
A questo si pensa quando, a inizio episodio, veniamo avvisati del fatto che tutto ciò che vedremo è stato scritto e girato prima delle sentenze relative ai casi di Ferguson e di Staten Island; ed è sempre con lo stesso spirito che ci vengono offerte le prime immagini, documenti simil-amatoriali che puntano a rendere ancor più reale il collegamento con i casi che ancora oggi scuotono l’America.

No one’s winning a Nobel Peace Prize here.
È chiaro che in una serie come questa spesso i casi di attualità vengano usati come mezzo per raccontarci altro, ma forse questa vicenda si meritava qualcosa di più; un approfondimento maggiore rispetto ad un finale in cui una non-rivolta (spacciata o meno come tale a seconda delle convenienze) viene placata da una mossa fin troppo semplice come quella di Peter.
Invece l’intera storia viene schiacciata da una puntata che mette in campo tutto – letteralmente tutto – quello che ha a sua disposizione, al punto che la morte di un uomo in queste condizioni risulta solo un elemento tra i tanti sia da parte del gruppo di Alicia (che quando la prepara mette sullo stesso piano il caso Willis, il dibattito, l’affair di Peter e Ramona), sia da parte di Peter, a cui Eli dice senza mezzi termini “This is your Giuliani moment, sir. […] I’m not saying you take advantage of it, but no one will talk about Ramona if you handle this properly”.

“I can go after the top crooks because I know who they are.”
“Because you represented them.”
“Yes!”

Facciamo però un passo indietro: nell’ambito dell’avventura politica di Alicia Florrick, la mossa più astuta dei King fino ad ora è stata quella di lavorare in modo atipico sull’avversario. Fino a quando questo era rappresentato da Castro, infatti, era facile riconoscere nella struttura uno dei più classici cliché da “political fight”: lei, la candidata che prima-non-vuole poi-però-ci-pensa e infine combatte-per-i-più-deboli, e lui, il nemico corrotto da sconfiggere, che non si risparmia di certo quando si tratta di mettere i bastoni tra le ruote della squadra avversaria.
Con l’arrivo di Prady, invece, abbiamo assistito a qualcosa di diverso: certo, si tratta di una corsa elettorale, quindi nessuno si aspetta che non si combatta con le unghie e con i denti; tuttavia c’è da parte dei King la volontà di far trasparire finalmente qualcosa d’altro. È una gara in cui, incredibile dictu, c’è del sostanziale rispetto tra le due parti, soprattutto dovuto al fatto che entrambi sono quanto di più estraneo ci sia alla politica: Alicia, per il percorso che ben conosciamo; Prady, che arriva da una carriera di commentatore politico (l’ambito è quello, ma la natura è diametralmente opposta).
Per questo persino una scena come quella della cucina, che non brilla certo per originalità, di sicuro non può sembrare falsa o posticcia, perché il rapporto tra i due è stato costruito esattamente per arrivare qui: a due candidati che spiegano perché vogliono essere eletti discutendo realmente dei problemi in questione, senza countdown, rossi o verdi che siano, e senza regole sui minutaggi da perderci la testa. Non è certo un confronto tra educande, quindi i colpi bassi ci sono, ma non sanno mai di scorretto: ed è per questo atteggiamento che persino la precedente difesa di Prady nei confronti di Alicia davanti al giornalista risulta sentita e tutt’altro che falsa – a differenza del discorso stesso della donna, ormai giunto con quel “how dare you, sir?” ad evidenziare una certa stanchezza creativa.

Why am I still in? Because I think I would make a better state’s attorney.
There.
You have a problem with that?

Allo stesso modo, l’accusa di sessimo che Alicia lancia a Cary, ma soprattutto a Diane, pare essere priva di senso – ad onor del vero lo è anche l’attacco Lockhart/Agos, perché fino a che Cary era in carcere l’idea di Alicia in Procura andava bene a tutti, ora no e tanti saluti a tutto il resto.
Insomma, tutta la parte legata al conflitto interno allo studio non ha mostrato la parte migliore della scrittura di The Good Wife, ma è stata senza dubbio funzionale come goccia che fa traboccare il vaso: se prima Alicia aveva subodorato di essere forse adatta alla corsa, ora non ha più alcuna esitazione, e il modo con cui dice a John “Everything’s great. I’m gonna win” lo dimostra più di tanti altri discorsi.

“The Debate” inizia con un potenziale molto alto e lo porta a conclusione solo in parte, facendosi prendere un po’ troppo la mano dalla voglia di rendere tutto vorticoso e confuso per Alicia, al punto da non vedere che, come per tutte le cose, il troppo a volte stroppia. Non è affatto una brutta puntata, ma non è nemmeno una di quelle a cui i King ci hanno abituato, e a questo giro la sensazione di occasione sprecata un po’ si sente, soprattutto perché sarebbe bastato poco – limitare il caso Chumhum, per dirne una – per dare a tutto il resto la giusta importanza.
Voto: 7-
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Bella recensione per un episodio un pò difficile da capire .
I king hanno usato l’uccisione dell’uomo di colore e l’assoluzione dei 2 episodi sia per tenere TGW sempre ancorata alla relatà , sia per evidenziare che la politica calpesta ogni cosa.
Di questo episodio il momento che mi è piaciuto di più è stato il confronto finale Diane / Alicia/ Cary , perché lo aspettavo da tanto anche se avrei preferito che avvenisse in modo diverso.
La Buona Moglie fino ad ora non aveva ancora capito cosa voleva veramente, ora si: vuole diventare SA.
Ramona : porella , proprio un agnello sacrificale. NON si è visto niente della suaa storia con Peter che l’ha liquidata in 10 minuti per salvare la sua anima, ops pardon , la sua carriera 🙂
Mmm mi dispiace ma non credo che sia stato un episodio da 7-.. Secondo me non è vero che è stato alcune cose sono state liquidate velocemente. Si tratta di una puntata ‘realistica’ per Alicia: ricordiamoci che si tratta della crescita di un personaggio e non di una visione oggettiva e esterna. Mi viene in mente la parte in cui Alicia manda accuse sessiste a Diane: è appena tornata da un dibattito in cui si mettevano in campo due schieramenti- razzismo e non- e oggettivamente in un momento di rabbia poteva darsi che Alicia rivolgesse quelle accuse (per associazioni di idee all’opposto). Ma si tratta di Alicia, non dei King. Ricordiamoci che la scrittura è in parte rivolta a sviluppare un personaggio, non a dare un giudizio oggettivo. Non confondiamo giudizio realistico ed oggettivo, cose diverse.
Caro Massimo, quella che tu dai come interpretazione dello sfogo di Alicia è una cosa assolutamente personale, che può di certo avere delle basi “umane”, ma che non vengono in alcun modo messe in evidenza dalla puntata in modo tale da essere date per certe. Il punto è che proprio un’accusa del genere nei confronti di una donna come Diane è assolutamente out of character e senza senso, e non credo proprio che passare una giornata alle prese con un dibattito sul razzismo possa far dimenticare ad una donna come lei quanto Diane sia l’ultima persona a cui si possa dire una cosa simile. La si può accusare di molte cose, ma di sessismo proprio no. E’ proprio perché si tratta di Alicia che non è accettabile, proprio perché sa benissimo da quale background provenga Diane e la scusa del momento di rabbia non può giustificare qualunque cosa una persona dica. Non si tratta dunque di un giudizio in alcun caso, si tratta di coerenza narrativa. Un personaggio può essere incoerente? Certamente, come qualunque essere umano. Può uscirsene con una cosa che non ha alcun senso solo perché “è arrabbiata”? Mah, si può anche fare, ma ci vuole comunque un minimo di rispetto per il personaggio che si è creato, e qui Alicia (che aveva pure ragione sulla questione David Lee) ci fa solo la figura della sciocca.
La puntata (vado a memoria, visto che parliamo di più di 6 mesi fa) non ha preso un voto più alto comunque per ben altri motivi, che sono in sostanza quelli spiegati all’inizio. I King avevano tra le mani un’idea ottima (come spesso accade), ma questa volta non sono stati in grado a mio avviso di dare l’importanza necessaria alla vicenda, facendola perdere in un turbine di eventi che hanno fatto più male che bene alla narrazione.
A presto! 😉