Può Penny Dreadful fare a meno per una puntata di Eva Green? Era questa la prova di maturità della serie di Showtime, una prova superata a pieni voti con quello che è forse addirittura l’episodio migliore della stagione.
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Da sempre il personaggio di Vanessa Ives è stato il cuore pulsante di Penny Dreadful, una presenza però talmente imponente da oscurare talvolta tutti coloro che le ruotavano attorno.
C’era dunque molta attesa nei confronti di questo “Memento Mori”, che per la prima volta allontana Eva Green e Josh Hartnett dalla serie per concentrarsi sugli altri personaggi. Il risultato è la conferma dell’ottimo lavoro fatto da questa stagione sulla coralità del suo cast, un lavoro che dà i suoi frutti in questo episodio spaventosamente ipnotico, sensuale, esteticamente potente e di una rara intensità. Nelle musicalità dei dialoghi scritti da John Logan, così come nell’eleganza del movimento di ogni inquadratura, i personaggi fanno coppia a turno in una sorta di danza macabra tra morte ed eternità. E in questo ballo della malinconia ognuno affronta il tormento della propria condizione, alla ricerca di un modo per sconfiggere lo scorrere del tempo, per sublimare quell’amore che hanno perduto o che non hanno mai conosciuto e che sembra vivere solo in attimi effimeri e inafferrabili.
Questa serie, del resto, non parla di un’umanità che cela il mostro al suo interno, ma del mostro che disperatamente cerca la propria umanità e che in maniera estrema affronta i propri demoni, cercando conforto nell’eterna giovinezza (Dorian Gray e Madame Kaly), nella poesia (John Claire), nei ricordi (Sir Malcolm), nell’ordine della scienza (Victor Frankenstein) o nel caos di un eros senza controllo (Brona/Lily). Le identità allora si perdono e i volti si frantumano nei frammenti di specchi rotti, lasciando quelle anime tormentate da un’endemica solitudine a danzare in un caos in sospeso tra elevazione e dannazione, dando vita a momenti pregni di romantico decadentismo.
Penny Dreadful trova così la perfetta commistione di tutte le sue caratteristiche, sia dando sviluppi importanti alla propria mitologia (la scoperta delle intenzioni di Lucifero, Malcolm che sconfigge l’incantesimo, la scoperta del ritratto di Dorian, la presa di coscienza di “Lily”), che proseguendo allo stesso tempo il suo percorso di riflessione sull’essere umano, evidente soprattutto in due momenti fondamentali: il dialogo sulla sofferenza umana tra Malcolm e Victor e il monologo finale di Lily (con una strepitosa Billie Piper che divora la scena). Su tutto, però, si staglia il momento in cui Malcolm sconfigge il sortilegio di Madame Kali, una sequenza onirica in cui fantasmi riprendono vita in una gotica scena di ballo, una danza che lascia poi le sue tracce nella realtà nella polvere di un salone vuoto, simbolo della morte che ha incontrato l’eternità nel ricordo incancellabile di un amore perduto: “Goodbye, my husband. What happy days we have known!“
Il nono episodio è invece incentrato maggiormente sull’azione, anche perché fa da apripista al finale di stagione e lancia probabilmente alcune storyline fondamentali per la futura annata (soprattutto per quanto riguarda Lily e Dorian). Ethan e, soprattutto, Vanessa tornano di nuovo in scena, tuttavia proprio in virtù dell’ottimo lavoro fatto col precedente episodio Eva Green non è più la presenza dominante, ma parte di una coralità molto più solida e compatta. L’episodio mette definitvamente in scena lo scontro tra il Male e il Bene, in cui però sono i mostri a fare la parte dei buoni (“You’re a beautiful monster” sussurra Vanessa a Victor), contrapposti alla bellezza dannata dei demoni che minacciano di conquistare il mondo (e c’è una teoria secondo cui sarebbe proprio Dorian il vero fratello di Lucifero, menzionato nella storia tradotta da Mr. Lyle).
L’episodio scorre sicuramente con meno potenza rispetto al precedente, ma la fluidità con cui si sviluppa è un’ulteriore conferma di una serie che ha raggiunto forse la propria maturità, di una macchina ormai oliata pronta a giocare le sue carte con sicurezza. Di nuovo, la teatralità di alcuni momenti e il linguaggio aulico tipico del gotico inglese danno vita ad un’estetica horror che mette spesso i brividi, come nella ricostruzione del castello delle streghe in cui presumibilmente si consumerà la battaglia finale. Qui, al contrario della casa di Malcolm, dove avevano ripreso vita i ricordi perduti d’amore, si palesano di fronte agli occhi dei personaggi i loro peccati, le ossessioni, i sensi di colpa. Mina, Gladys e Peter non sono più fantasmi in abito da sera, ma cadaveri che riemergono dalle loro tombe per tormentare Malcolm e portarlo alla pazzia.
Con questi due episodi, Penny Dreadful conferma dunque quanto l’inizio di questa seconda stagione lasciava già presagire: John Logan è riuscito a prendere icone della letteratura e renderle personaggi nuovi e non banali, inserendoli in un pastiche che, pur con le talvolta confusionarie digressioni, funziona in tutti i suoi aspetti. Finalmente, tutto il cast è messo a fuoco e può portare un importante contributo alla storia, senza bisogno di avere una comunque sempre magnetica Eva Green a sostenere tutto l’impianto. È vero che lo show non è nuovo ed è già alla seconda stagione, ma è giusto definire Penny Dreadful come una delle più gradite sorprese di quest’anno.
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Bravissimo…ottima recensione…;)…