne intendo per niente. Ne sono usufruitrice ma non lo studio, dò solo le mie impressioni. Per es. citi spesso Lost ed io non lo sopporto (non è per polemica, giuro. E’ solo che proprio non lo reggo e ne ho fatti di tentativi di vederlo per capire cosa gli altri ci vedono). Di Lindelof ho visto The Leftovers e qui mi fermo sennò non mi fermo più. Ti dico solo hate a livelli stratosferici. A questo punto mi verrebbe da dire che se mettessero le mani su The Strain piangerei, da cultrice dei libri da ben prima che si parlasse anche solo di serie tv.
Il Master non prende possesso dei corpi per il potere che hanno nella vita, ma qui mi fermo sennò spoilero troppo dai libri. Ti prego solo di credermi sulla parola.
Sui personaggi da eliminare attento a ciò che desideri, potresti essere esaudito, come si dice dalle mie parti.
Sulla hacker anche qui dissento: proprio non mi piace. Rende Fet stupido e nel libro non lo è mai. Non ne vedo la ragione d’essere e non vedo l’ora che se ne liberino.
Palmer è vitale per il padrone, ma anche qui ti dovrei spoilerare troppo, la serie tv non ha ancora rivelato il suo piano.
Direi che questa stagione è interlocutoria, che ha trattato male i suoi personaggi (soprattutto Eph) e che, come sempre, il libro è sempre meglio.
Strana una cosa: hai citato JJA e guarda caso è l’unico showrunner che mi piace. Forse amo i pazzocchi che vanno e vengono LOL (ammetto però che il fatto che abbia fatto Star Trek mi influenza un bel po’)
Per decenza, mi limito a stendere un velo pietoso sul personaggio di Gus: in una serie americana che (non) si rispetti piena di macchiette stereotipate, ovviamente è il messicano ad averla vinta su tutto e tutti, persino sui vampiri lobotomizzati.
Il verdetto è il seguente: vedrò il primo episodio della nuova stagione per cercare di capire se i produttori e gli autori avranno imparato dai propri errori, ma se non sarà così, allora abbandonerò The Strain senza particolari rimpianti. La misura della mia pazienza è ormai colma e una serie, originale o meno, deve rispettare certi standard se vuole essere vista in un periodo particolarmente florido di serie vecchie e nuove davvero meritevoli di attenzione. Mi dispiace unicamente per Corey Stoll, che certamente sarebbe stato utilizzato meglio in Homeland. Goodbye, Strigoi.
Rispondo ai due interventi che si rivolgono più direttamente alla recensione:
@jackson1966: mi fido di te sul fatto che nei libri lascino intendere uno scopo del genere, ma quello che la serie ha trasmesso (ed è questo che si sta giudicando, non il suo rapporto con ciò da cui è tratta) è qualcosa di totalmente diverso. Mi dici che non è “rivalità” tra setrakian e il Master ma “sopravvivenza dell’uno o dell’altro”, va bene, ma alla fine, comunque la si voglia mettere, la messa in scena delle ultime sequenze è povera, frettolosa e poco soddisfacente. I temi di fondo possono essere incredibilmente profondi, ma se poi la resa del tutto non riesce a trasmetterli e delude le aspettative create dagli episodi precedenti (che segnavano un miglioramento, si, ma niente di rivoluzionario o incredibilmente curato) allora si parla di fallimento.
@winston smith: ho trovato la scena della morte della madre di Nora straziante non per la costruzione del suo personaggio (su cui sono senza dubbio d’accordo con te), ma per il modo in cui viene mostrata, per le musiche, il legame con la tragedia di setrakian e il pathos che la sequenza, nonostante tutto, riesce a comunicare. Poi è ovvio che se alla base del tutto ci fossero state caratterizzazioni convincenti e una crescita qualitativa uniforme, l’episodio ne avrebbe beneficiato e sicuramente il voto non sarebbe stato 7, ma se in una puntata si trova un così netto distacco qualitativo tra una prima parte scialba e una seconda più riuscita, perlomeno bisogna riconoscere qualche piccolo merito agli autori.