Arrivati alle porte dell’arco finale della decima stagione, mai come quest’anno Doctor Who sente il peso delle sue dieci stagioni; la storia ormai si trascina a fatica verso il finale che sembra essere il punto di approdo programmato sin dall’inizio e a cui si è arrivati con stanchezza e pochi guizzi. Questo decimo episodio è, in effetti, un miglioramento rispetto a quanto visto in precedenza ma non sufficiente – e forse non è più possibile salvare la stagione – a riprendere in mano le fila del discorso.
Che Moffat avrebbe lasciato alla fine di questa annata era ben noto, tanto quanto l’abbandono di Peter Capaldi. Quello che non era immaginabile, però, è che uno dei più interessanti e peculiari scrittori per la televisione britannica a questo importante traguardo ci sarebbe arrivato con una tale sciattezza da lasciare sinceramente spiazzati. Perché ormai non si può negare che questa decima stagione di Doctor Who sia una delle peggiori da quando il Dottore ha fatto ritorno con la sua nona reincarnazione. Che cosa è successo e come si inserisce in questo quadro l’episodio “The Eaters of Light”?
Il primo punto su cui vale la pena concentrarsi, parlando di questa puntata, è che rappresenta il ritorno alla scrittura per la serie di Rona Munro, sceneggiatrice del Dottore Classico (è lei ad aver scritto l’ultima storia del Settimo Dottore); un ritorno reso ancor più evidente grazie soprattutto al tono generale del racconto che sembra davvero ispirarsi ad alcune delle storie classiche della serie, con un’attitudine ad una semplicità nella narrazione pur non dimenticando l’importanza del lato umano (con quel pizzico di fiducia nell’umanità che non guasta). Il risultato, al netto di qualche semplificazione di troppo, è un episodio gradevolissimo, capace di illuminare alcuni temi sociali senza però riempirli di vuota o eccessiva retorica.
Così il Signore li disperse sulla faccia di tutta la terra e cessarono di fabbricare la città, alla quale perciò fu dato il nome di Babele, perché ivi il Signore confuse la lingua di tutta la terra.
“The Eaters of Light” è un episodio che si concentra su alcune creature di cui sappiamo poco e di cui, francamente, ci interessa altrettanto; lo scopo fondamentale dell’autrice è quello di concentrare la nostra attenzione sul lato umano delle vicende, sullo scontro tra due popolazioni – i conquistatori belligeranti e gli attaccati disposti a scatenare una creatura terribile piuttosto che abbandonare la propria terra – che non riescono a venire ad un punto d’incontro. Sarà solo quando il TARDIS permetterà alle due schiere di parlare e capirsi che la pace sarà finalmente possibile. Ecco Doctor Who al suo meglio: una serie che ha come protagonista un alieno innamorato della Terra non può che dare il meglio di sé quando si concentra sull’umanitarismo del proprio racconto. Si tratta di un’apertura diretta all’importanza della comunicazione e del dialogo che possono scavalcare ogni difficoltà; si tratta di un racconto di fiducia e di fratellanza contro le avversità comuni. Il TARDIS è l’intervento divino di Babele al contrario: se in quel caso Dio interviene per confondere le lingue ed impedire all’umanità di coalizzarsi, qui un’altra entità aliena – mi si passi la definizione – svolge un ruolo opposto e permette all’uomo di parlare e, così, di capirsi. Nella comprensione l’umanità trova un terreno comune per sconfiggere il nemico, per il bene comune: una lettura di profondo ottimismo ma che va ad illuminare un tema di ampia attualità come la capacità – o incapacità, nei casi più moderni – di capire l’altro fino in fondo, di parlare per trovarsi e scoprirsi.
È in questo sostrato che si sviluppa uno dei dialoghi più interessanti dell’episodio, quello che vede coinvolta Bill ed i giovani legionari romani. La sua aperta ammissione della propria omosessualità – omosessualità che la serie mai drammatizza né rende il fulcro principale del personaggio – viene accettata dal resto dei romani con una facilità che apparentemente stona; ma a prescindere dalla credibilità o meno di questa reazione, quella conversazione rappresenta il modo per illustrare quanto Bill sia poco “alternativa” per una società come quella romana. Ciò che interessa davvero è mostrare come, in un mondo che evolve e che cambia costantemente nella storia, in cui gli ideali e la moralità sono sempre fluidi, ciò che scandalizza oggi potrà essere stato innocuo nel passato (e di nuovo lo sarà nel futuro).
Come per il linguaggio quale chiave per la comprensione, anche questo tema viene trasmesso con una insolita delicatezza di scrittura che quasi cozza con la grossolanità e magniloquenza con cui la penna di Moffat si è sempre mostrata. È tutto un lavoro di sottrazione in cui il vero fulcro non è rappresentato dal Dottore stesso, che fa quasi un passo indietro defilato, ma Bill, interprete e rappresentante dell’intera umanità. Se il Dottore è mitizzato attraverso il racconto stesso della ragazza, è lei ad assumere il centro della narrazione proprio per la sua capacità di intuire l’importanza del Dottore e mettere in pratica i suoi insegnamenti come poche altre companion avevano fatto sinora. Vale dunque ancora la pena ribadirlo: Bill è la cosa migliore capitata a questa zoppicante decima stagione.
Chiaramente questo episodio non è esente da alcuni problemi, perlopiù semplificazioni eccessive dovute alla volontà di raggiungere uno scopo preciso (non è infatti chiaro come possano gli umani con una vita breve sostituire il Dottore che poteva far affidamento sulle proprie rigenerazioni), ma sono peccati veniali che si perdonano con facilità quando si riesce a creare tutta una serie di piccole innovazioni che arricchiscono il racconto: pensiamo al verso dei corvi, che servono a celebrare il sacrificio della Guardiana, oppure alla musica che dopo millenni riesce ancora ad udirsi in quei luoghi. Tutto questo si nota soprattutto perché avvolge ogni cosa con l’aura magica e fiabesca di cui tanti racconti del Dottore, soprattutto quelli classici, erano ammantati.
Il problema, però, è che questo bell’episodio è inserito alle porte dell’arco finale della decima stagione, un’annata che ormai è dichiaratamente una lunga attesa per quello che ci si prospetta davanti. Tutto il racconto sin dal primo episodio è stato impostato su una prospettiva che solo adesso possiamo intuire. Se lo scorso anno la stagione aveva funzionato bene era perché l’equilibrio tra trama orizzontale e quella verticale aveva trovato uno sviluppo singolare (semmai lì i problemi riguardavano il ruolo di Clara, tiro corretto con Bill); ma funzionavano anche gli episodi singoli, che quest’anno faticano a rendersi persino piacevoli, figurarsi interessanti. Ciò che domina senza dubbio è una sensazione di stanchezza persino nell’interpretazione di Peter Capaldi; sebbene sia chiaro ormai che si tratti di una cosa voluta e che troverà spiegazioni nell’ultimo viaggio di questo Dottore, allo spettatore il protagonista rischia di apparire spento e senza più alcuna verve, mancando di quel respiro coinvolgente che in passato aveva saputo coinvolgere ed ispirare. La trama di Missy va via via destando un qualche interesse, ma è così tirata per le lunghe che rischia di perdere la propria forza propulsiva ancor prima di essere messa in campo direttamente.
“The Eaters of Light” è dunque un episodio gradevolissimo, dal sapore favolistico e moraleggiante e figlio diretto di alcune delle storie della serie classica, ma si inserisce in una stagione sciatta e spenta, che si avvia verso un finale che non potrà, anche con i migliori risultati, allontanarsi da un tendenziale giudizio negativo.
Voto: 7
Quindi? L’episodio e gradevolissimo, la stagione è sciatta. Abbiamo compreso. La leggerezza degli ultimi due episodi unita alla gradevolezza della recitazione ed alla semplicita ed efficacia di scrittura sono piccoli gioielli in una produzione televisiva ridondante. Non entro nel merito perchè sono solo un appassionato del dottore e non un critico televisivo. Come quando bevo del vino posso solo dire…. a me è piaciuto. E tanto. A noi anime semplici, cresciuti a bogdanovich, yates, avildsen ed il “meraviglioso” frank capra queste cose piacciono, possibilmentr con poco sangue e lieto fine… Che ci vuoi fare. PS. A me capaldi sembra sempre un grandissimo. Amici come prima.