Forse l’anno scorso non tutti avrebbero scommesso su una serie come Penny Dreadful e magari non avrebbero avuto particolarmente torto. Sulla carta c’era veramente poco ad invogliare la visione: la serie sembrava destinata ad attrarre solo i cultori del genere horror, magari in costume, e amanti di una buona dose di splatter.
E invece siamo qui, con la buona novella del rinnovo per una terza stagione fresca di stampa, a fare un mea culpa generale. La serie di Showtime è infatti un prodotto che, pur nelle sue ingenuità, imperfezioni (sempre meno, in realtà) e nel riutilizzare temi e immagini abusati e lungamente battuti sia nel cinema che nella televisione, sta trovando sempre più la sua strada, mettendo a fuoco uno stile preciso e riconoscibile. Infatti uno dei tanti punti di forza è la popolarità dei personaggi che ha scelto di schierare, poiché questi non si riducono a mere pedine di una struttura inesistente, ma veicolano la fulminea immediatezza del telespettatore che pensa di sapere dove si trova, per venire poi traghettato in una storia inedita.
Il rischio mai da sottovalutare in questi casi di patchwork, dove si mischiano volontariamente toni, colori e stili, è di avere alla fine una sorta di gigantesco calderone in cui non c’è personalità, ma solo un insieme eterogeneo di cose. Per scongiurare ciò la penna di John Logan si sta concentrando, in questa seconda stagione, nel costruire una coralità dinamica, dove le connessioni tra i vari personaggi siano molto fluide tra loro e quindi naturali. Ed è la maggior vittoria rispetto allo scorso anno, dove il personaggio di Vanessa Ives, grazie al fascino sinistro di Eva Green, la faceva da padrone sulla scena, lasciando il resto in ombra. Pur mantenendo la donna come protagonista principale e indiscussa della serie, è chiaro come, togliendo a lei il “compito” di fare da cruna dell’ago di ogni situazione, l’importanza delle storie si sia maggiormente distribuita, rendendole così ancora più accattivanti. Victor e Brona sono i primi ad imporsi a fianco del filone centrale come zona più interessante della serie, non solo tracciando una forte continuità con la passata stagione ma delineando anche una nuova parabola evolutiva.
A questo punto è necessario però fare anche una digressione su quanto visto lo scorso anno. Pur frammentato, spezzettato e per molti versi sofferto, il concepimento della prima stagione rivela ad oggi il suo senso: senza tutti i tasselli lanciati sul tavolo – alle volte in maniera volontariamente disordinata – non si potrebbe fare adesso questo lavoro certosino di (ri)costruzione. La storia tra Brona ed Ethan, che era sembrata quasi una perdita di tempo, è servita invece come aggancio per far arrivare la donna da Victor, rinsaldando così anche la parte del neo-battezzato John Clare e rimettendo in gioco persino Dorian Gray. Sempre di più, insomma, quanto sviluppato precedentemente appare come il bozzetto preparatorio assolutamente fondamentale per dare forma al quadro che nasce adesso sotto i nostri occhi. “Glorious Horror” è l’episodio in cui meglio si percepiscono questi movimenti, funzionando da raccordo narrativo tra la prima stagione e la presente, in quanto riunione letterale e fisica di quasi tutti i personaggi principali. Non a caso, ad aiutare c’è anche una ritrovata unità spaziale, che ovviamente favorisce le varie dinamiche: il ballo organizzato da Dorian per la sua nuova fiamma Angelique è la mossa che chiude tutti in un’unica stanza – e offre contemporaneamente la riprova dell’impatto visivo che Penny Dreadful sa imprimere ad ogni scena.
Tuttavia, tra gli ultimi due episodi quello che fa scattare in avanti la serie, soprattutto qualitativamente, è “Little Scorpion”. Dove il precedente ha funzionato soprattutto come gestione e sedimentazione del materiale già portato in scena, questo invece dà una sensazione di avanzamento soprattutto narrativo, riprendendo quel bellissimo episodio che è stato “Nightcomers” e spostandolo ad oggi, con tutto il peso che aveva avuto nella vita di Vanessa nel passato. Fuori dai giri di valzer sanguinolenti delle visioni della donna era rimasto solo Ethan, che porta allo scoperto esplicitamente la sua doppia natura, rimasta fino ad adesso più intesa che davvero vista. E se in “Glorious Horror” le ambiguità di Ethan e Vanessa si sfiorano solo da lontano, cioè in un montaggio alternato delle trasformazioni per uno e possessioni per l’altra, i duetti tra la Green e Hartnett diventano in quest’ultima puntata sempre più intensi, significativi e diretti – mettendo anche in rilievo l’ottimo feeling che scorre tra i due attori.
In più il racconto e quindi gli intrecci che si stanno sviluppando possono contare su una caratteristica molto importante che prima mancava: gli eventi coinvolgono tutti, poiché non esiste una storia solo ed esclusivamente personale a fare da motore. Mina (cioè la grande protagonista in assenza della passata stagione) apparteneva a sir Malcom e a Vanessa, mentre gli altri ne venivano a contatto veicolati ed entravano in azione su commissione, sostanzialmente come mercenari di questi ultimi. Ora, invece, i personaggi sono allineati e profondamente compromessi in una grande storia che appartiene a ciascuno di loro, in quanto portatori insani di oscurità, ambiguità, stranezze e più in generale del Male. La cornice orrorifica delle streghe, capeggiata dalla migliore new entry della stagione, Miss Poole (Helen McCrory), li include più o meno direttamente tutti, perché rappresenta un’accezione di male, dolore, inferno che è dell’uomo, che accomuna profondamente, che esiste, e dove la volontà è messa a durissima prova. Così Brona, da rosata e dolce fanciulla risvegliata dalla morte, ci viene restituita assassina; Miss Ives si macchia del suo primo omicidio usando i poteri che cercava di tenere a distanza; sir Malcom si abbandona a Miss Poole senza opporre alcuna resistenza; Dorian Gray è colui che ha già barattato la vita con la vanità. A diversi livelli e con differenti declinazioni, sono le tante facce del dado del Male, la rappresentazione di come sia facile lasciarsi andare alle lusinghe del peccato.
Una storia quindi, unica ma piena di connessioni, dinamiche e movimenti che la fanno ondeggiare in un affascinante ed oscuro abisso. Quello che era iniziato come il one-woman-show di Eva Green è diventato il grande spettacolo gotico delle proiezioni del Male, senza banalità e senza forzature: la grande e mostruosa mappa visiva del cuore umano.
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