In concomitanza con l’uscita del suo ultimo film, “Café Society“, arriva su Amazon una delle novità più attese di questo 2016, ossia la tanto preannunciata e chiacchierata prima serie di Woody Allen, uno show in sei parti con lui stesso protagonista insieme ad una folta schiera di attori. I motivi di questo fervore mediatico non sono stati, però, del tutto positivi.
La serie, annunciata all’inizio del 2015 e quindi da parecchio tempo carica di aspettative, ha seguito un percorso anomalo a partire dalla sua stessa gestazione, non solo per la più che legittima curiosità relativa al progetto, ma anche per motivi forniti dallo stesso Allen: già a partire dai giorni successivi all’annuncio, infatti, cominciarono a circolare interviste in cui il cineasta si dichiarava in aperta difficoltà davanti alla creazione di questo prodotto televisivo.
“I have regretted every second since I said OK. It’s been so hard for me. I had the cocky confidence, well, I’ll do it like I do a movie… it’ll be a movie in six parts. Turns out, it’s not.”
(Deadline, 14 maggio 2015)
Sembravano dichiarazioni dal sapore alleniano, quelle dell’eterno personaggio paranoico che vive nel terrore del blocco dello scrittore, per ricordare il suo Harry Block in “Deconstructing Harry”, o più semplicemente un’esagerazione, forse volta anche ad alimentare un po’ l’attesa nei confronti di questa sua nuova esperienza (è bene ricordare che Allen lavorò come autore televisivo agli inizi della sua carriera, ma che parlare di un progetto televisivo quale è una serie tv, soprattutto in questi ultimi anni, è un lavoro decisamente diverso).
L’impressione davanti a questo pilot, che apre una storia ambientata negli anni ’60 durante il periodo del conflitto in Vietnam, è che invece il problema sia stato esattamente quello da lui dichiarato: pensare di poter scrivere un film in sei parti, dividendolo quindi in scene da 20, 25 minuti, senza apparentemente mutare gli stilemi classici del racconto cinematografico, almeno per quanto riguarda questo primo episodio. A scanso di equivoci, la puntata presenta – e bene – i personaggi e il periodo che intende mettere in scena in questo “primo atto”, ma non sembra fare molto più di questo.
Le caratteristiche del protagonista, Sidney Munsinger, e di sua moglie Kay (Elaine May) si adattano perfettamente al classico racconto alleniano: lui, scrittore non di particolare successo, parzialmente in crisi e sul punto di scrivere una serie televisiva (notizia che Allen dà subito al pubblico, quasi a giustificazione della sua stessa posizione, in un parallelo che fa di Sidney il suo alter ego nell’hic et nunc); e lei, consulente matrimoniale alle prese con sedute di coppia impossibili, gruppi di amiche con cui parlare di libri contribuendo alla conversazione con la propria deformazione professionale e tanti, tanti bicchieri di vino.
Quello che ci viene presentato è insomma un insieme di vite (a cui si sommano due amici, il figlio di un altro amico e la sua fidanzata) abbastanza stabili, segnate tuttavia da una guerra che intacca i personaggi fino a qui mostrati in maniera diversa eppure tangibile: che sia per preoccupazione, per negazione o per spinta al cambiamento, è chiaro l’intento di voler prendere un argomento storico importante e di farlo interagire quasi come fosse anch’esso un personaggio, che forse proprio per questo si merita un’introduzione ad effetto. Ecco quindi che il pilot inizia con immagini dell’epoca e una canzone come “Volunteers” dei Jefferson Airplane, che ci ricollega subito al fervore rivoluzionario di quegli anni solo per essere smorzato dalla quiete (prima della tempesta?) delle immagini successive.
“I don’t know how I got into this. I have no ideas and I’m not sure where to begin. My guess is that Roy Price (vice presidente degli Amazon Studios, ndr) will regret this.”
(Variety, gennaio 2015)
A dispetto quindi di una buona presentazione dei personaggi (non tutti sono presenti nel pilot) e di una forte e costante presenza della Storia, la puntata si muove in una maniera decisamente classica, che sembra appunto ignorare le tempistiche tipiche della televisione – soprattutto quando si ha a che fare con minutaggi così ristretti – scegliendo di optare per altro; e, per quanto questo allontanarsi dalle convenzioni possa essere in altre occasioni visto come un modo per sperimentare, qui appare come un passo indietro, come una difficoltà davanti alla quale non si è riusciti a reagire in conformità col medium utilizzato.
La conferma di questa sensazione arriva anche dal materiale offerto da Allen, che in diversi momenti fa appello alla sua sconfinata esperienza di autore e al suo modus operandi, soprattutto davanti ai dialoghi e alle costruzioni di personaggi dotati di un umorismo e di un sarcasmo fine e non-sense al contempo; tutte cose che conosciamo, che abbiamo amato e che caratterizzano Allen, ma che mancano forse di quel guizzo che una nuova esperienza come quella della serialità televisiva avrebbe dovuto apportare.
In generale è sempre difficile giudicare una serie dal pilot e lo è ancora di più quando questo dura poco più di venti minuti; è quasi impossibile quando si tratta di un autore così noto, che ha già messo le mani avanti sul suo prodotto e che ci porta, alla fine di questa prima puntata, a non avere ancora conosciuto l’elemento di rottura su cui baserà un racconto di (soli) altri cinque episodi.
Si può solo cercare di esprimere un giudizio sereno, che non tenga conto dell’enorme elefante nella stanza: una critica che ha già da più parti stroncato la serie, quasi a completamento di quel fallimento che lo stesso Woody Allen aveva profetizzato.
Ad ora si può di certo dire questo: il pilot di Crisis in Six Scenes è un concentrato di Allen nel suo senso più classico, con tutti i pregi e i difetti che questo può comportare se applicato in modo quasi meccanico ad un formato completamente diverso da quello cinematografico.
Voto: 7
Condivido la tua recensione 🙂 Ho visto l’intera serie e mi è piaciuta. Non capisco le stroncature che sono state fatte: è vero, Allen non riesce ad adeguarsi al formato degli episodi e il risultato è un film in 6 parti, ma d’altronde il titolo dice tutto! Ho letto un articolo in cui l’autore paragonava Crisis in six scenes a Mad Men, ma credo sia un paragone fuori luogo: Mad men ha un arco narrativo estremamente ampio e la serie di Allen non può raggiungere la stessa complessità in soli sei episodi. L’unica cosa in comune è che il protagonista, Sid, da giovane ha lavorato a Madison Avenue come pubblicitario 🙂