La battaglia che ha concluso lo scorso episodio di Legion ha rappresentato un punto di non ritorno per i personaggi ed era inevitabile che qualcosa cambiasse. Dopo il viaggio nella mente del protagonista e la cornice meta-narrativa, la serie di Hawley continua a spingere sul pedale della sperimentazione proponendo un episodio vertiginoso e quanto mai inquietante.
Grazie all’eccentrica regia di Tim Mielants e all’audace sceneggiatura di Peter Calloway, “Chapter 5” prosegue la sua marcia sulle tematiche dipanate dallo show fino a questo momento, focalizzandosi in maniera particolare sia sul rapporto tra memoria e paura, sia su quello tra desiderio e perdizione. Bilanciando perfettamente azione e riflessione, gli autori di questo episodio confermano la solidissima personalità della serie, esibendo uno stile unico nella televisione contemporanea, che più volte si presenta come oltremodo perturbante, allucinato e spiazzante, grazie a una regia perfetta per ragionare sulla soggettività del racconto e sulla natura dell’incubo quando a viverlo è il narratore stesso.
I’m a magic man.
Nello scrivere questa recensione, quasi come influenzati dai poteri del protagonista della serie, non si può che partire dalla sorprendente sequenza che domina il pre-finale dell’episodio. È un momento in cui lo statuto di realtà di ogni cosa è messo in discussione, in cui si fa molta fatica a comprendere dove comincino le regole della fisica e dove invece queste ultime vengano brutalmente sospese; Melanie, Syd, Rudy e Ptonomy si recano alla casa in cui David è cresciuto con l’intento di liberarlo, ma proprio poco prima di entrare le loro percezioni vengono private totalmente del sonoro (salvo alcune disturbanti eccezioni) e la messa in scena aderisce alla soggettività dei personaggi dando vita a una sequenza di rara potenza.
Si tratta di una scelta radicale, coraggiosa e disturbante, assolutamente non convenzionale e per questo ancora più spiazzante, tanto per i personaggi quanto per lo spettatore. È solo grazie ai poteri del protagonista che Noah Hawley può giustificare narrativamente la scelta del silenzio e così facendo ragionare sul linguaggio audiovisivo e mostrarci (qui l’imperativo show, don’t tell è portato all’ennesima potenza) che nel meta-racconto della serie ciò che accade nel mondo può essere sempre alterato, contaminato dal potere incondizionato di David, tanto da rendere indiscernibile il sogno dalla realtà. A cambiare sono i limiti fisici, le percezioni sensoriali, le logiche di spazio e tempo, fino a rendere disumani gli umani e umani i mostri, perché nel mondo di David lui è il narratore, il demiurgo, l’essere divino, colui che monta e smonta; è lui il vicario dell’autore nella finzione che in quanto tale sperimenta e mette in scena questa straordinaria sequenza in cui anche la costruzione narrativa segue logiche nuove, che attraversano il paradosso e arrivano fino alla richiesta ermeneutica più bizzarra, la lettura del labiale.
Real, fake. It’s all the same. You know, they say the brain is the largest erogenous zone.
Non è un caso che what’s real? sia la frase più ricorrente sin dall’inizio della serie, perché è proprio lo statuto di realtà ad essere al centro della riflessione di Noah Hawley. Sarebbe però troppo semplice farlo solo attraverso il racconto e infatti Legion, mai come in questo episodio, dimostra quanto sia proprio il linguaggio audiovisivo a fare la differenza, a partire dall’aspect ratio dell’inquadratura che anche in questo caso, come in altre puntate, cambia in momenti particolarmente rilevanti.
La prima volta che succede in questo episodio è quasi impercettibile, perché avviene attraverso uno stacco netto e si rimane ad occhi sbarrati come Syd e con lei catapultati nella White Room. Ma la seconda volta gli autori mostrano il gesto nel suo farsi tramite una transizione meravigliosa che accompagna gli spettatori nel brusco passaggio dalla realtà al sogno, in cui l’aprirsi delle porte dell’ascensore svela gradualmente il primissimo piano di Syd e la sua bocca spalancata urlante di piacere. In quei secondi il regista trasforma la tradizionale inquadratura televisiva in un formato panoramico modificando i margini superiore e inferiore dando così vita a una nuova messa in scena, a una nuova dimensione.
Personalizzare le misure dell’inquadratura non è una novità assoluta nella serialità televisiva, tanto che si è vista in modo simile anche nella terza stagione di Black Mirror, con la profonda differenza però che in quel caso si trattava di una scelta molto più tradizionale, volta a conferire la libertà a ciascun episodio di scegliere il formato liberamente. Con Legion Noah Hawley e i suoi collaboratori fanno una cosa molto più raffinata, sperimentale e concettualmente pregna di significato: modificando in corsa l’aspect ratio dell’inquadratura, danno vita a una riflessione teorica sull’immagine molto simile a quella operata da Xavier Dolan in Mommy.
Who teaches us to be normal when we’re one of a kind? Just promise me if we get lost we get lost together.
La potenza metaforica e narrativa di questo gesto puramente linguistico è amplificata dalla narrazione, la quale sia attraverso ciò che succede sia tramite le parole di Syd arriva a giustificare questa scelta. Perché il formato panoramico non identifica lo spazio della White Room, come a prima vista potrebbe sembrare, tant’è vero che nelle sequenze finali con il mostro nella camera il formato dell’inquadratura è quello classico. L’aspect ratio panoramico usato in questa puntata è la dimensione dell’idillio, la safe zone di Syd, la cornice in cui può finalmente realizzare i propri desideri. Non è un caso se è proprio in quella sequenza che si assiste alla sconvolgente confessione della donna circa il suo primo rapporto sessuale, vicenda che fa luce sulla sua identità e lascia sconvolti sia David sia lo spettatore. Con questa scelta Hawley ci porta nella testa di Syd, ci spinge a credere con lei a quello che stiamo vedendo, perché nonostante quella non sia la realtà, vogliamo credere fino in fondo che possa diventarlo; vogliamo sfidare la natura e credere in questo magico mondo sospeso, che per Syd rappresenta il solo luogo di effettiva autodeterminazione, in cui i sogni possono avverarsi e i desideri esaudirsi.
Why are there so many songs about rainbows and what’s on the other side?
In “Chapter 5” gli autori sembrano dirci che solo attraverso uno stile debordante e delle scelte puntuali e coraggiose si può dire qualcosa di nuovo sull’identità chiaroscurale di un eroe del genere, sulla difficoltà di quest’ultimo di accettare il proprio lato oscuro e sulla necessità di non negarlo ma farci i conti davvero. L’origin story di David è il modo per ragionare sulla conoscenza del sé attraverso una personalità scissa, in cui Bene e Male convivono e la linea di demarcazione che li separa è sconosciuta sia al protagonista che a chi gli sta intorno. Nei primi quattro episodi è andata gradualmente maturando la certezza che quel lato oscuro sia un parassita – secondo Cary un mutante ancor più anziano di David la cui coscienza è entrata nel suo corpo –, la cui forma cambia di volta in volta assumendo ora le fattezze dell’amico spacciatore Benny, ora del World’s Angriest Boy, ora dell’immaginario cane King, ma soprattutto quelle di Lenny, interpretata in maniera superba da Aubrey Plaza.
Nell’investigazione della dualità del protagonista la scena maggiormente emblematica è quella del confronto tra David/Lenny e la sorella Amy. Qui il regista realizza un altro capolavoro riuscendo davvero a dare forma alla paura, utilizzando la distorsione dell’immagine, l’espressionismo recitativo e di messa in scena per portare le emozioni in superficie. Lo shock e il terrore diventano materici, tangibili e, come in tanti film di Lynch, funzionali a veicolare la trasmissione del grande segreto nascosto al protagonista, quello per cui vediamo il volto di Amy sfigurarsi in una smorfia di pianto e autocommiserazione: you’re adopted. Ma chi è che vuole realmente saperlo, David o il diavolo che ha in corpo? Sicuramente quest’ultimo, come vediamo dalla paralisi del protagonista e dal suo vano tentativo di ribellione verso il gesto del parassita che in quel momento lo possiede. Tuttavia, proprio l’ambiguità di David ci spinge a chiederci perché gli sia stata da sempre negata la verità sulla sua famiglia e se non sia proprio il suo spaventoso lato oscuro la ragione di questa scelta.
Gli interrogativi a questo proposito sono tanti e molto complessi. Se, come sottolineato più volte nello scorso episodio, siamo ciò che ricordiamo, non è che la scelta di Amy di non dire nulla al fratello rappresenta anch’essa un tentativo di riscrivere la memoria di David e dunque la sua vita? Dove finisce la legittimità di questo gesto e dove inizia l’omissione indebita? E, infine, se siamo ciò che ricordiamo, cosa rimane di noi se la nostra memoria è basata su innesti falsi?
He can bring him back, I know it.
Se la lotta di David contro il suo lato oscuro ci sembra infelicemente impari, dalla sua parte però c’è un gruppo di personaggi pronto a combattere al suo fianco, ciascuno per le proprie ragioni. Nel momento in cui questi realizzano che la realtà come l’hanno sempre conosciuta ha smesso di avere senso grazie ai poteri di David, capiscono anche che forse è il caso di credere per la prima volta di poter sovvertire davvero i limiti della natura pur di perseguire i propri obiettivi. C’è sempre qualcosa per cui combattere, ricorda Kerry alla sua più anziana metà maschile, e così facendo ci rimanda alla forza del team, ma anche agli interessi che ciascuno di loro ha nei confronti di David. Syd in particolare è spinta dall’amore, ma soprattutto ora vede nei sentimenti che prova il viatico verso la liberazione, la strada che la può portare a smettere di essere the untouchable girl. Parallelamente su di lei pesa il monito di Melanie, la quale le ricorda la condizione in cui si trova Oliver, che proprio perché sedotto da quella realtà alternativa ha finito per restarne imprigionato. Ma anche Melanie, come Syd, non può che essere attratta dai formidabili poteri di David, tanto da credere ostinatamente che attraverso questi ultimi potrà riabbracciare il suo amato dopo quasi ventuno anni.
“Chapter 5” non può che finire in maniera roboante, con un brusco cliffhanger che lascia tante domande ma che si presenta visivamente carico di stile, con tutti i personaggi ricollocati in altre vesti e inquadrati in modo decisamente disturbante. Non sappiamo ancora cosa sia successo, probabilmente c’entra il gesto estremo di Syd, la quale si mette davanti al proiettile sparato da The Eye, che in quel momento aveva le fattezze di Rudy.
Quello che sappiamo con certezza però è che Legion è lontanissima dall’aver esaurito il suo potenziale, che il suo stile è sempre più vario e plurale (bellissimo il montaggio musicale con The Daily Mail dei Radiohead) e che a ogni episodio la serie alza l’asticella dell’ambizione e della riflessione sul racconto e sul linguaggio audiovisivo. Di questo passo è davvero impossibile prevedere dove possa arrivare.
Voto: 9
Giù il cappello davvero, che serie! Io non ho ancora dismesso lo stupore davanti a tale inventiva. Il vero mutante è Noah Hawley, ormai è chiaro. Aggiungo una sola considerazione alla bella e articolata recensione. Che spiega il mio ammirato stupore. Da un paio di anni sto riscoprendo i fumetti e non ho visto o finito di vedere alcuna delle trasposizioni televisive ora in voga perché mi sembra che manchi a tutte una messa in scena originale che possa rappresentare il corrispettivo televisivo del linguaggio caratteristico del fumetto di fantasia (passatemi l’espressione un po’ antiquata che tradisce la mia età non più verde), e cioè una radicale libertà visiva, di montaggio, di colore
…mi è scappato l’invio…vabbè si è capito dove andavo a parare. In questa serie ho trovato la stessa freschezza, la stessa libertà creativa che ritrovo nei fumetti migliori, pur essendo pienamente un prodotto audiovisivo che non tenta affatto di scimmiottare le vignette o di fare una sitcom alla Marvel o un drammone alla DC comics. Ecco, questo è un modo davvero intelligente di fare una trasposizione di un supereroe da fumetto, forse non proprio per ragazzini ma la cosa non mi dispiace…
Molto bello il parallelo che fai tra la messa in scena della serie e quella dei fumetti, soprattutto perché impostato sulla libertà. Il mezzo televisivo pone dei vincoli più netto rispetto al disegno ed è di per sé limitante. Noah Hawley tenta in tutti i modi di superare le barriere e sprigiona una creatività incredibile nella messa in scena, che (è vero) si avvicina al fumetto in maniera davvero unica.
Avete presente il logo animato dei Marvel Studios in testa ai film? Quel rapido susseguirsi di frames colorati con la fanfara in sottofondo? Ecco, per me Legion è un viaggio introspettivo in quella sigla, un trip onirico (o, a scelta, lisergico) pazzesco! Bravissimo Attilio a intravvedere Lynch fra le pieghe, quello degli incubi dell’Agent Cooper, delle menti disturbate e disturbanti di Eraserhead e dei suoi corti più sperimentali. Ma anche tantissimo “british touch” (un particolare, l’auto che porta i nostri nella rescue mission ha la guida a destra) e al già evocato Kubrick sin dal primo capitolo (qui con la white room ), c’è anche il profumo delle cover dei Pink Floyd e della trasposizione di Parker di The Wall.
Bello, bello, bello!
Bellissima recensione … ogni volta Legion tira fuori una classe …. anche oggi ho discusso sul fatto che i film di questi ultimi anni (tranne poche eccezioni) non rimarranno anzi si dimenticheranno molto facilmente. Invece queste serie tv si che diventeranno dei cult!!
Houston abbiamo una Serie. Con i controcaxxi 🙂