American Gods – 1×04 Git Gone 2


American Gods - 1x04 Git GoneUna pedissequa trasposizione su schermo del romanzo di Neil Gaiman non era mai stata nei progetti di Starz che, fin da subito, aveva annunciato come American Gods si sarebbe preso delle libertà, ampliando il palco dei personaggi e riempiendo gli spazi che lo scrittore aveva lasciato – più o meno volutamente – vuoti. Abbiamo dovuto attendere tre episodi interlocutori (all’interno di una stagione che manterrà la propria identità introduttiva), ma con “Git Gone” Bryan Fuller offre un saggio delle proprie capacità creative.

Head Full of Snow” ci aveva lasciati con il piccolo cliffhanger della ricomparsa di Laura e “Git Gone”, per la prima volta, si inoltra su territori inesplorati, intervenendo sul materiale di partenza.
Il focus si concentra sul personaggio di Laura, aprendo una parentesi temporale piuttosto ampia. La donna che scaturisce dalla penna degli autori è un personaggio originale, per una volta totalmente indipendente dalla controparte maschile. Nel corso dei cinquanta minuti è proprio Shadow a fungere da spalla, contribuendo alla definizione dei contorni di Laura. La ragazza interpretata da Emily Browning viene presentata all’interno di una noiosa routine, anestetizzante nella sua ripetitività; nel tentativo di liberarsi dall’asfissia dell’inedia, la ragazza è solita indulgere in atteggiamenti distruttivi e l’incontro con Shadow è solo una breve ed illusoria parentesi. La forza di Laura sta tutta nella sua capacità di andare avanti nonostante la vacuità sia il sentimento principale che impregna le giornate, di alzarsi ogni mattina nonostante l’intima consapevolezza di essere quasi morta dentro; la comparsa di Shadow è una luminosa scintilla nell’oscurità, una luce che per un periodo circoscritto riesce a farle provare qualcosa di nuovo ed entusiasmante ma che, in breve tempo, si affievolisce.

American Gods - 1x04 Git GoneL’omologazione a ciò che il mondo e la società consigliano, quasi impongono, per essere felici – trovare una persona che ti ami, costruire un nido, sposarsi, costruire una famiglia – è l’ennesimo fallimento che spinge Laura ad un altro tentativo di evadere dagli schemi precostituiti. A farne le spese è Shadow, che vede minare le fondamenta di un amore che da parte sua è cieco ed incrollabile e si ritrova rinchiuso in un carcere fisico, mentre per Laura torna a materializzarsi l’incubo di una prigione spirituale in cui l’avventura con Robbie altro non è che l’ultima, evanescente evasione.
In una televisione che non sempre si sforza nella caratterizzazione femminile, inquadrando le donne come vergini o prostitute, angeli o demoni, American Gods permette alla Browning di dare vita ad un personaggio originale che annaspa goffamente nel grigio. La ragazza non è mai circondata da un’aura di cattiveria premeditata mentre sul suo cammino sembrano remigare le ali nere di un destino ineluttabile.

Ha quindi una certa ironia il percorso post-mortem di Laura che trova uno scopo credibile solo dopo lo schianto mortale. Con la sequenza alle porte dell’aldilà Bryan Fuller inizia a dischiudere una serie di rimandi simbolici: Shadow, che per la propria moglie non era mai stato un punto di riferimento né un’ancora di salvezza, è ora ammantato di luce alla stregua di una figura divina – strizzando l’occhio a tutta la letteratura del “Cammina verso la luce” e alle testimonianze di esperienze pre-morte – mentre il decadimento del corpo di Laura sembra essere il rovesciamento della sua vita precedente: un corpo vitale ed efficiente, col ronzio delle mosche ad inquietante monito, contrapposto ad una quasi morte spirituale prima e un corpo in rapido disfacimento sorretto da uno scopo vitale ora.

American Gods - 1x04 Git Gone“Git Gone” è un episodio che si inserisce con onore in uno dei prodotti più originali dell’anno. La spettacolarità visiva si accompagna ad uno humour nero che tocca le vette nel bagno di Audrey in un processo di accostamento degli estremi che caratterizza l’intero show: divinità mosse da desideri e paure umani, preda dei peggiori vizi e rancori, banchetti di sangue messi in scena con ispirazione poetica, ad esaltarne la spettacolarità visiva più che le truculenza e la crudeltà, un protagonista dipinto a tinte messianiche che, pur portando nel suo stesso nome le sfumature dell’oscurità, sembra il più innocente .
Il focus su Laura mette in secondo piano un problema molto importante per American Gods. Il carattere introduttivo dei primi episodi ha rischiato più volte di risultare indigesto per chi non avesse letto il libro di Gaiman: i misteri insoluti ed incalzanti e il ritmo sparpagliato di una narrazione restia a rivelare i propri segreti sono infatti un arduo ostacolo per uno spettatore vergine alle atmosfere crepuscolari del romanzo. Le vicende di Laura, di cui abbiamo una visione molto più coesa, permettono di immergersi senza troppi pensieri negli ambienti grigi e vagamente deprimenti, nella vacua ed insistita americanità che trapela dalla prima metà dell’episodio, perfettamente sottolineata dal comparto tecnico (regia, struttura narrativa, colonna sonora) che contribuisce  a rendere accessibile allo spettatore le turbe psicologiche della ragazza.

“Git Gone” è un episodio notevole, in alcuni momenti addirittura sgradevole alla visione nel rendere perfettamente il tedio esistenziale di Laura. L’interruzione del racconto permette ad American Gods di tratteggiare con grandissima efficacia un personaggio in cui convergono le difficoltà e le paure dell’uomo moderno. A prescindere dall’argomento e dalle ambientazioni fantastiche, lo show si dimostra una volta di più un innovatore attento all’attualità, in grado di dipingere con accuratezza e con affilatura visiva “tipi umani” in cui ognuno di noi riesce – in parte – a riconoscersi.

Voto: 7/8

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