Lo scorso anno ci siamo lasciati con un bilancio finale sostanzialmente positivo sulla seconda stagione, sporcato in parte dall’ultimo episodio che ha certificato che anche un’ottima serie come Orphan Black è fatta di luci ed ombre. E questo primo episodio che inaugura il terzo capitolo della saga dei cloni riprende esattamente da dove aveva lasciato – nel bene e nel male.
Facendo riferimento al quadro generale, e quindi tenendo un punto di vista assolutamente ampio su tutto il prodotto, è ovvio che questo prodotto della BBC resti una di quelle serie da consigliare senza tanti preamboli o spiegazioni, assolutamente apprezzabile anche solo per l’enorme lavoro e bravura di Tatiana Maslany. Questo concetto è stato ripetuto, scritto, detto talmente tante volte che sta diventando quasi una prassi inevitabile, lasciando intendere che oltre alla sua camaleontica interpretazione ci sia ben poco di cui parlare.
La verità è che è così: la storia ruota intorno alle misteriose sorelle e alle loro travagliate esistenze divise tra un’origine sconosciuta che le accomuna e vite sociali, familiari, personali invece totalmente differenti tra loro. E per le prime due stagioni era assolutamente giusto che il nucleo narrativo fosse al centro dell’attenzione e che ogni tassello (cioè ogni clone) fosse focalizzato a comporre l’intricatissimo puzzle che abbiamo oggi davanti agli occhi. Il problema è che adesso ci si aspetterebbe che l’introduzione di nuovi elementi, cioè i cloni uomini, scomponessero il già costruito per dare forma non ad un quadro diverso, ma più evoluto. “The Weight of This Combination” ripropone invece le stesse dinamiche, puntando sempre sul cavallo vincente delle trasformazioni strabilianti della Maslany e portando in scena – ovvero sulla bocca di tutti i personaggi – nuovi misteri, per poi sdoganarli decisamente troppo in fretta.
La parte centrale dell’episodio è occupata dalla nuova gestione del DYAD passata nelle mani di Delphine, che si improvvisa novella Rachel tutta affari e niente cuore. La credibilità del personaggio in queste vesti è praticamente inesistente, cosa che già non brillava per lei neanche nel passato; c’è giusto una lieve ripresa quando decide di ricattare vilmente e sadicamente la sua ex-capa, ormai mezza cieca e costretta in un letto di ospedale.
Per tentare di rendere più accattivante l’argomento viene introdotto un nuovo personaggio, tale Ferdinand (James Frain), che, come sempre quando appare inizialmente, sembra essere il peggior cattivo che sia mai passato sullo schermo per poi rivelarsi invece l’ennesima pedina di un gioco che diventa sempre più grande e complesso. Ormai la questione del progetto LEDA, cui si lega anche quello di Castore, assomiglia sempre di più ai pezzi di una matrioska: come in quel caso ogni pezzo è contenuto da un pezzo più grande, così la misteriosa organizzazione che controlla il tutto ha nuovi piani più alti sopra di sé. Nell’economia generale della serie, come si diceva prima, non c’è nulla da eccepire: aggiungere e accumulare elementi non può che giovare al ritmo della narrazione, che in Orphan Black scema davvero raramente. Il problema – per quanto potenziale, dato che la terza stagione è appena iniziata – arriva però ad essere composto di due parti: il primo era stato già espresso lo scorso anno e riguarda la difficoltà di connettere le varie storyline, perché diventa sempre più facile perdere il filo del discorso e soprattutto di molti personaggi non è chiara né l’identità né da che parte rispetto ai cloni si posizionino. Il secondo è rappresentato invece dal pericolo routine: pur cambiando l’entità dei soggetti, modificando e ricucendo situazioni (vedi ad esempio Delphine), alla fine dei conti la storia non va avanti, non è lineare, ma sembra più un vortice che aumenta di volta in volta il suo raggio. Stessa sensazione c’è anche verso quella terribile minaccia codificata nel nome “Helsinki”, e che rimanda al massacro di 6 cloni e 32 danni collaterali avvenuta anni prima: probabilmente rimarrà in stand-by, oppure serviva solo a smascherare i veri piani di Rachel; fatto sta che si rivela giusto un’altra componente del passato e che forse ha già smesso di avere reale incidenza nel presente.
Questo episodio sembra non aver compiuto alcuno stacco rispetto alla fine della passata stagione, riaprendo la storia su nuovi orizzonti che però non sanno di nuovo. E in queste osservazioni si sente che c’è qualcosa di paradossale: Orphan Black funziona, è una bellissima serie, ma è più come un grande calderone in cui vengono mescolati gli stessi ingredienti da un po’ e, dato che sono giusti e ben scelti, portano a casa sempre un ottimo risultato. Non per niente i momenti migliori dell’episodio sono quelli che teoricamente fanno da affluenti alla trama principale, e primo tra tutti è la scoperta di Helena ancora viva, chiusa in una scatola da 48 ore ed in preda ad allucinazioni deliranti. Oltre ad essere una delle interpretazioni meglio riuscite dalla Maslany, è anche il personaggio che attira maggiormente l’attenzione, immerso ogni volta nelle situazioni più disparate ma portate avanti (più o meno a lungo) in piena coerenza con le sue caratteristiche. Meno incisivo e anche forse più prevedibile è il come Sarah viene a scoprire della sorella ancora in vita, poiché passa nuovamente tramite Siobhan e la fulminea velocità con cui si trova nelle situazioni: viene attaccata da uno dei cloni uomini, rilasciata, interrogata dai suoi figli adottivi per poi essere salutata ancora, se non dimenticata, finché non servirà per sapere qualche altro segreto che custodisce da più o meno tempo.
Cosima, cioè la nuova coinquilina di Felix, e soprattutto Alison, regalano invece dei bei momenti. La prima, seppur relegata nella situazione della malattia e avendo avuto poco spazio, fa il primo passo verso il suo tangibile contributo alla storia, cioè la volontà di studiare il codice lasciatole in eredità dal dott. Duncan e l’aver messo al corrente Scott. Allison gode, per fortuna, di una buona fetta di autonomia rispetto al resto e si inserisce sempre come il miglior interludio rispetto al caos centrale: non vediamo infatti l’ora di vederla in tenuta da candidata come rappresentante scolastica con al fianco Ted disoccupato – ci sono tutte le premesse per molte, piacevoli risate. A rendere decisamente non banale il personaggio è inoltre la totale naturalezza dei suoi inserimenti al fianco più operativo di Sarah, portando sé e i suoi tratti principali calati perfettamente in qualsiasi circostanza.
Tirando le somme, le luci e le ombre viste lo scorso anno continuano a palesarsi anche in quest’avvio di stagione, pur non intaccando la serie alle fondamenta. La speranza è che gli ingranaggi rimangano ben saldi sui ritmi incalzanti cui ci ha abituato e che questi vengano anche maggiormente oliati, magari sacrificando un sovrannumero eccessivo di nuovi elementi, puntando a stabilizzare meglio e quindi a far funzionare con facilità la già immensa architettura messa in piedi finora.
Voto: 7