
La rocambolesca fuga di Richard Matt e David Sweat dal carcere di Dannemora, resa possibile dalla complice/amante Joyce Mitchell, è una storia che sulla carta rientra nella nuova tendenza a rielaborare fatti di cronaca nera in chiave storica e sociale, ma se American Crime Story predilige una forma di racconto enfatica e sfacciata, Escape at Dannemora sceglie invece una narrazione lenta e raggelata, in linea con la fredda immobilità del suo scenario. La vita in carcere viene ritratta in tutta la sua alienante monotonia, scandita da lavori, favori tra guardie e detenuti, qualunque cosa possa dare una parvenza di socialità a coloro che sono stati esiliati dal mondo civile. L’assenza di vera vita all’interno del carcere, tuttavia, diventa riflesso della grigia quotidianità di chi vi lavora all’interno, ed è a partire da questa miseria comune che nasce il ménage à trois fra Tilly, Matt e Sweat.
La responsabile della sartoria è una degna rappresentante dell’american white trash, frustrata dalle scarse soddisfazioni lavorative e dalla vita di coppia con l’inetto marito Lyle: l’adulterio diventa quindi una scappatoia ideale dalla propria misera condizione e poi si tramuta in via di fuga concreta quando gli ergastolani iniziano ad attuare il loro piano d’evasione. Se si prende in esame questa chiave di lettura del racconto, diventa molto più evidente il motivo per cui Ben Stiller abbia voluto dirigere la miniserie a tutti i costi. Da Il rompiscatole fino a I sogni segreti di Walter Mitty, la sua filmografia da regista è costellata di personaggi frustrati dalla monotonia della vita e intenzionati ad uscirne in maniera rocambolesca: l’evasione dal carcere di Dannemora, dunque, si pone al vertice della sua poetica e gli permette di raggiungere nuove e inaspettate vette registiche.

L’evasione dal carcere dovrebbe idealmente essere il picco drammatico della storia, in cui i protagonisti esaudiscono i loro sogni di libertà e riescono a fregare l’ordine costituito dopo mesi di pianificazioni e fatica, ma con il sesto episodio la serie compie un brusco viaggio a ritroso nel tempo che ci aiuta a porre definitivamente luce sulla psiche dei personaggi e riporta lo spettatore con i piedi per terra rispetto ai fatti messi in scena. Grazie a tre torbidi flashback scopriamo il motivo dell’incarcerazione di Matt e Sweat e la natura del rapporto tra Tilly e Lyle, e il quadro generale che ne deriva è ancor più cupo e spietato di quanto ci si aspettasse: i due evasi vengono mostrati come animali selvatici che applicano istintivamente una violenza brutale e priva di senso, dettata dal puro istinto di sopravvivenza che il carcere ha sopito ma mai annullato del tutto, e qualunque forma di potenziale simpatia che poteva nascere nello spettatore verso di loro prima dell’evasione viene brutalmente spazzata via. Anche per quanto riguarda Tilly, il personaggio più complesso e affascinante del trio, il punto di vista dello spettatore viene totalmente ribaltato.

Come di consueto in questo genere di riadattamenti, la storia si conclude con un resoconto delle attuali condizioni dei personaggi reali, ma non vi è alcuna morale o valutazione sull’impatto mediatico della storia che ci è stata raccontata, soltanto la fredda consapevolezza della straordinarietà degli eventi e di quanto, in determinate circostanze, le persone possano spingersi oltre ogni limite nella ricerca di un riscatto individuale. Il lavoro superbo di Ben Stiller e degli sceneggiatori Brett Johnson e Michael Tolkin non avrebbe mai raggiunto tali livelli di qualità senza un cast di tutto rispetto, ed è quindi doveroso soffermarsi sul trio di attori che ha dato forma e corpo alle idee degli autori.

Giunta a cavallo tra la stagione appena conclusa e il nuovo anno seriale, Escape at Dannemora è un evento televisivo irripetibile che brilla di luce propria portando in scena un mondo di ombre, luoghi e volti carichi di disperazione e costante minaccia. Lontana da qualunque forma di sensazionalismo, alla serie è sufficiente affidarsi alle vertigini visive del suo regista e a un reparto attoriale in stato di grazia per ipnotizzare e sedurre il suo pubblico con una potenza a dir poco sorprendente.
Voto stagione: 8
