Da qualche anno a questa parte il co-creatore di American Horror Story Ryan Murphy sta realizzando delle stagioni del suo show che immancabilmente dividono il pubblico in due fazioni: da una parte i fan colpiti dalla cifra stilistica dell’autore, dall’altra i disillusi che non si fanno conquistare facilmente.
Per la prima volta Roanoke deve fare i conti con un terzo gruppo di spettatori, i più temibili di tutti: gli annoiati. Non è affatto difficile entrare a far parte di questa categoria di spettatori, che ancora dopo tre puntate rimane interdetta di fronte ad uno show che è esattamente quello che sembra: un insieme ben amalgamato di povere idee creative e horror da due soldi. Se con la premiere era difficile capire in cosa consistesse esattamente questa stagione, tre settimane di messa in onda hanno chiarito al pubblico che non c’è niente in più di quello che è stato presentato durante “Chapter 1“, cioè la voglia di insistere su un genere – quello della reality TV –, dato il successo di pubblico e critica di un altro show murphyano, American Crime Story.
Se da un lato abbiamo una ricostruzione storica adattata per la TV (ma pur sempre verosimile), in questo caso la realtà che Murphy vuole propinarci è assolutamente assente ed è solo funzionale alla narrazione della storia e non alla storia stessa; bocciando questa scelta dell’autore, su cui la stagione punta in modo molto forte, rimane poco altro che possa convincerci a dare fiducia al progetto. Il fattore che alimenta i dubbi più forti nei confronti della stagione risiede proprio nel genere che è stato scelto per Roanoke: lo scripted reality. Perché Ryan Murphy ha scelto di proporre al grande pubblico un genere da sempre trattato con sufficienza da chiunque non faccia parte del pubblico tipo del mezzogiorno di Canale5? Probabilmente il mistero più grosso di tutta la stagione sta proprio nella risposta a questa domanda.
Con Roanoke, però, non si sono fermati a questo enorme salto nel buio: è sconvolgente l’idea di mixare uno scripted reality ad un reality sovrannaturale, creando un mostro ibrido che si muove convulsamente e senza senso. Con molta probabilità lo showrunner credeva di riuscire a elevare entrambi i generi mettendo il suo nome sul progetto, e ovviamente così non è stato. L’alternanza delle interviste ai protagonisti alla ricostruzione degli eventi non fa che rallentare il ritmo e l’inserimento degli elementi sovrannaturali rende il tutto ancora meno credibile (è curioso come i protagonisti si perdano nel bosco solo quando serve).
Avendo definitivamente tolto a Roanoke ogni speranza di entrare nel novero degli show di qualità, bisogna almeno capire se la stagione si possa considerare buon intrattenimento o meno – e sfortunatamente dopo tre puntate non è ancora chiaro. Le vicende narrate in “Chapter 2” e “Chapter 3” continuano ad essere forzate e vanno contro ogni logico comportamento umano; è ormai appurato che la famiglia Miller non possieda alcun istinto di sopravvivenza. Forse il divertimento sta tutto qui, nel vedere quanto Shelby, Lee e Matt Miller possano essere testardi nell’andarsi a cercare problemi facilmente evitabili. Dal punto di vista dell’intrattenimento, senza dubbio la stagione almeno migliora di puntata in puntata, introducendo nuovi elementi che ci fanno vagamente comprendere la trama di Roanoke, una rivisitazione superficiale di un’altra casa infestata nota ai fan di AHS – quella di Murder House. La ricerca della figlia di Lee è un’evoluzione valida delle vicende, che però non potrà andare avanti per molto, lasciandoci dubbiosi sulle sorti dei restanti sette episodi che ancora devono andare in onda. Oltre a questo c’è poco su cui puntare l’attenzione, che non riesce ad essere canalizzata neanche dall’introduzione dei ragazzi con problemi comportamentali – tema che era piaciuto così tanto al team creativo che ha deciso di farci fare il bis dopo Hotel.
Probabilmente queste dure critiche agli episodi sarebbero state spazzate via se almeno i protagonisti fossero stati degni di nota: degli stereotipi in carne ed ossa non bastano più agli spettatori di un canale a pagamento come FX che ha saputo offrire show come Sons of Anarchy e The Americans. Come se non bastasse i personaggi che si raccontano davanti alla telecamera e quelli che sono protagonisti della ricostruzione non sembrano neanche le stesse persone, ovviamente non a livello fisico, ma psicologico, a sottolineare la poca attenzione posta sui personaggi. L’atteggiamento delle due versioni di Shelby e Matt sembra disegnare due personaggi diversi, che invece sarebbero dovuti essere il più simile possibile.
Questi motivi hanno fatto perdere a Roanoke più di un punto di rating nel giro di tre settimane e hanno fatto registrare l’addio di più di due milioni di spettatori da “Chapter 1”. Se questa è l’innovazione che ha in mente Murphy, è meglio che corra ai ripari per salvare una stagione di American Horror Story che è tanto confusa da far paura.
Voto 6×02: 5
Voto 6×03: 5
Cito: “Come se non bastasse i personaggi che si raccontano davanti alla telecamera e quelli che sono protagonisti della ricostruzione non sembrano neanche le stesse persone, ovviamente non a livello fisico, ma psicologico, a sottolineare la poca attenzione posta sui personaggi”. A parte questo, estremamente giusto, ci sarebbe un’altra cosa. Ossia che teoricamente gli intervistati starebbero raccontando un episodio accaduto loro in passato, non si quanto lontano o vicino sia, e ok.. quello che mi chiedo dal primo episodio è: perché chi interpreta i Miller nella ricostruzione è visibilmente molto più vecchio di chi è intervistato?
Perché un re-enactment non è un documentario, non è un tipo di ricostruzione che bada alla verosimiglianza e alla fedeltà.
Anzi, è proprio nella rottura, nella discrepanza, nella personalizzazione della rivisitazione che acquista senso. Questo di suo, come genere.
A ciò va aggiunto che Murphy sta leggendo il genere in secondo grado, catapultandolo nell’horror, che a sua volta è catapultato in una serie antologica dai temi e dalle cifre estetiche trasversali e riconoscibili. Insomma un percorso a scatole cinesi in cui il livelli interpretativi sono tantissimi e più va avanti la serie più le domande aumentano.
Proprio nelle incongruenze, nelle differenze caratteriali, nella rottura tra realtà e finzione, o meglio nell’indecifrabilità tra i due statuti, si inserisce Ryan Murphy, facendo di questi anfratti, queste soglie, il campo d’azione e d’interesse del suo racconto. O meglio, uno dei tanti.
Possiamo anche essere d’accordo sul fatto che, non essendo un documentario, la ricostruzione non deve essere per forza verosimile (e forse è per questo che non amo il genere. Secondo me il re-enactment di AHS è un modo pigro per giustificare molte cosine che non vanno e in generale è un genere più facile da scrivere sia rispetto al drama tradizionale, sia rispetto al documentario puro, che ha certe regole che questo genere di reality TV bypassa senza farsi troppi problemi).
Posso essere d’accordo anche quando dici che nella ottura sta il senso di questo genere, ma in Roanoke si parla di incongruenze profonde tra le due coppie principali di personaggi (parlo solo di loro per fare prima), non versioni differenti della stessa storia (come è stato fatto in The Affair). Capirei se i protagonisti narrassero versioni differenti della stessa storia, ma qui noto diversità caratteriali e di comportamento, che secondo me non sono volute.
Oltre a questo, non capisco come possa arricchire la storia il fatto che Murphy mischi questo genere con l’horror (che non ha fatto lui per la prima volta – tutti gli scripted reality a tema crime hanno una dose di horror ben amalgamata nella narrazione) e in una serie antologica. Non essendo arrivato per primo, non credo si possa dargli credito di nulla.
io ho la sensazione che le incongruenze siano volute. Forse quello che vediamo è tutto finto, sia la parte con la Paulson, che quella con la Rabe. Cioé gli eventi narrati non sono mai accaduti, è solo una roba fatta (male) per la TV. Probabilmente la “vera” azione si svolgerà tra quelli che stanno girando questa specie di docu fiction. Me lo auguro, anche se la stanno tirando un po’ per le lunghe.
Escludo questa ipotesi. Al massimo si scopre alla fine che i tre personaggi che si raccontano sono gli unici morti (scelta che comunque sarebbe di una banalità disarmante).
Sarà perché vedo film horror da quando ero piccola, ma il presunto horror di questa stagione non mi spaventa per nulla. Lo so che AHS sarebbe ben altro, ad esempio la scorsa stagione di horror aveva molto poco, ma io l’ho amata molto lo stesso. Questa stagione invece mi sembra la più tradizionalmente horror, come lo era Murder house. E lo trovo finora un horror pessimo.
Ma. C’è un ma.
Non credo che sia tutto qui. Murphy ha anticipato che l’episodio 6 ribalterà le carte in tavola, e che niente è come sembra.
E io aspetto, prima di bocciare il tutto.
Aspetto anche Evan Peters, che finora si è sentito solo in voce, mentre fa le interviste (almeno credo che sia lui).