Vinyl – 1×10 Alibi 14


Vinyl – 1x10 AlibiCome spesso accade la serie più attesa dell’anno è targata HBO e come True Detective due anni fa l’asso viene calato già nel primo trimestre, scompaginando il panorama televisivo. A stagione ultimata possiamo finalmente rispondere a questa domanda: cosa è stato Vinyl?

Qualsiasi cosa si pensi della serie non è possibile evitare di fare i conti con le personalità che l’hanno ideata, sviluppata e infine pubblicizzata, nomi pesanti come Martin Scorsese, Mick Jagger e Terrence Winter (ai quali vanno aggiunti talentuosi autori di casa HBO come Allen Coulter – regista anche di questo season finale – e artisti d’eccezione invitati a dirigere singoli episodi come Mark Romanek).
Uscendo per un attimo dai giudizi di valore, va considerato, sia in maniera preliminare che nel vero e proprio atto interpretativo, che Vinyl è il crogiolo delle poetiche di questi cavalli di razza, il tentativo ambizioso oltre ogni immaginazione (per certi versi anche troppo) di trovare una quadra che tenga insieme queste anime di cui è impossibile non rintracciare la presenza.

We move forward, and we never have to talk about this again.

Vinyl – 1x10 AlibiIl connubio tra gangster movie e racconto musicale ha il sapore del perfetto compimento della carriera di Martin Scorsese, colui che – al pari di Woody Allen – ha saputo raccontare New York fino ai suoi più reconditi anfratti, con un’onestà e un amore indimenticabili. Quando in quest’episodio si assiste alla conclusione della tesissima resa dei conti con Corrado Galasso e in particolare a quella ripresa in plongée con cui la macchina da presa plana prima sul cadavere di Joe Corso e poi, dopo una rapida dissolvenza, sul corpo di Kip messo al tappeto dall’eroina, non può non venire in mente il celeberrimo movimento del finale di Taxi Driver, dove l’occhio di Scorsese mostra implacabile gli esiti della lotta disperata di Travis Bickle.
L’imprinting di base, sia dal punto di vista narrativo che da quello estetico, è profondamente debitore di Quei bravi ragazzi, tragedia criminale italoamericana che ha messo le basi per tanti racconti gangster successivi, sul grande schermo come sul piccolo. Nonostante ad essere chiamato in causa sia l’intero filone cinematografico di riferimento – anche grazie alla diretta citazione del Padrino – è evidente come il rapporto tra senso di colpa e riscatto al centro della parabola narrativa del protagonista sia intimamente scorsesiano.

You and Maury can suck the permission out of my dick.

Vinyl – 1x10 AlibiNon c’è dubbio che (almeno sulla carta) non ci sia nessuno come Terrence Winter in grado di creare un intreccio in cui una ricostruzione storica perfetta (chi ha visto Boardwalk Empire ne sa qualcosa) incontra da una parte la tragedia dell’antieroe decadente italoamericano (e in questo senso torna utile l’immenso lavoro fatto dall’autore sul protagonista dei Sopranos, in particolare nelle ultime due stagioni) e dall’altra la violenza indiavolata, ipercinetica e perennemente dopata presa di peso da The Wolf of Wall Street. Non è certo su questo che ha fallito la serie – fermo restando che fallire è un verbo che poco si addice a questo prodotto anche a giudizio dei più spietati detrattori – soprattutto per quanto riguarda la parabola del protagonista, delineata passo dopo passo con grandissima cura da uno showrunner che è sempre parso essere guidato prima di tutto da un grande sentimento d’amore per il suo personaggio principale.
Purtroppo, come ormai sanno anche i muri, questo è stato l’ultimo episodio del ciclo Winter, che dall’anno prossimo verrà sostituito da Scott Z. Burns con il quale la HBO tenterà di battere nuove strade nella speranza di riacciuffare un pubblico ormai abituato a prodotti un po’ più leggeri come Game of Thrones o meno raffinati come The Leftovers. Il fallimento nei rating di Vinyl – esattamente come quello di Luck – non può che spiegarsi anche così e ci sono diversi motivi per pensare che se la serie fosse andata in onda dieci anni fa – con una programmazione di rete fatta di The Sopranos, Deadwood, The Wire, Six Feet Underavrebbe evitato di essere cannibalizzata dalla attuale produzione originale, sicuramente più mainstream rispetto al passato, almeno per quanto riguarda i drama.

Fuck this place up!

Vinyl – 1x10 AlibiGiudicare questo episodio costituisce un’operazione abbastanza insidiosa, in quanto per molte ragioni si tratta di uno dei più riusciti segmenti narrativi della serie, mentre per altre sconta dei difetti sui quali è impossibile sorvolare. Per praticità si può sostenere, senza il rischio di commettere forzature, che tutte le storyline legate ai personaggi maschili sono state gestite e concluse in maniera eccellente, mentre quelle incentrate sui caratteri femminili hanno subito un trattamento nettamente peggiore.
Lester Grimes viene fuori come uno dei personaggi più interessanti della serie, con un arco drammatico che in sequenza lo fa essere bluesman di talento, vittima della mafia newyorkese, producer senza scrupoli e compositore di successo. Zak incarna forse il personaggio più umano di tutti, contraddistinto da sofferenze reali e compromessi quotidiani, un personaggio “normale” che (come spesso accade a quelli come lui) finisce per commettere il più grande degli errori cercando di fare passo più lungo della gamba: in preda alla rabbia nei confronti di Richie cerca di incastrarlo, ma non essendo un manipolatore di razza rimane fregato, riuscendo a salvarsi solo per il rotto della cuffia. Sicuramente tra i due non finisce qui, come dimostra il duello a colpi di occhiatacce negli ultimi minuti dell’episodio.
L’epilogo offre due ulteriori garanzie, sintetizzabili con i nomi di altrettanti personaggi: Julie e Richie. Il primo ribadisce la sua funzione essenziale all’interno dell’economia dello show, essendo in grado come nessun altro di farlo sterzare bruscamente arricchendone il registro dominante con una ventata di comicità spesso irresistibile. Il protagonista invece riesce finalmente a portare a compimento la sua parabola, uscendo dal cul del sac in cui si era ficcato con Galasso, scagionandosi dall’omicidio di Buck Rogers, resuscitando e motivando Kip dal collasso psicologico e soprattutto concludendo in bellezza con un monologo perfetto sul nuovo corso della ex American Century, ora Alibi come suggerito dal titolo dell’episodio.

I’m sorry, I made a huge mistake. We all did.

Vinyl – 1x10 AlibiLa perfetta conclusione del discorso su Richie Finestra nasconde un sacrificio enorme e solo in parte giustificato. A fargli spazio per il suo ultimo spettacolo è proprio la moglie Devon, totalmente assente nell’arco di tutto l’episodio senza alcuna reale spiegazione. Non ci sono dubbi sull’infelicità di questa soluzione, sia per l’importanza del personaggio nel corso della stagione – a cui Olivia Wilde ha offerto un’interpretazione di grande intensità – sia per come si era concluso lo scorso episodio, con la donna che alla confessione a cuore aperto del marito riesce a rispondere solo con un’espressione spiazzata e disturbata, quasi a voler dire: “are you fuckin’ kiddin’ me?”. Sarebbe stato molto interessante conoscere le ripercussioni di quella confessione in questo season finale, così come sarebbe stato opportuno dare una chiusura a un personaggio costruito in maniera eccellente. Così non è stato.
Il resto delle donne di Vinyl non ha goduto di una sorte tanto migliore di quella di Devon, in particolare per quanto riguarda i personaggi di Andrea e Jamie. La prima rappresenta forse il potenziale maggiormente inespresso della serie, un personaggio bellissimo sia sul piano drammatico che su quello ironico, ma purtroppo sfruttato molto meno di quanto avrebbe meritato. Quello interpretato da Juno Temple (la cui interpretazione è stata meno convincente di altre, soprattutto rispetto alle aspettative riposte sul suo personaggio) subisce la coralità della stagione trovando davvero spazio solo in alcuni momenti – a volte con esiti positivi, altre meno – risultando abbastanza schizofrenico, soprattutto in questo finale, in cui tutta la sottotrama legata all’affair tra lei Kip e Alex è stata gestita molto male e troppo in fretta.

“You set me free every time your hand’s on me,
I wanna be your way and shine
I take the night, the feeling that you’re giving me
You lit this box, and set it high.”

Vinyl – 1x10 AlibiIn questo season finale Vinyl riesce forse per la prima volta a fare quello che in molti si aspettavano fin dall’inizio. Se nell’arco di tutta la stagione il discorso sul contesto musicale di New York negli anni Settanta è stato improntato soprattutto sulla rappresentazione, popolando la serie di rock star e riferimenti culturali più o meno noti, per questo epilogo Winter decide di completare il tutto con un’operazione ancora più complessa, soprattutto perché si aggiunge al lavoro fatto in precedenza pluralizzando ancora di più il racconto. Sul palcoscenico ci sono i Nasyy Bits che suonano as loud as possible “Woman Like You” di Lester Grimes e nel pubblico sono presenti i Ramones e i New York Dolls ad ammirare la Storia che prende forma. Gli autori sono riusciti a creare il mito senza per questo dover rappresentare il passato, perché nulla di ciò che vediamo è accaduto davvero se non nell’immaginazione di Terrence Winter, ma per noi è come se lo fosse; da spettatori siamo stati infatti testimoni per undici ore di una storia della musica come tante altre, dove il resoconto storiografico si è fuso con la novelization, facendo dei Nasty Bits una rock band vera soltanto nella nostra memoria spettatoriale, ma talmente verosimile da spingerci a cercare nei dizionari di storia della musica per verificare la sua presenza.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza la presenza di Mick Jagger e del suo potere contrattuale, grazie al quale la serie ha potuto vantare una colonna sonora – e una libertà nella rappresentazione delle rockstar seventies – che altri prodotti neanche immaginano. Il racconto ha anche il grande merito di abbracciare il panorama musicale nella maniera più ampia possibile, dedicando un’attenzione particolare all’avvento della disco music, soprattutto grazie a “Kill The Lights” (realizzata per l’occasione da DJ Cassidy, Alex Newell – ex Glee – e la leggenda della disco Nile Rodgers) che dopo aver avuto un ruolo epifanico nello scorso episodio vede ribadita la sua importanza in questo finale con un montaggio musicale sulle medesime note che mostra i club pieni di gente che balla a ritmo di disco.

They’re ready to change the fucking channel.

Vinyl – 1x10 AlibiSarebbe sbagliato però parlare di Vinyl concentrandosi esclusivamente sulla serie televisiva. Pur riconoscendola come una serie imperfetta (e in queste imperfezioni risiedono anche molte delle sue virtù), va detto che stiamo parlando di molto di più di un prodotto seriale, cioè di un vero e proprio universo multimediale, che a partire dalla serie televisiva – il suo testo matrice – vede una fitta serie di prolungamenti di grandissimo interesse. Il lavoro fatto dall’account Spotify della HBO sulla colonna sonora non ha prezzo e rappresenta un fondamentale lascito culturale della serie con la sua articolata rete di playlist generali e specifiche (dedicate di volta in volta a personaggi, generi musicali e temi particolari). Allo stesso modo merita di essere menzionato Vinylcuts, vero e proprio magazine creato appositamente per accompagnare lo show settimanalmente con interviste, approfondimenti e immagini di repertorio, andando ad arricchire un universo seriale dall’impagabile valore culturale.
Alla luce di tutto ciò il giudizio sulla serie non può che migliorare, risultando per certi versi molto difficile da attribuire vista l’originalità dell’operazione. Il futuro è purtroppo immerso nel mistero e l’eventuale cambio di rotta della serie mette paura, ma di questo ci sarà tempo e spazio per parlarne. Oggi conserviamo il piacere di un’esperienza entusiasmante, una cavalcata che ha conosciuto alcuni piccoli errori (i più grandi forse proprio in questo finale), ma anche degli incredibili picchi, come l’episodio pilota di due ore girato da Martin Scorsese.

Voto episodio: 7½
Voto stagione: 8½

 

Informazioni su Attilio Palmieri

Di nascita (e fede) partenopea, si diploma nel 2007 con una tesina su Ecce Bombo e l'incomunicabilità, senza però alcun riferimento ad Alvaro Rissa. Alla fine dello stesso anno, sull'onda di una fervida passione per il cinema e una cronica cinefilia, si trasferisce a Torino per studiare al DAMS. La New Hollywood prima e la serialità americana poi caratterizzano la laurea triennale e magistrale. Attualmente dottorando all'Università di Bologna, cerca di far diventare un lavoro la sua dipendenza incurabile dalle serie televisive, soprattutto americane e britanniche. Pensa che, oggetti mediali a parte, il tè, il whisky e il Napoli siano le "cose per cui vale la pena vivere".


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14 commenti su “Vinyl – 1×10 Alibi

  • Boba Fett

    Serie perfettamente in linea con le ultime produzioni della (ex) blasonata HBO: storie deboli e zero appeal.
    10 settimane in attesa di uno slancio che invece non è arrivato nonostante l’enorme potenziale offerto in primis dal tema principale, la Musica, ma anche dal periodo, quei primi anni 70, con un mondo intero in piena crisi energetica e una New York ad un passo dalla bancarotta, sporca, corrotta, livida, in preda a spacciatori e prostituzione, un humus appena appena sfiorato dalle rare sequenze in esterni (marciapiedi lordi di carte e merda di cane, “Gola Profonda” nei cinema).
    Ma la musica e il business che le ruotava intorno sono state servite in un modo piuttosto ambiguo e mi chiedo, vista anche la presenza di Mick Jagger fra I produttori, dove vogliano andare a parare.
    È lo spaccato finto/reale di un periodo musicale di transizione? È una denuncia sull’arroganza dei produttori dell’epoca? È un inno alla folle genialità lisergica?
    Boh, se avete una risposta vi supplico di darmela.
    Comunque il risultato è stato molto al di sotto delle aspettative, con un fin troppo nutrito cast, discutibile, piuttosto antipatico e con un Cannavale che per 7 episodi ci ha deliziato con le sue rumorose sniffate riprese rigorosamente dall’alto (non mi aveva convinto neanche in Boardwalking Empire); ma più di ogni altra cosa, una continua e fastidiosa sensazione di dejavu, di situazioni mai originali, raccontate molto meglio in altre opere (penso ad esempio alla New York di quel periodo nell’American Gangster di Scott)!

     
    • Frank Underwood

      Sono anni che leggo le fantastiche recensioni di Seriangolo e perennemente ci sei tu che smonti qualunque cosa. Non ho mai letto nulla di costruttivo e positivo in quello che guardi, sempre e solo negatività. Invece di sprecare tempo su Seriangolo dovresti seriamente pensare ad uno psicologo o ad un motivatore. Tu stai male.

       
  • Eugenia Fattori

    A parte ringraziare Frank Underwood (sia detto che ringraziare FU è una cosa strana anche se so che è solo un nickname) per il “fantastiche recensioni” e invitarlo a commentarci di più 😉 posso dire solo che sono totalmente d’accordo con la recensione e che Vinyl, al netto dei difetti, è una serie che vale la pena di continuare a vedere, a mio parere, nonostante la defezione di Winter

     
    • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

      Vinyl è un prodotto molto strano, deforme fin dal pilot con quell’episodio di due ore così cinematografico. Il rapporto con la musica è stato intensissimo, così come la produzione di contenuti extradiegetici come le colonne sonore su Spotify che sono diventate un compagno di viaggio insostituibile.
      Ora si fa un salto nel vuoto, confidando in un’anima che mantenga le cose positive e cerchi di rilanciare nel cambiamento di rotta. La cosa che brucia di più è dover aspettare un anno per saperlo.

       
  • Teresa

    “e ci sono diversi motivi per pensare che se la serie fosse andata in onda dieci anni fa – con una programmazione di rete fatta di The Sopranos, Deadwood, The Wire, Six Feet Under – avrebbe evitato di essere cannibalizzata dalla attuale produzione originale, sicuramente più mainstream rispetto al passato, almeno per quanto riguarda i drama.”
    Ti quoto con il sangue. Ed ecco perché, tra l’altro, Mad men è finito appena in tempo. Se fosse iniziato adesso, non credo proprio che avrebbe avuto il successo che ha raccolto.
    La golden age della TV sembra proprio finita, e tocca farsene una ragione. Fino a qualche anno fa seguivo molte serie, adesso al massimo una o due, ma con svogliatezza. Finito Vinyl, mi sono resa conto che per me non c’è più alcun drama che valga la pena seguire, al momento.

     
    • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

      Grazie per la citazione, fa piacere trovarti d’accordo.
      Non credo però che il panorama televisivo offra meno che in passato, anzi la mia opinione è che la proposta sia aumentata e pur avendo un livello qualitativo variabile (e aumentando la quantità è normale) i picchi non mancano.
      Di sicuro è una proposta profondamene diversa e a mancare sono soprattutto i drama di lunga durata: tutta quella produzione che va da The Sopranos a Mad Men oggi non è più dominante, non è più il cavallo su cui puntare, sia per gli spettatori sia soprattutto per i produttori.
      Fanno eccezione poche serie, tra cui Homeland e The Americans, pur non avendo entrambi, a mio parere, lo standard qualitativo medio che avevano Breaking Bad, Boardwalk Empire o Six Feet Under.
      Le serie di qualità però non mancano, solo quest’anno (4 mesi) abbiamo avuto (tra quelle terminate e quelle ancora in corso) già American Crime Story, Girls, Better Call Saul, Happy Valley, Broad City, American Crime, Love, House of Cards, Daredevil, Horace and Pete, Banshee, Shetland, The Girlfriend Experience, Outlander, The Americans, Flaked, Thirteen, Togetherness, Endeavour, Hap and Leonard, The Night Manager, Vinyl, Unbreakable Kimmy Schmidt, Galavant. E ne sto dimenticando molte.
      Tutte serie di medio-alto livello e tantissime altre ne arriveranno come scoprirai leggendo Seriangolo nelle prossime settimane.

       
      • Teresa

        Grazie a te per la risposta, Attilio, anche se mi trovo in disaccordo.
        Io sto parlando di un certo tipo di narrazione quasi “letteraria”, di alto livello, che ho trovato in serie della golden age, e che ho ritrovato in Mad men, in Justified e anche in SoA, per citare esempi più recenti. Hap e Leonard la sto iniziando adesso, e sono stata spinta a guardarla dal fatto che alle spalle ha appunto un’opera letteraria di tutto rispetto.
        In quest’ottica, non posso considerare come serie di qualità molte di quelle che hai citato. A cominciare da Outlander, che ha alle spalle una materia letteraria che io ritengo pessima (è solo la mia opinione, ovviamente).
        Poi sì, ci sono serie di “genere” che se prese per quello che sono possono risultare piacevoli, tipo Banshee, Galavant etc.
        Ma non sono certo drama di spessore.
        L’ultima serie drama che mi è piaciuta abbastanza è stata American crime della ABC, soprattutto per il valore di denuncia sociale.
        Ma insomma, guarderò Hap e Leonard e vi farò sapere.

         
        • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

          Ciao Teresa, Hap and Leonard poteva essere molto di più, ma purtroppo come ho scritto nella recensione di fine stagione l’ho trovata riuscita solo in parte. Spero in un rinnovo e nel caso continuerò a seguirla, anche per amore di Lansdale.
          Il long drama di cui parli tu, come ho scritto nel messaggio precedente, è sempre più raro, per diverse ragioni, non tutte negative. Il passaggio dalla “Seconda Golden Age” alla “Peek TV” da questo punto di vista rappresenta la chiave interpretativa principale: non diminuisce certo la qualità, che nei picchi rimane molto alta, a cambiare è solo la forma narrativa. Oggi abbiamo formati brevi e/o antologici di altissimo livello, basti pensare solo a Show Me a Hero, Fargo, True Detective, The Knick.
          Senza contare la fertilità incredibile sul versante comedy, che oggi a mio parere è il campo dove si gioca la partita dell’innovazione e dell’ibridazione dei generi (come in molte delle serie che ho citato nel messaggio precedente).
          Chiudo con un consiglio: non sottovalutare Outlander. Non ho letto i libri da cui la serie è tratta – anche perché, forse come per te, non rappresentano i miei abituali riferimenti letterari – però la serie è davvero notevole. Lo era nella passata stagione e lo è ancora di più nell’inizio di questa seconda.
          Se ne sono accorti anche i principali siti di critica televisiva americana hanno attribuito ai primi tre episodi quasi tutti la massima valutazione possibile. E non è poco.
          Qui su Seriangolo ne abbiamo parlato sia nel consiglio estivo sia attraverso la recensione del 2×01. Ovviamente lo faremo anche a fine stagione, sperando – come credo, visto il trend – che la serie si mantenga su questo livello.

           
  • Birne

    Questo ponte funestato dal maltempo e il mio amato bene spalmato sul divano a seguire Roma-Napoli mi inducono a martirizzare la comunità di Seriangolo con commenti estemporanei diffusi qua e là.
    Su Vinyl mi sono molto ricreduta perché dopo i primi episodi ero più che delusa, diciamo pure abbastanza annoiata e sul punto di lasciare, poi c’è stato un crescendo di tutto l’insieme che, trascinato dalla musica, ha messo a punto una narrazione con i fiocchi, summa dignitosissima del credo scorsesiano anche oltre il bel pilot, e ha saputo fidelizzare l’utenza con la creazione di personaggi e caratteri di spiccata personalità in un amalgama molto attraente. Anche qui ho come l’impressione che sia mancato un ultimo episodio che avrebbe consentito, per esempio, la rifinitura della vicenda di Devon …
    Sono d’accordo con il commento di Attilio Palmieri (bellissima recensione!) sul fatto che siamo lontani dalla monumentalità quasi sociologica delle grandi serie, ma siamo in una bella zona della classifica (per chiudere menzionando di nuovo un’immagine sportiva).
    Un’impressione finale: mi sembra che Zak, dopo quello scambio di occhiate, si allontani forse per sempre perché in effetti tutto quello che ha fatto e tutto quello che rappresenta è probabile che non potrà più fare parte della storia a venire dell’Alibi e di tutto quello che ci verrà raccontato.

     
    • Attilio Palmieri L'autore dell'articolo

      Grazie Birne.
      Fa piacere che tu ti sia ricreduta. Io Vinyl l’ho amata dalla prima ora, soprattutto grazie alla forza “cinematica” del pilot, che da scorsesiano non ho potuto che amare in ogni sua inquadratura. Sebbene sempre diretta da grandi registi, non posso certo illudermi che sia tutto uguale e quando dietro la macchina da presa c’è Scorsese si vede e si sente.
      Purtroppo, per me l’unico episodio di livello non eccelso è proprio quest’ultimo, che sconta quei difetti che ho cercato di spiegare nella recensione e rappresenta per me il punto più basso della stagione (sarebbe meglio dire meno alto).
      Su Zak non lo so, non riesco a farmi un’idea precisa, è possibile che alcuni personaggi lascino lo show, ma non saprei dire se a farlo sarà Zak, Devon, tutti e due o nessuno dei due. A me pare che il suo personaggio, anche per come ho interpretato il finale, abbia ancora tanto da dire.