Fin dall’inizio House of Cards è stata una serie difficile da giudicare: performance ottime che si intersecavano con una storia e con personaggi talvolta stereotipati, incapaci di catturare completamente lo spettatore attento e di rendere la serie il capolavoro che poteva essere e che fin dal pilot ci auspicavamo.
Questa terza stagione, quasi unica nel suo genere, riesce nel compito di differenziarsi rispetto alle annate precedenti: il susseguirsi quasi ininterrotto di vittorie per Frank, ottenute grazie ad un sapiente mix di astuzia, fortuna e totale mancanza di morale, viene bloccato dall’affacciarsi della cruda realtà della Casa Bianca: nonostante sembri facile, governare non si è mai rivelato così difficile.
I tre episodi presi in considerazione svolgono una funzione precisa nell’economia della serie, portando avanti la trama senza dimenticare l’approfondimento dei personaggi principali, ora come non mai messi a contatto con situazioni estreme che ne rivelano paure, incomprensioni e dubbi. Il sesto episodio risulta speculare al terzo, che fino ad ora si era segnalato per coesione narrativa e novità nella struttura: sono Claire e Frank a viaggiare in Russia, ospiti del presidente. Ciò che avviene nel giro della giornata definirà il corso della stagione e segnerà un grave colpo per l’unione, apparentemente incrollabile, dei due coniugi. Mentre il settimo episodio ha una funzione di approfondimento, analizzando ancor più a fondo l’evoluzione della crisi tra i due, è l’ottavo a segnare un punto di svolta nella narrazione: a causa dell’uragano, Frank sarà costretto a firmare il disegno di legge che toglierà ai fondi ad AmericaWorks, suo progetto più ambizioso, sancendo la sua definitiva sconfitta, ma al contempo un’occasione di rivalsa.
Suicide is too selfish.
Nel corso delle stagioni il rapporto tra Frank e Claire ha subito diversi scossoni, ma è sempre stato in grado di reinventarsi e ritrovarsi con la stessa fiducia delle origini. I germi della crisi si evincevano fin dai primi episodi della stagione: dormire in stanze separate non era che una conseguenza, giustificata dai mutui impegni lavorativi. L’affinità e il conseguente bacio rubato da Petrov rendevano più evidente quel muro instauratosi tra i due; un muro sempre più solido che li allontanavo sempre più in fretta, rendendoli come tutti gli altri.
La lite che conclude l’episodio, apparentemente legata al suicidio politico di Claire, ha in realtà motivazioni molto più profonde: la mancanza di dialogo ha minato alle radici un meccanismo quasi perfetto, una coppia capace di percepire la vita e il lavoro come frutto di un duo. La profondità e la durezza di questa discussione si misurano nelle battute icastiche che Robin Wright e Kevin Spacey si scambiano, riuscendo a modulare perfettamente la delusione e la rabbia che provano l’uno nei confronti dell’altro: se Frank tenta di assumere una posizione di controllo nella discussione, considerando la nuova posizione di Claire per quello che effettivamente è (cioè un regalo dovuto alla sua posizione di Presidente), la stessa colpisce sul vivo l’ego del marito; poiché lei, che lo conosce meglio di chiunque altro, percepisce le contraddizioni e i dubbi che permeano il suo animo. Quel “I should have never made you president” colpisce Frank come una stoccata letale: perché sono state dette frasi che non possono essere rimangiate, e perché sono stati eretti muri forse troppo forti per crollare.
Il motivo del suicidio investe l’intero episodio, a partire dal dialogo iniziale tra Frank e lo scrittore, contribuendo a creare l’atmosfera di tensione che porterà al culmine finale: ma il suicidio non è solo quello di Carrigan, attivista gay deciso a dare alla sua morte un senso. È anche e soprattutto quello politico di Claire, ben conscia del peso delle sue parole, ma al contempo determinata a smascherare la verità, questa volta, a differenza del marito, senza mezzi fini. Le figure di Carrigan e Claire sono poste al pubblico come facce della stessa medaglia: capaci entrambi di comprendere le falle della società e di capire che un sacrificio talvolta è necessario. Carrigan diventa la coscienza della donna, mostrandole ciò che voleva ardentemente negare: quel matrimonio che tanto decantava come reale e duraturo sta attraversando un uragano da cui potrà difficilmente uscire. Solo la presa di coscienza della crisi e l’ammissione di colpa da parte di entrambi potranno portare ad una riconciliazione.
I can believe we’ve become this. Like everyone else.
Il settimo episodio si incentra completamente sull’evoluzione della crisi tra i due, trattando la situazione in modo nuovo: lo scambio di voti mostrato ha un effetto straniante per lo spettatore, che non ha ancora i mezzi per riuscire a comprendere le ragioni della riconciliazione. Nonostante le motivazioni vengano poi sviscerate nel corso dei minuti, queste non appaiono totalmente convincenti: decidere di risolvere un conflitto così ben costruito nel corso di un intero episodio può rivelarsi una buona decisione se si riesce a rendere credibili le azioni dei personaggi coinvolti. Nel caso di House of Cards, il tentativo non è riuscito, o almeno non completamente: le scene singole o in coppia funzionano molto bene, grazie all’alchimia tra gli attori, ma il salto temporale non riesce a rendere una dimensione realistica della vicenda, che viene così sminuita di valore, riducendosi ad una semplice ammissione ed alla decisione vista all’inizio dell’episodio.
Turning back was no longer an option.
L’ottavo episodio riesce nel tentativo di diversificarsi dai precedenti, svolgendo una funzione importantissima per la serie: le conseguenze dello scampato uragano porteranno nuova fiducia negli occhi di un rinnovato Frank, pronto, ora più che mai, a battersi per la rielezione. La metafora dell’uragano che accompagna l’intero episodio riesce a rendere bene la complessa psicologia di un uomo venuto dal nulla, in grado di modificare il proprio destino e di non arrendersi di fronte a ciò che minaccia di sconfiggerlo. Ma, come ben ricorda Frank allo scrittore, imagination is one kind of bravery: l’uomo per eccellenza, l’uomo politico, è capace, tramite lo strumento della finzione, di piegare la realtà, nei suoi più infimi rivolgimenti, al proprio volere.
Le storyline secondarie di quest’annata non riescono ancora a cogliere l’attenzione nel modo in cui dovrebbero: nonostante Doug sia un elemento su cui gli autori hanno voluto investire potenziale, le rivelazioni di questi episodi non aggiungono né tolgono niente alla sua caratterizzazione.
House of Cards continua a confermarsi nella sua natura di prodotto imperfetto: tuttavia, nonostante i difetti, risulta sempre godibile e foriero di riflessioni sulla natura delle relazioni tra gli uomini.
3×06: 8+
3×07: 7+
3×08: 7,5