13 Reasons Why – Stagione 2 1


13 Reasons Why – Stagione 2Quando uno show raggiunge vertiginosamente il successo di pubblico solitamente di prefigurano due strade: o riesce a mantenere la propria identità e continua a costruire e migliorare la propria narrazione – è il caso per esempio di Stranger Things – oppure rischia di chiudersi clamorosamente su se stesso, perdendo la carica innovativa che lo caratterizzava e prolungandosi oltre il tempo che gli era dato da vivere.

Potrebbe essere questo il caso di un 13 Reasons Why qualunque quando la serie, consapevole di aver generato un dibattito molto ampio su alcune tematiche critiche e attuali, sceglie di aprire la sua seconda stagione con quello che è a tutti gli effetti un manifesto pubblicitario che vorrebbe definirne la natura. Il messaggio degli attori che premettono e dichiarano la non veridicità – ma verosimiglianza – dei fatti raccontati, oltre che invitare a rivolgersi a qualcuno nei momenti di crisi personale, veicola un’idea ben precisa, un dubbio legittimo: è giusto che questo intento sociale vada ad anteporsi alla narrazione della serie?
Un incipit di questo tipo potrebbe essere, infatti, pregiudizievole per lo spettatore e influenzarne la visione della stagione. 13 Reasons Why è uno show che non ha mai nascosto la volontà di voler alimentare un dibattito intorno ad alcune tematiche che ritiene importanti – e che il teen drama spesso tende a non prendere in considerazione, o a non prendere troppo sul serio – ed è nobile l’intenzione di sfruttare la popolarità ottenuta per poter continuare un discorso che era già ben integrato alla trama della prima stagione; il problema è che questa presunzione di voler portare all’attenzione del pubblico una serie di temi e agevolarne il confronto perde di efficacia quando non è supportata da una scrittura all’altezza, per non dire debole e poco ispirata. È esattamente quello che avviene in questa seconda tranche di episodi, che si focalizzano sul portare a galla tanti (troppi) argomenti di discussione senza riuscire a svilupparli in modo adeguato.

13 Reasons Why – Stagione 2Il dubbio principale a riguardo della struttura di questa seconda annata, che ha a lungo infiammato i dibattiti dei fan, è stato quello relativo alla modalità attraverso la quale Brian Yorkey e il suo team di autori avrebbero delineato la narrazione, esplicitamente pensata per adattare il romanzo di Jay Asher in tredici episodi. Con l’ultima cassetta, la fine del percorso di accettazione di Clay e la scena incensurata del suicidio di Hannah, pareva non fosse possibile riadattare questo format – che sarebbe ingiusto non definire vincente – in un nuovo ciclo di episodi (sempre tredici) senza andare a perdere degli elementi importanti. E infatti è andata proprio così: la scelta di far girare intorno al processo Olivia Baker v. Liberty High la ricostruzione degli eventi andando a sostituire i destinatari delle cassette con le stesse persone ma chiamate a testimoniare, per quanto tesa a cambiare il punto di vista riguardo i fatti già raccontati della prima stagione, è in realtà un tentativo di riproporre lo stesso schema dello scorso anno. Yorkey si adagia su una struttura consolidata e conosciuta, inciampando però nella volontà di andare a modificare in maniera sostanziale e incoerente la maggior parte della mitologia interna alla serie costruita nella prima stagione. Non è facile, infatti, mettere ordine nella vicenda di Hannah alla luce di tutti gli elementi aggiuntivi che vengono proposti dai personaggi in questa annata; alcuni di essi possono anche incastrarsi bene nella linearità narrativa, altri invece sono totalmente incredibili e privi di fondamento – per esempio la relazione importante tra la vittima e Zach, di cui non si fa alcun accenno nelle cassette.

13 Reasons Why – Stagione 2La riscrittura di eventi significativi e la ricerca della verità – in un’aula di tribunale come fuori – è un terreno minato sul quale gli autori rischiano di saltare ad ogni passo, e alla fine ci riusciranno clamorosamente. Come lo scorso anno, si decide sin da subito di puntare su registri diversi, dal teen drama al mystery, questa volta affiancati da una sempre più marcata voglia di rappresentare una generazione in crisi attraverso il confronto con la giustizia. Il legame tra quello che avviene di fronte agli avvocati e la vita dei ragazzi della Liberty High è quindi direttamente collegata: ci sono conseguenze e ripercussioni tra il comportamento dei testimoni di fronte alla legge e quello che capita loro al di fuori dell’aula. Se, tuttavia, si è scelto di puntare così tanto su una narrazione che riprende molti elementi dal legal drama, è quasi un controsenso tracciare una linea netta di demarcazione tra i personaggi banalmente “buoni”, che si possono essere messi in discussione di tanto in tanto ma rimangono alla fine sempre dal giusto lato della barricata, e quelli che già sappiamo essere “cattivi” fino al midollo; lo show continua a rimarcare questo aspetto sia su Bryce – un personaggio che nasce per essere uno stereotipo, e il pochissimo tempo dedicato alle problematiche legate all’assenza dei genitori e alla sua falsa testimonianza sulle vicende con Hannah non bastano a dargli un adeguato spessore – che sugli altri atleti. Certo, si prova a fare qualcosa di diverso sul personaggio di Scott, che afferma di non essere definito dal solo fatto di essere parte della squadra, ma la scrittura è talmente superficiale da non essere per nulla incisiva neanche in questo caso.

La serie, infatti, dà praticamente da subito l’idea di essere ben consapevole della piattezza dei propri personaggi, ingabbiati nei loro ruoli sin dall’inizio e incapaci di una evoluzione caratteriale naturale e coerente. Questo aspetto raggiunge i livelli massimi nella scena che chiude “Bye”, ultima puntata della stagione: Tyler, vessato, umiliato e infine stuprato da Monty – in una delle scene visivamente più forti e disturbanti della stagione –, in balia di un sentimento di vendetta nei confronti del mondo, si dirige ad armi spianate verso il Ballo di Primavera, deciso a sfogare la sua rabbia a lungo repressa. Ovviamente questo non avviene: la persuasione dell’eroe della situazione Clay lo porta a desistere e a fuggire, esattamente come lo stesso protagonista era stato fermato prima di potersi vendicare direttamente di Bryce solo due episodi prima. È la dimostrazione del timore che hanno gli autori di osare in questa stagione: portare due personaggi così importanti e schierati dalla parte giusta verso un punto di non ritorno equivarrebbe ad abbandonare il manicheismo estremo che caratterizza la serie, ma soprattutto questa seconda annata, e intentare un discorso su bene e male molto più articolato e complesso. Non sembra esserci la volontà o la necessità di farlo: è preferibile per Yorkey stagnare in un buonismo che non fa male a nessuno. Peccato, perché la maggior libertà creativa, favorita quest’anno dal non dover più seguire la trama del romanzo di Asher, garantiva tante nuove possibilità in fase di caratterizzazione dei personaggi.

13 Reasons Why – Stagione 2Ma i problemi di questa seconda stagione, purtroppo, non si fermano qui. Laddove a livello visivo e tecnico non c’è niente da segnalare – se non la divertente rappresentazione in forma animata del sogno di Clay che apre “The Third Polaroid”, non per niente il migliore episodio della stagione – è sempre la scrittura a prestare il fianco a critiche importanti. Innanzitutto la lunghezza spropositata degli episodi – un’ora ciascuno, con l’ultimo addirittura da 70 minuti – appesantisce una sceneggiatura che avrebbe avuto la stessa efficacia con la metà del minutaggio, magari sfoltita di tutte le sottotrame meno interessanti e di tutti i flashback meno significativi.
In secondo luogo risulta poco centrata la scelta di esternare le ansie e i sentimenti di Clay in quello che il web ha colto l’occasione per soprannominare “il fantasma di Hannah” – che poi per come viene adoperato nello show è una definizione quasi azzeccata. Se nella prima stagione il rapporto tra il protagonista e la ragazza era rappresentato attraverso l’ascolto della sua voce nelle cuffie – e aveva perfettamente senso –, qui si punta su una manifestazione visiva dell’inconscio che, oltre a non essere per nulla originale, ha fin da subito l’aria di essere un modo per “spiegare” e spettacolarizzare la girandola di emozioni che si dovrebbe consumare nell’animo del ragazzo, fallendo miseramente nelle intenzioni; considerato poi il modo in cui questa storyline si conclude – Hannah che si dirige verso la luce e scompare quando Clay accetta di lasciarla andare definitivamente – risulta evidente come il personaggio non ne esca per nulla rafforzato.
In ultimo, ma non per importanza, è da segnalare come tutte le tematiche sviscerate e analizzate in questa seconda stagione – fin troppe – siano esasperate e raccontate in maniera estremamente didascalica: tolta l’eccessiva verbosità di ogni dialogo, si ha la sensazione che i personaggi vogliano sempre spiegare qualcosa, porre l’attenzione su un atteggiamento o sensibilizzare su un particolare stato d’animo. Sono, infatti, più le volte in cui i ragazzi raccontano della loro sofferenza rispetto a quanto questa sia effettivamente mostrata, dando ampi spazi a dialoghi lunghi e inconsistenti quando non ripetitivi.

13 Reasons Why – Stagione 2Qual è quindi la valenza artistica di questa seconda stagione di 13 Reasons Why, verrebbe da chiedersi. La risposta è praticamente nulla, non c’è un vero motivo per cui qualcuno debba immergersi nella visione di questi tredici episodi. La stagione per la gran parte non intrattiene, ha dei buchi di trama grossi come voragini e si limita ad esporre tematiche e problemi, senza preoccuparsi di approfondirli; il tutto tentando di incuriosire lo spettatore con la trama del segreto delle polaroid e dei misteriosi sabotatori del campus, di cui si è parlato poco in questo articolo per via della sua inutilità, avvalorata dal modo assurdo in cui si conclude.
Le possibilità concrete di una terza stagione e la maniera posticcia con la quale ci lascia questa seconda non lasciano presagire nulla di buono per il futuro dello show, ma qualche ragione per credere in una ripresa la si conserva.

Voto: 4

 

Informazioni su Davide Tuccella

Tutto quello che c'è da sapere su di lui sta nella frase: "Man of science, Man of Faith". Ed è per risolvere questo dubbio d'identità che divora storie su storie: da libri e fumetti a serie tv e film.


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