“Parabiosi” è una parola che può assumere diversi significati, tutti accomunati da una base comune: il concetto che due individui siano in qualche modo connessi, indissolubilmente legati l’uno all’altro per quanto riguarda alcune delle funzioni vitali più importanti. Il riferimento è chiaramente ai due personaggi chiave del racconto di Homeland, veri e propri perni per la narrazione di questa stagione.
Saul e Carrie sono da sempre le figure fondamentali e costanti nell’evoluzione della serie, ma “Parabiosis” sottolinea come i due protagonisti – e le loro relazioni con gli altri – siano, in questo caso, ancora più necessari allo sviluppo della narrazione, nel bene e nel male: ciò porta ad una costruzione dell’arco stagionale atipica rispetto agli standard dello show, nel senso che gli interessantissimi temi sullo sfondo delle vicende presentate rimangono, appunto, sullo sfondo, lasciando ai rapporti tra i personaggi il compito di veicolare il racconto.
A pensarci bene, infatti, la quasi totalità delle linee narrative di questa annata si basa sull’approfondimento degli individui che le popolano, che si tratti di Allison, Carrie, Saul o le persone che li circondano. Questo episodio si apre appunto con i due personaggi chiave dell’intera serie, riavvicinandoli come, nonostante tutto, ci si aspettava fin dalla premiere: come detto prima, i motori della situazione sono proprio Carrie e Saul, insieme ai loro dubbi, al loro riavvicinamento, ai loro piani per smascherare l’ennesimo complotto. Il fatto che ci siano i russi dietro è praticamente irrilevante, perché tutte le scene chiave di “Parabiosis” si basano sul rapporto tra i due protagonisti, che però ha ormai esaurito parte del suo potenziale. Se il gioco di fiducia o tradimento di Saul poteva funzionare nelle prime stagioni, ora la situazione è ben diversa: le potenzialità tematiche e narrative di una storyline basata sulla sua posizione nei confronti dell’ex collega sono decisamente deboli, considerata la quantità di tempo spesa per analizzarla in precedenza. Quello che ne risulta è uno svolgimento non solo prevedibile (Saul che prima non si fida, ma poi finisce per cedere), ma anche stanco, privo di approfondimenti nei confronti di entrambi i protagonisti.
Tuttavia, si può dire che l’episodio copre un’altra, grande fetta del racconto di questa stagione, ovvero il rapporto tra Saul, Dar Adal ed Allison. Si tratta di una storyline su carta interessante, ma che è forse azzoppata da quella già citata scelta di privilegiare i personaggi a discapito dei risvolti storico-politici delle vicende presentate. In questo caso, in particolare, la storia avrebbe potuto muoversi in maniera differente, enfatizzando i rapporti con Israele, il tema della sicurezza informatica, le ragioni per cui la Russia è entrata così prepotentemente in gioco; quello su cui invece gli autori si basano è il passato tra Saul e Dar Adal, la scarsa fiducia che ne consegue e il tentativo di Allison di far leva su questo fatto. La principale conseguenza di una scelta del genere sta nella costruzione di una trama che fonda i suoi sviluppi sulle evoluzioni dei personaggi, che non hanno però una consistenza sufficiente a garantire delle svolte adeguate. Il dialogo tra Dar e Saul esplicita perfettamente questo fatto, e non può che portare a galla una certa ingenuità in entrambe le parti: il fatto che Allison sia riuscita a manipolare i vertici della CIA in maniera così semplice non solo è sintomo di scarsa originalità narrativa, ma mina addirittura parte del lavoro svolto nelle stagioni precedenti, portando le due parti coinvolte ad una almeno parziale involuzione.
A questo punto, non ci si può che chiedere se la scelta di non approfondire a dovere quella che è stata da sempre la componente più attuale dello show sia stata effettivamente quella giusta, vista la stanchezza, in particolare, dello svolgimento di questo “Parabiosis”. Il problema, forse, sta nel fatto che la sopracitata attenzione ai personaggi non è tanto calcata quanto sembra, o perlomeno non lo è con una costanza adeguata: Homeland, dopotutto, è sempre stata una serie bisognosa di certe svolte per mantenere alta l’attenzione dello spettatore, con un utilizzo della tensione narrativa spesso invidiabile. Tale necessità si è tradotta in questo caso in una gestione approssimativa dei protagonisti (Carrie a parte), che vengono talvolta snaturati pur di muovere in avanti il racconto, e tale scelta non può che portare ad una caratterizzazione imperfetta, subordinata alle esigenze narrative degli autori. Non si tratta di un difetto nuovo, certo, ma se in precedenza l’attualità e la profondità dei temi presentati occupavano gran parte della storia, ora che tali aspetti vengono lasciati come cornice (o anche solo motore) degli eventi i problemi relativi ai personaggi vengono amplificati, rendendo necessaria un’attenzione maggiore.
È quindi chiaro come i modi per risolvere le falle di questa prima parte di stagione non siano molti: addentrarsi nel tema della sicurezza informatica e nel contesto politico che ne deriva potrebbe riportare Homeland su binari più consueti, oltre a deviare le svolte di cui la narrazione ha bisogno preservando l’integrità dei personaggi principali. Per ora, in ogni caso, ci si trova in una situazione di stallo, soprattutto per quanto riguarda le storyline di Quinn e Carrie: è difficile capire dove le scelte degli autori porteranno la storia, e questo è senza dubbio un bene. C’è ancora la possibilità di far tornare lo show qualcosa di realmente importante, di coraggioso, in grado di parlare di certi temi come pochi altri sono capaci di fare: le potenzialità ci sono tutte, e sarebbe uno spreco vedere le ottime premesse della stagione trasformate in qualcosa che non va di molto oltre il semplice intrattenimento, soprattutto visti i fasti a cui gli autori ci hanno abituati.
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