
Da alcuni anni ormai i network televisivi americani – diversamente dalle abitudini della nostra televisione – non chiudono per ferie per tre, quattro mesi, ma continuano una programmazione ricca di show originali. Spesso si tratta di serie dal taglio “minore” (prodotti nei quali il network non crede appieno, o almeno non a sufficienza da lanciarli nel mattatoio che è la programmazione invernale), ma altre volte sono show che non hanno niente da invidiare a nomi ben più blasonati.
Mr. Robot è uno di quei casi in cui una serie televisiva estiva all’apparenza inoffensiva e debole riesce invece a sorprendere positivamente non tanto per l’originalità della propria trama – che, come vedremo senza far spoiler, non brilla certo per inventiva – quanto per la modalità stessa del racconto.
What I’m about to tell you is top secret, a conspiracy bigger than all of us. There’s a powerful group of people out there that are secretly running the world. […] The top 1% of the top 1%, the guys that play God without permission.

Come si diceva in apertura, la vicenda narrata in sé non ha delle basi inedite: le grandi corporazioni viste come il nemico, gruppi di attivisti anonimi che, tramite operazioni di hackeraggio, cercano di abbattere il Gigante, cospirazioni e paranoia. Elementi che, presi in senso assoluto, sembrano già sentiti vengono rivitalizzati nel racconto di Mr. Robot grazie soprattutto alla modalità narrativa attraverso la quale veniamo direttamente catapultati nella storia e tra i personaggi che la affollano.
Tutto è filtrato attraverso lo sguardo di Elliot: facendo leva sui problemi psichiatrici del protagonista, infatti, lo spettatore viene trascinato nella diegesi per divenire un vero e proprio personaggio sulla scena. In qualità di “amico” immaginario nella mente del giovane hacker, il pubblico si ritrova nella miglior condizione per leggere e capire un personaggio come quello di Elliot che ha tutti i presupposti per diventare estremamente affascinante. Attraverso i suoi pensieri – o meglio, i dialoghi che intrattiene con noi – entriamo in profondità nella disturbata psicologia di un uomo affetto da disturbi dissociativi e gravi difficoltà sociali. La sua paranoia diventa la nostra, le sue considerazioni cambiano la realtà stessa che ci viene offerta (al punto che la E Corp verrà, dopo la spiegazione iniziale, sempre definita “Evil Corp” anche dagli altri personaggi), costringendoci a chiederci se ciò che stiamo vedendo sia reale o meno. Questa peculiare scelta narrativa – che infrange la quarta parete in maniera più elegante e meno invadente di quanto accade con House of Cards – riesce perfettamente nel suo intento, trasformando l’intero racconto in qualcosa di più di un semplice thriller.
Banalizzando, sarebbe proprio questo il genere di riferimento di Mr. Robot: cyber thriller, se vogliamo, nella sua forma più moderna e riuscita. Non stiamo infatti parlando della troppo frequente semplificazione del mondo informatico, in cui si tende a scivolare ritenendolo ancora un argomento troppo ostico per lo spettatore medio, ma di una sua attualizzazione, digeribile proprio grazie agli interventi del “narratore”. Questa scelta non trasforma l’hacker, come troppe volte accade, in una sorta di mago moderno che con un paio di click e colpi casuali sulla tastiera è in grado di scoprire vita, morte e miracoli di chiunque, ma ne mostra le difficoltà ed i limiti.

Se quest’ultimo è senza dubbio la punta di diamante del pilot, un buon lavoro nella scrittura è stato fatto anche nei confronti di alcuni personaggi secondari di cui sono stati tratteggiati pochi ma essenziali elementi caratteriali: a partire da Angela (Portia Doubleday) e passando per Gideon (Michael Gill, House of Cards), il loro responsabile all’AllSafe, e la psicologa Krista (Gloria Reuben), gli autori dedicano loro una piccola porzione di tempo per renderli qualcosa di più di semplici espedienti narrativi.

In definitiva, non possiamo che promuovere Mr. Robot ed il suo pilot, grazie soprattutto ad un personaggio principale vincente e ad una trama potenzialmente efficace. Superata la sensazione di déjà-vu e limati alcuni difetti, questa serie potrebbe davvero diventare un’ottima compagnia per quest’estate.
Voto: 7 ½

A me è piaciuto. Molto bella la prima scena al ristorante, un po’ alla “I soliti sospetti” quella dalla dottoressa, ma forte lo stesso.
Apprezzo il fatto che Christian Slater finalmente reciti un po’ meglio, visto che per me, di solito, è insopportabile.
Bravo Rami, sofferto quel che basta. E la pusher coi calzini a letto è adorabile.
Complimenti per la recensione, Mario, non so davvero cosa aggiungere! Ho appena recuperato questo primo episodio e, nonostante i piccoli difetti da te elencati, sono rimasto molto soddisfatto. Si tratta sicuramente della novità estiva che mi interessa di più, speriamo venga sviluppata in maniera convincente 🙂
Bella bella bella questa serie. Viste ieri sera in un boccone le prime 3 puntate. Totalmente affascinato dal personaggio e totalmente intrigato dalle pillole sul mondo che ci circonda. Banali o no, complottistiche o meno mi rispecchio totalmente nella completa, indiscussa ed indiscutibile denuncia al capitalismo e alla società odierna.
Non solo promossa questa serie ma totalmente rapito da essa.