
Solo quest’anno (tra gli altri) The X-Files, Heroes, Twin Peaks, Full House: show agli antipodi, ma caratterizzati da una fan-base solida e nostalgica, che torneranno alla luce sul piccolo schermo e sicuramente daranno luogo a risultati molto diversi, legati alla qualità del materiale originale (ad esempio, i fan temono che Twin Peaks possa essere “rovinato”, mentre sarà difficile rendere più brutto dell’originale il futuro remake di Full House) ma anche delle idee che stanno alla base del reboot.
Wet Hot American Summer – First Day Of Camp possiede senz’altro entrambe le qualità, anche se il progetto è piuttosto folle: la serie, in 8 episodi, è il prequel del (quasi) omonimo film del 2001 – che allora fu un flop ma che nel tempo è assurto alla status di piccolo cult – scritto dagli stessi autori, David Wain e Michael Showalter, ma soprattutto interpretato dagli stessi attori.
Some of you were campers last year, but now you’re all 16 or 17 years old. So do not think that being a counselor means that you are a camper with drinking privileges

“I got them from your mom’s dresser” “Don’t make fun of the guy who dresses my mom”

Ma per chi ha visto il film, lo show è soprattutto il racconto del primo giorno di campeggio a Camp Firewood, che riporta gli eventi alle “origini” del lungometraggio (che si svolgeva invece durante l’ultimo giorno di vacanza) riprendendone gli stilemi, le battute e soprattutto bersagliando lo spettatore di inside jokes e riferimenti agli eventi che devono ancora avere luogo.
There are a lot of parts of this that do not make sense.

Ci sono le autorità di Camp Firewood: Mitch (H. Jon Benjamin) amministratore, Greg (Jason Schwartzman) capo counselor e Beth (Janeane Garofalo) assistente di Mitch; i counselor sono Andy (Paul Rudd), Katie (Marguerite Moreau), Neil (Joe Lo Truglio), JJ (Zak Orth), Coop (Michael Showalter), McKinley (Michael Ian Black), Donna (Lake Bell) e Victor (Ken Marino). Poi ci sono gli insegnanti di teatro, Ben (Bradley Cooper) e Susie (Amy Poehler), affiancati dal regista Claude Dumet (John Slattery).
Le storie si intrecciano tra loro e sono davvero numerose per un pilot di soli 26 minuti: Andy corteggia Katie (fidanzata però con un counselor psicopatico di Camp Tigerclaw, il campeggio snob al di là del lago, interpretato da Josh Charles), Coop cerca di convincere tutti che Donna è la sua ragazza, uno dei ragazzini campeggiatori si mette contro un bulletto del suo dormitorio, Mitch sembra avere difficoltà finanziarie ma, soprattutto, qualcuno sta scaricando rifiuti tossici nei dintorni del campeggio.
Camp Firewood is more than a summer camp. Camp Firewood is an idea.

Wet Hot American Summer: First Day Of Camp rappresenta un esperimento televisivo interessante, che gioca con i riferimenti interni al passato recente (il film) e con le citazioni di un genere e di un’epoca ormai invece lontanissimi nel passato. Più che una serie, la storia di Camp Firewood è appunto “un’idea”, un divertissement estremamente godibile e intelligente che, a giudicare dal pilot, vale la pena seguire per arricchire la propria estate.
Voto: 8

Per ora ho visto solo il primo episodio e sono un po’ meno entusiasta.
Naturalmente mi sono divertito e non mollo la serie, ma quella freschezza e quella vivacità che aveva il film qui mi sembrano scomparse, mi sembra tutto più appesantito tanto da risultare quasi una parodia del film senza però farmi ridere. La scelta di interpretare gli stessi personaggi nella stessa estate ma con attori invecchiati secondo me non funziona tanto, specie se si pensa che questi oggi sono dei divi. Certo, la lettura meta che ne dai è assolutamente valida e dal punto di vista razionale mi convince appieno. Per queste ragioni continuo con interesse, ma devo riconoscere che mi aspettavo molto di più e mi sono sentito un po’ tradito.
Forse il problema reale è che il film è troppo bello, un lavoro passato un po’ sottotono all’epoca ma invecchiato da dio e ancora oggi divertentissimo.
Più in generale, complimenti a Netflix per l’operazione senza dubbio innovativa e stimolante.
Ps: per Paul Rudd e Bradley Cooper gli anni non passano mai.
Attilio secondo me hai sottolineato il vero rischio dell’operazione, ovvero di essere una parodia della parodia, talmente involuta su sé stessa da non fare più ridere e ridursi a mero esperimento. Alla fine degli otto episodi ne riparliamo, il fake smile di Paul Rudd resta un pezzo di recitazione da hall of fame, comunque 😉
Ora che l’ho finita posso dirti che avevi ragione. Il primo episodio risente molto del paragone con il film e fatica a dichiarare in maniera palese il senso dell’operazione – come ovvio che sia. Però col procedere della serie le cose si fanno sempre più belle e specie nella seconda parte si assiste a momenti di grandissima demenzialità. Ora che è finita mi dispiace tantissimo, ne vorrei ancora.