La prima stagione dello show ideato da Bruce Miller e dedicato alla rappresentazione delle atrocità del regime di Gilead ci ha rapiti subito e con merito. La bellezza e l’intensità che hanno caratterizzato la prima annata di The Handmaid’s Tale hanno permesso alla serie di imporsi fra i migliori prodotti del 2017 e di vincere numerosi premi, fra cui due Golden Globe. Questi successi, però, hanno alimentato le aspettative per una seconda stagione che adesso ha il difficile compito di eguagliare e superare i livelli raggiunti in passato.
È una sfida che si preannuncia ardua anche perché, d’ora in poi, la narrazione dello show non seguirà più la trama de “Il racconto dell’ancella” (conclusosi con le vicende della prima stagione) e dovrà intraprendere un cammino quasi del tutto autonomo che, in quanto tale, si rivela molto stimolante per le possibilità creative e narrative a cui può aspirare, ma, al tempo stesso, anche tremendamente rischioso. Nonostante ciò, la doppia premiere con cui ha esordito la seconda annata spazza via fin da subito le paure legate al ritorno di The Handmaid’s Tale e non esita a riportarci immediatamente nelle cupe atmosfere di Gilead: dopo pochissimi minuti di visione, infatti, si ha la sensazione che il tempo fra le due stagioni non sia mai trascorso.
2×01 – “June”
Il merito si trova sicuramente nella decisione di far ripiombare gli spettatori proprio lì dove avevamo lasciato June, in quel furgone dalla destinazione ignota che costringe la protagonista interpretata da Elisabeth Moss ad arrancare continuamente nel buio, mero strumento di un meccanismo che trova la sua linfa vitale nello strappare la libertà e l’autonomia di coloro di cui si serve per accrescere il proprio potere. Ed è proprio questo potere coercitivo ad essere riproposto nei primi minuti della puntata, dove la splendida scena nello stadio ripropone immediatamente tutti gli elementi che hanno contraddistinto la serie fino ad ora: la potenza visiva e simbolica della fotografia e, soprattutto, la costante angoscia scaturita dalla visione del crudo trattamento che le Ancelle sono costrette a subire. La vicenda della finta impiccagione riesce a colpire e a lasciarci senza fiato nonostante la palese prevedibilità del suo esito, e questo non può che sottolineare ancora l’ottima costruzione della serie, incrementata dall’interpretazione impeccabile di Elisabeth Moss che, con poche battute a disposizione, riesce sempre a bucare lo schermo con un’espressività capace di rendersi ancora più poliedrica man mano che il personaggio di June evolve con il susseguirsi degli eventi.
Il cambiamento e la “liberazione” di June dai panni di ancella saranno, probabilmente, alcuni degli aspetti più importanti della seconda stagione. È ben chiaro, infatti, che l’emancipazione della protagonista non dovrà limitarsi alla fuga dal regime di Gilead, ma sarà un cambiamento prima di tutto mentale: la sfida più grande per la giovane donna è la riconquista di un’identità perduta e mai dimenticata. Ma quella stessa identità calpestata ed umiliata per così tanto tempo sarà davvero in grado di risorgere intatta dalle ceneri del costume da Ancella di cui June si è finalmente liberata? Oppure saranno proprio le ferite e i traumi subiti a permettere la nascita di una personalità completamente nuova, pronta a riconquistare ciò che ha perduto e a vendicarsi per le ingiustizie subite?
Interrogativi, questi, che potranno avere risposta solo nelle prossime puntate, ma non c’è dubbio che la nuova gravidanza di June e il rapporto sempre più stretto con Nick (Max Minghella) condizioneranno non poco l’evoluzione della nostra protagonista, incastrata ora in una sorta di via di mezzo fra la prigionia e la libertà, fra il passato e il futuro.
2×02 – “Unwomen”
Una delle novità più incisive di questa doppia premiere è l’intenzione degli autori di allargare i confini di The Handmaid’s Tale e di presentarci nuove ambientazioni e contesti più ampi. In “Unwomen” scorgiamo per la prima volta le terribili Colonie, luoghi tossici e radioattivi che accolgono le donne considerate ormai inutili per la società, costrette a lavorare senza sosta né protezione e, per questo, destinate in gran parte ad ammalarsi e a morire.
È questo il terribile contesto in cui ritroviamo Emily (Alexis Bledel), spedita nelle colonie dopo il folle e liberatorio atto di ribellione compiuto nella prima stagione. Le esperienze vissute nei panni di Ancella e, soprattutto, l’essere costretta a vivere adesso in luoghi e modi così tremendi ha indubbiamente cambiato qualcosa nella personalità di Emily: l’arrivo di una Padrona (interpretata da un’ottima Marisa Tomei) nelle colonie ci permette, infatti, di osservare impotenti il cupo cambiamento della giovane da vittima a carnefice. Una deriva, questa, dettata dalla rabbia e dalla disperazione di chi non ha ormai più nulla da perdere e per cui la cruda vendetta resta l’ultima possibilità di rivalsa e di blanda soddisfazione. L’Emily del passato, probabilmente, non avrebbe mai deciso di agire così, a dimostrazione del fatto che la disumanizzazione provocata dal regime di Gilead investe chiunque, dai potenti Comandanti fino alle vittime relegate e dimenticate nelle colonie. La giovane interpretata da Alexis Bledel sembra essere diventata il fantasma scolorito e incattivito della ragazza intelligente e altruista che era un tempo: le conoscenze acquisite in passato adesso sono soltanto uno strumento per sopravvivere e per vendicarsi dei soprusi subiti. L’aver ricevuto per così tanto tempo soltanto crudeltà e indifferenza ha spazzato via l’ultima traccia di empatia rimasta nella giovane, immettendola del tutto in questo circuito di morte e disperazione.
Anche la stessa June, seppur non costretta a sopportare le atrocità delle colonie, dovrà fare i conti con le conseguenze di ciò che ha vissuto: il ritrovamento della propria sessualità con Nick acquista ben presto un tono quasi ossessivo che sembra voler suggerire la presenza – dietro alla riappropriazione della propria vita e delle proprie scelte sessuali – di una probabile ed irrazionale voglia di offuscare con il sesso le emozioni, i traumi e i ricordi che la donna porta di certo ancora con sé. Ricordi appartenenti non solo alla sua vita da Ancella, ma anche e soprattutto a quella vita che le è stata portata via all’improvviso senza che lei potesse far nulla per evitarlo.
Dopotutto, il ritorno di Emily permette agli autori di compiere un ulteriore approfondimento dell’America precedente al regime di Gilead e di confrontare il presente e il passato attraverso l’utilizzo dei flashback: usati anche nella prima stagione, questi continuano a rivelarsi un ottimo strumento per narrare la deriva degli eventi che ha portato alla nascita di un sistema così brutale. Giovane e promettente professoressa universitaria, anche Emily è infatti costretta a veder scivolare in modo lento ma inesorabile tutti i diritti fondamentali che la caratterizzano in quanto essere umano. La gestione dei flashback si rivela, come al solito, molto sottile ed intelligente, in quanto attenta a dimostrare che ogni atto sessista (e, nel suo caso, anche ogni atto omofobo) non è mai un caso isolato e sporadico, ma fa parte di una dimensione ben più ampia che si nutre anche e soprattutto degli episodi più sottovalutati.
La scena della lezione in cui viene mostrato l’atteggiamento di mansplaining, per esempio, concorre da spia di avvertimento per Emily e per le altre donne riguardo le tendenze poco incoraggianti che caratterizzano il loro ambiente lavorativo (e non solo). Si tratta di un piccolo ma deciso passo verso quell’escalation coercitiva che vedrà ben presto le donne private di ogni autonomia e libertà e che, infine, aprirà la strada alla tremenda teocrazia mostrataci in tutta la sua crudeltà.È sempre ben evidente, dunque, l’intenzione degli autori di illustrare non solo i meccanismi brutali di tale sistema, ma soprattutto quegli eventi più sottili e silenziosi che, trattati con eccessiva leggerezza, hanno avuto la possibilità di crescere fino a trasformarsi in mattoni di un muro sempre più alto e spesso, ormai quasi impossibile da abbattere.
È facile capire perché The Handmaid’s Tale abbia avuto un impatto così forte capace spesso di trascendere la dimensione seriale. Anche nella sua incisiva distopia, la serie strizza l’occhio a tantissime tendenze e avvenimenti dell’attuale realtà storica: e ci riesce proprio nel dimostrare che, prima di Gilead, c’era un mondo non tanto diverso dal nostro, un mondo in cui nulla ci assicura che, in mancanza della dovuta attenzione, i diritti conquistati con fatica in passato non possano essere persi nuovamente.
Per concludere, The Handmaid’s Tale ritorna con una doppia premiere che riconferma l’intensa carica emotiva e la potenza visiva di una serie che ha tutta l’aria di avere ancora tanto altro da dire. Non ci resta che aspettare con impazienza i prossimi episodi per confermare l’avvio positivo di questa nuova annata.
Voto 2×01: 8
Voto 2×02: 7/8
Secondo me si poteva approfondire maggiormente l’analisi della regia, soprattutto per la prima puntata. È un esordio di stagione straordinario a livelli quasi più alti di quella dello scorso anno.