Black Mirror: Bandersnatch


Black Mirror: BandersnatchQuando viene lanciato un evento di dimensioni pubblicitarie e dall’impatto potenziale così forte come quello di Bandersnatch, il nuovo film/episodio speciale di Natale di Black Mirror, è inevitabile che le reazioni siano molteplici e come spesso di questi tempi, polarizzate.
L’esperimento di Netflix ambisce a utilizzare una nuova tecnologia come quella dell’Interactive Film (precedentemente usato sulla piattaforma solo per un contenuto diretto ai bambini, Puss in Boots: Trapped in an Epic Tale) al servizio di una versione audiovisiva dei racconti “Choose Your Own Adventure” – che prendono il nome da una collana editoriale per ragazzi molto popolare negli USA tra gli anni ’80 e ’90 – integrandola con il racconto distopico della serie di Charlie Brooker, che racconta ormai dal 2011 le conseguenze ipotetiche sulla società proprio dei device e delle nuove invenzioni tecnologiche. Controsenso? Non proprio, anzi alla luce della riuscita finale dell’episodio si può dire che piuttosto si tratta di una scelta perfettamente coerente con lo spirito di Black Mirror.

La forma narrativa “Choose Your Own Adventure” è stata molto popolare negli anni Ottanta anche in Italia con il nome generico di librogame: racconti che permettevano al lettore di scegliere – attraverso l’utilizzo di domande, lancio di dadi o altro – la continuazione della narrazione stessa all’interno di un set di possibili sviluppi, generando quindi molte narrazioni differenti all’interno dello stesso libro che permettevano non solo di ottenere molti possibili finali ma anche (nelle incarnazioni migliori, come quelle della serie Dimensione Avventura, edizione parziale italiana della collana Fighting Fantasy, ideata da Steve Jackson e Ian Livingstone) di dare alla storia una forma personale. Certo, specie nella serie di Jackson e Livingstone era comunque previsto uno sviluppo “ideale” in cui il lettore arrivava alla fine del libro con il finale previsto dagli autori, ma le sezioni che arrivavano fino a tre-quattrocento permettevano non infiniti, ma davvero numerosissimi sviluppi possibili alla vicenda.
Black Mirror: BandersnatchTrasferire questo tipo di concetto, e questo volume di informazioni, all’interno di un singolo episodio, con sole cinque ore di girato totale, non è un’operazione semplice ed è per questo che dal punto di vista di chi ama e frequenta videogiochi e giochi di ruolo, a un primo sguardo Bandersnatch potrà apparire poco più che un divertissement che sfrutta una nuova tecnologia per impreziosire (e potenziare, con un hype forse un po’ sproporzionato rispetto all’operazione in sé) una serie che dopo i fasti delle prime stagioni non è più così universalmente amata dalla critica, nonostante mantenga un ottimo successo di pubblico e sia sempre e comunque in grado di far notizia e generare discorsi sui social media. E probabilmente, almeno in parte, Bandersnatch è un’operazione che ha nella ricerca dell’hype il suo primo obiettivo e non c’è nulla di necessariamente negativo in questo, soprattutto nel contesto di una serie che ha fatto appunto della propria notiziabilità, del proprio impatto sull’immaginario collettivo e del fanservice consapevole i propri grandi punti di forza.

Sicuramente Bandersnatch si situa su quel territorio di confine in cui si situano tutti gli esperimenti, in cui da una parte ci si prende il merito di sperimentare un update alla tradizionale forma narrativa seriale e dall’altro ci si espone alle critiche di ogni tipo. Nelle ore successive alla messa in onda queste critiche hanno preso le forme più diverse, dall’inconsistenza narrativa alla scarsa riuscita dell’ibrido stilistico: tutte critiche perfettamente condivisibili, se si tiene conto che in effetti alla fine dell’episodio ci si trova di fronte al fatto che non è un game sviluppato in modo soddisfacente, e neppure un episodio dalla grande solidità narrativa, essendo tutta la scrittura pensata in funzione delle scelte multiple e non di una fruizione passiva come d’abitudine. Ma Bandersnatch si situa appunto in una terra di confine e sperimentazione che non mette necessariamente al centro la godibilità del prodotto per ogni tipo di spettatore, ma ha l’obiettivo di sorprenderlo e interessarlo al di là della mera fruizione televisiva. Di conseguenza ci si trova ad essere insoddisfatti sia del game sia dell’episodio (soprattutto se si parte da aspettative molto alte), ma al tempo stesso si è consapevoli di aver fruito un prodotto che con tutta probabilità non aspira ad essere nessuna di queste due cose.

Black Mirror: BandersnatchPrima di tutto, la forma del game usata per Bandersnatch non solo è tutt’altro che casuale – inserendosi in un discorso sul rapporto tra umano, tecnologico e narrazioni che Brooker porta avanti da molti anni – ma è anche inserita alla perfezione all’interno di un racconto metatestuale che sfonda la quarta parete e dialoga col suo spettatore ben al di là dei momenti in cui avviene la vera e propria scelta del percorso narrativo. La storia dell’aspirante programmatore Stefan, traumatizzato dalla perdita della madre e determinato a trasformare in un videogame uno dei libri da lei più amati, Bandersnatch appunto (scritto dal finzionale, pazzo e visionario autore Jerome F. Davies), si situa nel 1984, proprio all’apice del periodo dell’esplosione di videogame e librogame, un momento storico in cui questa forma narrativa pareva destinata a soppiantare in modo definitivo gli obsoleti libri tradizionali, la televisione e il cinema. Come ben sappiamo, non è andata così e questo dovrebbe essere il primo indizio a farci sospettare che Brooker non sia così incline a prendere sul serio la sua stessa operazione: fin dall’inizio e per tutta la sua durata, è l’episodio stesso a dichiarare la propria natura di divertissement, sia attraverso l’ambientazione che sceglie sia attraverso i molteplici livelli meta del racconto, che includono un ragionamento sulla forma stessa del racconto interattivo e sulla sua fondamentale irrealizzabilità pratica (Stefan stesso praticamente impazzisce nel tentativo di dare forma al videogioco così come lo immagina), una teoria delle cospirazioni che somiglia pericolosamente a una parodia retrofuture di Black Mirror stessa, una galleria di citazioni interne ed esterne alla serie, con easter egg dalla purissima funzione di fanservice – dal coniglietto bianco al poster di Ubik – e un paio di momenti tra cui il finale “istituzionale” in cui la citazione extradiegetica arriva al suo culmine e Netflix, come ormai da sua abitudine, si auto-omaggia ironicamente.

Black Mirror: BandersnatchL’ironia è quindi la chiave di lettura ideale per apprezzare Bandersnatch e pertanto ha senso considerare questo episodio speciale come un’innovazione che non mira a rivoluzionare la forma narrativa seriale ma più che altro a divertirsi (e divertire lo spettatore), con un update di lusso molto utile a rafforzare i principali discorsi che fanno parte della serie fin dalla sua nascita: il dialogo con lo spettatore, la creazione dell’evento, il ragionamento sulla narrazione stessa e la riflessione pseudofilosofica un po’ spicciola, ma molto immediata, sul libero arbitrio e sul controllo dell’individuo in un’era iper-connessa come quella in cui stiamo vivendo.
Certo, in mano a una writers’ room meno focalizzata su questi obiettivi l’Interactive Film potrebbe generare ibridi narrativamente molto più interessanti: la volontà di Brooker di farci proseguire su una strada ben definita e di facile lettura metatestuale finisce infatti per privare lo spettatore delle scelte fondamentali in termini narrativi (il ricordo della madre e il trip con l’LSD) finendo per premiare in fin dei conti la forma seriale classica rispetto all’ibridazione, e questo toglie sicuramente all’episodio parte della sua carica rivoluzionaria. Ma d’altronde, ci troviamo appunto di fronte a un episodio che si inscrive in un discorso autoriale più ampio e riesce a mantenere la coerenza col progetto in maniera egregia ed estremamente efficace, e che dichiara in maniera più che esplicita i propri obiettivi, stabilendo quindi fin dall’inizio un rapporto più che onesto con la sua audience.
D’altra parte, si può senz’altro dire che moltissimi momenti di Bandersnatch, guardati da un punto di vista specificamente seriale, risultano ingenui e prevedibili (specialmente i momenti in cui l’episodio decide di strafare, come nella sequenza action), ma questo accade a fronte di altri momenti in cui il coinvolgimento dello spettatore è altissimo e reale, come nella sequenza del salto dal balcone.

Probabilmente Bandersnatch coglie quindi lo spirito dei tempi in modo molto più brillante di tantissimi altri prodotti usciti quest’anno, perché cosa c’è di più rappresentativo della nostra epoca di alternative reality e polarizzazione delle opinioni di un episodio che carica la scelta narrativa sulle spalle dello spettatore? Un prodotto che oltretutto, per la sua natura intrinsecamente ibrida, è in grado di generare una serie (questa sì) pressoché infinita di differenti punti di vista.
Nei prossimi anni l’ultima creazione di Charlie Brooker potrebbe diventare il capolavoro metatestuale dei nostri tempi o finire presto nel dimenticatoio come i librogame stessi.

E che l’abbiate amato oppure o no, in fin dei conti, la scelta è vostra.

Voto: 7 ½

Nota: se volete esplorare tutto l’universo di Bandersnatch senza perdere nemmeno uno dei possibili finali e sviluppi, un utente di Reddit ha fatto il lavoro sporco per voi: eccolo qui.

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Informazioni su Eugenia Fattori

Bolognese di nascita - ma non chiedete l'età a una signora - è fanatica di scrittura e di cinema fin dalla culla, quindi era destino che scoprisse le serie tv e cercasse di unire le sue due grandi passioni. Inspiegabilmente (dato che tende a non portare mai scarpe e a non ricordarsi neanche le tabelline) è finita a lavorare nella moda e nei social media, ma Seriangolo è dove si sente davvero a casa.

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