Escape at Dannemora – Stagione 1


Escape at Dannemora - Stagione 1In principio era Oz, il crudo dramma carcerario creato da Tom Fontana che, assieme a The Wire e The Sopranos, ha inaugurato il rinascimento della serialità televisiva firmato HBO. Da lì in avanti il carcere è stato lo scenario di show che hanno raccontato vari tipi di storie attraverso la vita dietro le sbarre, dalle fantasie escapiste più sfrenate (Prison Break) a tragicomiche riflessioni sulla condizione femminile nella contemporaneità (Orange is the new black): dove si posiziona quindi un racconto bizzarro e accattivante come Escape at Dannemora rispetto ai suoi predecessori e all’odierno panorama seriale?

La rocambolesca fuga di Richard Matt e David Sweat dal carcere di Dannemora, resa possibile dalla complice/amante Joyce Mitchell, è una storia che sulla carta rientra nella nuova tendenza a rielaborare fatti di cronaca nera in chiave storica e sociale, ma se American Crime Story predilige una forma di racconto enfatica e sfacciata, Escape at Dannemora sceglie invece una narrazione lenta e raggelata, in linea con la fredda immobilità del suo scenario. La vita in carcere viene ritratta in tutta la sua alienante monotonia, scandita da lavori, favori tra guardie e detenuti, qualunque cosa possa dare una parvenza di socialità a coloro che sono stati esiliati dal mondo civile. L’assenza di vera vita all’interno del carcere, tuttavia, diventa riflesso della grigia quotidianità di chi vi lavora all’interno, ed è a partire da questa miseria comune che nasce il ménage à trois fra Tilly, Matt e Sweat.

La responsabile della sartoria è una degna rappresentante dell’american white trash, frustrata dalle scarse soddisfazioni lavorative e dalla vita di coppia con l’inetto marito Lyle: l’adulterio diventa quindi una scappatoia ideale dalla propria misera condizione e poi si tramuta in via di fuga concreta quando gli ergastolani iniziano ad attuare il loro piano d’evasione. Se si prende in esame questa chiave di lettura del racconto, diventa molto più evidente il motivo per cui Ben Stiller abbia voluto dirigere la miniserie a tutti i costi. Da Il rompiscatole fino a I sogni segreti di Walter Mitty, la sua filmografia da regista è costellata di personaggi frustrati dalla monotonia della vita e intenzionati ad uscirne in maniera rocambolesca: l’evasione dal carcere di Dannemora, dunque, si pone al vertice della sua poetica e gli permette di raggiungere nuove e inaspettate vette registiche.

Escape at Dannemora - Stagione 1La macchina da presa diventa lo strumento con cui Stiller, al pari di un direttore d’orchestra, controlla il ritmo della narrazione che, dopo la quiete introduttiva dei primi episodi, aumenta progressivamente man mano che la fuga dei protagonisti si fa sempre più concreta. Numerosi sono i singoli attimi in cui la visione del regista riesce a creare momenti di grande televisione, ma tra questi vale la pena ricordare la dissolvenza sugli occhi acuminati di Benicio Del Toro in chiusura del secondo episodio e i due piani sequenza diametralmente opposti che aprono e chiudono il quinto, dove Matt e Sweat riescono a scappare da Dannemora: artificiale e videoludico il primo, in cui viene mostrato il tortuoso sentiero scavato dai protagonisti per raggiungere il mondo esterno; statico e disarmante il secondo, in cui i galeotti, non appena assaporata la libertà, affrontano la loro nuova condizione di fuggiaschi.

L’evasione dal carcere dovrebbe idealmente essere il picco drammatico della storia, in cui i protagonisti esaudiscono i loro sogni di libertà e riescono a fregare l’ordine costituito dopo mesi di pianificazioni e fatica, ma con il sesto episodio la serie compie un brusco viaggio a ritroso nel tempo che ci aiuta a porre definitivamente luce sulla psiche dei personaggi e riporta lo spettatore con i piedi per terra rispetto ai fatti messi in scena. Grazie a tre torbidi flashback scopriamo il motivo dell’incarcerazione di Matt e Sweat e la natura del rapporto tra Tilly e Lyle, e il quadro generale che ne deriva è ancor più cupo e spietato di quanto ci si aspettasse: i due evasi vengono mostrati come animali selvatici che applicano istintivamente una violenza brutale e priva di senso, dettata dal puro istinto di sopravvivenza che il carcere ha sopito ma mai annullato del tutto, e qualunque forma di potenziale simpatia che poteva nascere nello spettatore verso di loro prima dell’evasione viene brutalmente spazzata via. Anche per quanto riguarda Tilly, il personaggio più complesso e affascinante del trio, il punto di vista dello spettatore viene totalmente ribaltato.

Escape at Dannemora - Stagione 1La donna sciatta, sedotta e manipolata che usava il sesso come forma di evasione dal grigiore quotidiano si rivela essere una manipolatrice subdola quasi quanto i suoi amanti, e le sue macchinazioni mettono sotto una nuova luce l’inerzia di Lyle, personaggio apparentemente innocuo ma, a posteriori, cruciale per l’epilogo della storia. Le macchinazioni passate di Tilly inseguivano un riscatto personale che non è mai arrivato, e l’accumulo di bugie e sotterfugi del presente porta la donna al collasso psicofisico e a un unico finale possibile per la fuga di Matt e Sweat. Su questo senso di fredda ineluttabilità getta le basi l’episodio finale della serie, che porta i due fuggiaschi nella wilderness del confine canadese, ed è qui che le pulsioni bestiali del passato prendono nuovamente il sopravvento e concludono nel modo in cui erano cominciate le parabole dei due protagonisti: Richard Matt soccombe a causa della sua naturale propensione alla violenza ingiustificata, David Sweat arriva invece ad un passo dal traguardo per poi sprofondare in una prigionia ancora più dura e asfissiante.

Come di consueto in questo genere di riadattamenti, la storia si conclude con un resoconto delle attuali condizioni dei personaggi reali, ma non vi è alcuna morale o valutazione sull’impatto mediatico della storia che ci è stata raccontata, soltanto la fredda consapevolezza della straordinarietà degli eventi e di quanto, in determinate circostanze, le persone possano spingersi oltre ogni limite nella ricerca di un riscatto individuale. Il lavoro superbo di Ben Stiller e degli sceneggiatori Brett Johnson e Michael Tolkin non avrebbe mai raggiunto tali livelli di qualità senza un cast di tutto rispetto, ed è quindi doveroso soffermarsi sul trio di attori che ha dato forma e corpo alle idee degli autori.

Escape at Dannemora - Stagione 1Paul Dano è una garanzia grazie a un ruolo che gli permette di esaltare il suo stile recitativo fatto di pesanti silenzi e sguardi di lucido disincanto, e lo stesso vale per Benicio Del Toro che infonde nel personaggio di Richard Matt la sua mimica facciale e l’attitude da rettile che lascia lo spettatore ad interrogarsi ad ogni scena su quale sarà la sua prossima mossa, ma la vera punta di diamante del cast è Patricia Arquette, premiata per la sua interpretazione ai Golden Globes e ai Critics’ Choice Awards: completamente mutata dal trucco e dal pesante accento nordista, l’attrice mette in scena un personaggio tanto sgradevole quanto ipnotico, che si ritaglia un posto di diritto tra i protagonisti più affascinanti che la serialità americana ci ha regalato negli ultimi mesi.

Giunta a cavallo tra la stagione appena conclusa e il nuovo anno seriale, Escape at Dannemora è un evento televisivo irripetibile che brilla di luce propria portando in scena un mondo di ombre, luoghi e volti carichi di disperazione e costante minaccia. Lontana da qualunque forma di sensazionalismo, alla serie è sufficiente affidarsi alle vertigini visive del suo regista e a un reparto attoriale in stato di grazia per ipnotizzare e sedurre il suo pubblico con una potenza a dir poco sorprendente.

Voto stagione: 8

 

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