Dopo aver esplorato le possibili derive della contemporanea ossessione per i social media, con “Shut Up and Dance” Black Mirror indaga l’altro lato della rete, quello che non ha nulla a che fare con filtri pastello, selfie e “mi piace”.
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Come un vero Giano bifronte, lo schermo – del pc, dello smartphone – diviene uno specchio in grado di riflettere al contempo l’immagine perfetta che decidiamo di mostrare all’esterno e le pulsioni più inconfessabili che, nell’illusoria sicurezza dell’anonimato, possono trovare libero sfogo. Ed è proprio questo scarto identitario a costituire lo spazio di manovra del vigilante senza volto che tiene in mano le redini del gioco durante tutto l’episodio: la minaccia di distruggere la sottile linea di separazione tra questi due mondi è infatti più che sufficiente a convincere tutte le persone coinvolte a spingersi sempre più in là, fino alla rapina e all’omicidio, nella vana illusione di riuscire a mantenerla intatta.
My life’s over if this gets out. Fucking over.
La narrazione procede così per buona parte della puntata in maniera piuttosto lineare, dando vita a una sorta di buddy movie distopico che alterna abilmente tensione e grottesco, il tutto filtrato – non a caso – attraverso gli occhi di Kenny, il quale costituisce il tramite privilegiato tra lo spettatore e il mondo rappresentato. Infatti, come spesso accade in Black Mirror, sono solo gli ultimi minuti a ribaltare totalmente le carte in tavola, sconvolgendo le aspettative del pubblico, che si ritrova improvvisamente in una posizione scomoda, in cui fatica a orientare il giudizio: quello che ci era stato presentato come il ricatto di un giovane in fin dei conti innocente per un tornaconto economico si rivela in realtà essere una vera e propria punizione somministrata dalla giustizia anonima della rete per quello che è forse ritenuto il crimine più imperdonabile di tutti; ma le colpe di Kenny, e degli altri personaggi, bastano a giustificare lo spietato modus operandi dell’anonimo giustiziere e la sua pretesa di ergersi a giudice, giuria e boia?
How do we know when it’s over?
Come sempre, Brooker vuole portare lo spettatore a interrogarsi su questioni che sono all’ordine del giorno, come il rispetto della privacy, della legge e delle libertà individuali, ma lo fa nel modo più sgradevole possibile, ovvero spingendolo a empatizzare con Kenny (anche grazie all’ottima interpretazione di Alex Lawther), per poi colpirlo allo stomaco con la rivelazione finale. Tramite questo espediente il pubblico viene privato della rassicurante condanna del ricatto, trovandosi costretto a misurarsi con la supposta moralità delle azioni del vigilante e la visione del mondo che porta con sé, senza però alcuna pretesa di fornire una risposta corretta e univoca alle domande sollevate.
L’atto dello smascheramento, che alla fine giunge inesorabile e accompagnato dal beffardo meme che tutti conosciamo, lascia infatti trasparire una concezione identitaria manichea, che appiattisce la persona sul proprio crimine/peccato, alludendo così per contrasto a una complessità ignorata ma quanto mai reale. Allo stesso tempo a emergere è anche l’ambivalenza dell’analogia tra controllo e sicurezza, che mostra al contempo la sua efficacia e la sua forza incontrollata, dipingendo un mondo in cui chiunque, dotato di determinate abilità tecniche, diviene potenzialmente in grado di riscrivere a suo piacimento la lista dei crimini punibili e delle relative punizioni. La scrittura riesce così a problematizzare la condanna senza appello di comportamenti inaccettabili senza mai sfociare nell’apologia, proprio perché ne sfrutta la carica provocatoria per affermare i limiti e rischi dell’abbattimento della privacy e, soprattutto, del giustizialismo incontrollato.
You can laugh. A spineless laugh
A conti fatti però, malgrado la scelta apprezzabile di mettere da parte l’elemento fantascientifico in favore di un maggiore realismo, “Shut Up and Dance” ricalca in più punti struttura e tematiche già affrontati in passato dalla serie, finendo col risultare una copia sbiadita di “White bear”. In entrambi i casi assistiamo infatti ad un’assimilazione dei ruoli di carnefice e vittima nella figura del protagonista, volta a riflettere sul rapporto tra giustizia, media e tecnologia; ma se in “White bear” l’elemento novità permetteva alla rivelazione del Justice Park di deflagrare con una forza inaudita, in questo caso la sensazione di già visto va inevitabilmente a smorzarne l’impatto, nonostante la bellezza della potente sequenza conclusiva sulle note di “Exit music (for a film)” – non avremmo potuto immaginare una colonna sonora migliore di OK Computer per accompagnare le distopie di Brooker.
In definitiva, “Shut Up and Dance” non fa altro che portare alle estreme conseguenze certe dinamiche che sono già tipiche della rete, e lo fa senza il bisogno di immaginare futuri distopici o ipotetiche evoluzioni tecnologiche, ma semplicemente mettendo in scena una reale possibilità del presente in cui viviamo, dando così vita a un episodio che, pur non raggiungendo le vette a cui la serie ci ha abituato in passato, non può dirsi un esperimento fallito. Il coraggio con cui Brooker e Bridges utilizzano tematiche come il razzismo e la pedofilia per problematizzare le pratiche di controllo e giustizia dimostra che Black Mirror, nonostante qualche ripetizione, è ancora lontana dall’esaurire il suo potenziale.
Voto: 7+
Non sono d’accordo sull’idea che la puntata sia una specie di rivisitazione di “white bear”, perchè i temi affrontati, le modalità e sopratutto il giudizio finale del pubblico sono totalmente differenti a mio avviso.
E più di ogni cosa, il vero elemento è il trollaggio, come dire il divertimento da parte dello pseudovigilante, che non si attribuisce un ruolo di giustiziere, ma si semplice marionettista. I personaggi sono chi più chi meno colpevoli, ma è il l’intrattenimento, e da qui appunto il titolo, che sprona il giustiziere digitale.
A mio parere la punta si merita il bronzo della sestina.
Se è dopo 1a e 6a sono pienamente d’accordo)
La sesta ha l’oro. L’argento a mio parere lo merita la quinta.
Siamo assolutamente d’accordo sull’oro e sull’argento (i miei due episodi preferiti), ma se devo essere sincero questo episodio (a fronte di una sestina dal livello altissimo) è forse quello che mi è piaciuto meno, anche se rimango convinto che tutti gli episodi meritino una seconda visione per avere un giudizio più obiettivo.
Ciao Claudio, proprio il mix di punizione e entertainment di cui parli mi pare uno degli elementi fondamentali che accomuna i due episodi, seppur declinato in maniera differente. Il “vigilante” sicuramente trae piacere dalla sua posizione di potere ma il semplice fatto che abbia messo a punto una scala di punizioni proporzionale al crimine commesso mi fa pensare che sia qualcosa di più di un semplice troll.
È quel “copia sbiadita” che mi sembrava un po’ screditante più che altro.
“inclinazione diversa” suona già meglio 🙂
a me ha fatto venire i brividi quando il tizio in macchina descrive le conseguenze della diffusione di un simile video su internet, inevitabile pensare alla realtà e al fatto che cose del genere sono realmente accadute
da una parte il finale sembra dare una giustificazione al tutto, mettendo a nudo la coscienza sporca e ingiustificabile del protagonista, dall’altra per tutto l’episodio sembra in bilico tra la condanna della giustizia sommaria che oggi si fa su internet e i pericoli in merito alla privacy. In definitiva sembra non esserci una vera risposta, cioè nessuno si salva