
L’intera puntata gira attorno all’imminente incontro del Comandante Waterford con una delegazione commerciale proveniente dal Messico, dandoci così l’occasione di osservare per la prima volta i comportamenti assunti a Galaad in previsione di visitatori esterni. Com’era da aspettarsi, ciò che affiora fin da subito è la disgustosa ipocrisia con cui si cerca di tenere accuratamente nascosta ogni traccia della fredda crudeltà che invece caratterizza appieno il sistema, coprendola con una torbida e grottesca imitazione di un paese civile, morale e illuminato. In particolare, è ben percepibile la paura che attanaglia i coniugi Waterford non solo nel temere di non concludere l’affare previsto, ma soprattutto nei confronti della terribile possibilità che i visitatori possano in qualche modo scoprire le brutalità che si celano dietro i comportamenti di ogni singolo membro della casa.
In questo contesto, ci viene presentata l’Ambasciatrice Castillo (interpretata da Zabryna Guevara), una donna la cui figura indipendente e autorevole stona volutamente con le donne presenti in casa Waterford, sottomesse completamente al volere dei Comandanti e impossibilitate – qualunque sia il loro rango – a prendere ogni tipo di iniziativa. La sincera curiosità dell’Ambasciatrice nei confronti dei meccanismi di Galaad e le sue legittime (e scomode) domande rivolte direttamente a Serena e a Offred rischiano infatti di scoprire il vaso di Pandora, rivelando le atrocità in esso contenute.
Are you happy?

Tuttavia, Offred non è la sola a tentennare quando è costretta a mentire: la visita dell’Ambasciatrice ci permette infatti di gettare più luce sul controverso personaggio di Serena (Yvonne Strahovski), vera protagonista di “A Woman’s Place”. I flashback a lei dedicati scavano nel suo passato, mostrandoci una donna completamente diversa da quella figura severa e glaciale che abbiamo conosciuto finora: Serena era infatti una persona vivace, impegnata, appassionata al suo lavoro e sinceramente preoccupata per le sorti della società.
Cosa ne è stato, dunque, di questa donna così intraprendente?
Never mistake a woman’s meekness for weekness.
Quella che sembrava solo l’ennesima vittima del sistema autoritario venutosi a creare, ne è in realtà una delle artefici. L’ideale che Serena condivideva (prima in modo paritario) con il marito nascondeva infatti i semi di quella che poi sarebbe diventata la Repubblica di Galaad: la necessità di mettere al mondo sempre più bambini per sconfiggere l’infertilità dilagante ha portato la donna a impegnarsi attivamente – attraverso, appunto, la scrittura di un libro dedicato al “femminismo domestico” – nell’arginare questo problema, cercando di invogliare le donne a sacrificare la vita lavorativa per occuparsi a tempo pieno delle proprie famiglie.

La regia si rivela molto capace nel sussurrare allo spettatore – attraverso la visione della donna che spesso indugia pensierosa allo specchio – il probabile senso di colpa che l’attanaglia per aver contribuito a mettere a repentaglio non solo la sua libertà, ma anche quella di tantissime altre donne che, a causa delle sue convinzioni, sono ora costrette a vivere in un modo a dir poco terribile.
“My country is dying.”
“My country is already dead.”
Fin dall’inizio della puntata, si avverte qualcosa di strano nell’ossessiva celebrazione del “contributo” delle Handmaid di fronte alla delegazione messicana: l’attenzione concentrata su di loro e l’improvvisa e inaspettata dolcezza con cui Aunt Lydia si rivolge alle ragazze sono infatti i sintomi di qualcosa di ben più sinistro.
È solo verso la fine dell’episodio che questi timori assumono concretezza, quando veniamo a scoprire (insieme a una sconvoltissima June) che la merce che i Waterford stanno cercando di vendere all’Ambasciatrice sono proprio le Handmaid.

È in questa situazione di dolorosa ed insopportabile impotenza che, inaspettato, arriva il primo barlume di speranza per la nostra protagonista, che molto probabilmente condurrà la serie a un importante cambio di direzione.
Per concludere, “A Woman’s Place” è uno splendido episodio, capace di indagare a fondo nelle complesse personalità dei suoi personaggi e di riuscire ad analizzare con intelligenza gli aspetti più controversi del sistema dispotico che si propone di raccontare, confermando la qualità visiva e narrativa di una serie che, fin dall’esordio, si è immediatamente distinta per la sua bellezza e per la sua intensità.
Voto: 8/9
